Advertisement

Diplomazia pontificia: la difesa della vita, i segnali che vengono dall’Islam

Bandiera della Santa Sede | La bandiera della Santa Sede vista dalla Pontificia Università Urbaniana | Bohumil Petrik / CNA Bandiera della Santa Sede | La bandiera della Santa Sede vista dalla Pontificia Università Urbaniana | Bohumil Petrik / CNA

Non è ancora ricominciata a pieno regime l’attività diplomatica nelle organizzazioni internazionali, e dunque non ci sono discorsi della Santa Sede nelle organizzazioni multilaterali, che pure sono state molto chiamate in causa da Papa Francesco durante il suo discorso di inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

Ci sono, però, delle attività che passano dalle nunziature, o che, svolte dalle Chiese locali, hanno comunque una valenza diplomatica. E ci sono poi situazioni che la diplomazia della Santa Sede osserva con attenzione.

In questa settimana, è arrivato, attraverso la nunziatura di Parigi, un messaggio di Papa Francesco di supporto alla Marcia per la Vita nella capitale francese. Mentre la dichiarazione di 500 imam in favore di Asia Bibi è stata considerata con attenzione, considerando che ancora la donna pakistana non è riuscita a lasciare il Pakistan con la sua famiglia, rimanendo sempre in pericolo di attacchi fondamentalisti. Infine, la Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del Congo ha rilasciato una dichiarazione a seguito delle elezioni. Il processo elettorale, così come la crisi, è stato seguito da vicino dalla Chiesa cattolica, e Papa Francesco ha anche menzionato la nazione nel tradizionale urbi et orbi del giorno di Natale

Papa Francesco sostiene la Marcia per la Vita di Parigi

Il prossimo 20 gennaio, si terrà a Parigi la Marcia per la Vita. Papa Francesco ha manifestato il suo sostegno con una lettera inviata all’arcivescovo Luigi Ventura, nunzio apostolico in Francia. “Tutto il male operato nel mondo si riassume in questo: il disprezzo per la vita”, ha scritto Papa Francesco. Gli organizzatori della Marcia per la Vita hanno anche rivelato che il Papa incoraggia i partecipanti a “testimoniare i valori inalienabili della dignità umana e della vita”. Il tema della Marcia per la Vita 2019 sarà il diritto all’obiezione di coscienza dei medici.

Advertisement

Dal 14 al 22 gennaio prossimo, ci sarà anche negli Stati Uniti l’iniziativa “Nove giorni per la vita”, contro la cultura dello scarto e per ricordare la sentenza della Corte Suprema sul caso Roe vs Wade del 22 gennaio 1973, una delle due sentenze attraverso il quale si è legalizzato l’aborto negli Stati Uniti. Jane Roe, il cui vero nome era Norma McCovey, è morta nel 2017. Dopo la sentenza, si era convertita ed era diventata attivista pro-life, lottando per cambiare la sentenza.

L’Osservatore Romano, organo della Santa Sede, ha supportato l’iniziativa della Conferenza Episcopale USA, sottolineando che dal giorno della sentenza Roe vs Wade, “la vita di circa 56 milioni di bambini è stata soppressa”, e denunciato che “purtroppo la cultura dello scarto, spesso additata da Papa Francesco, continua ad espandersi coinvolgendo non solo bambini, ma anche anziani e persone più deboli”.

L’Osservatore Romano ha anche segnalato la Marcia per la Vita di Washington, che avrà luogo il prossimo 18 gennaio.

Imam per Asia Bibi: la dichiarazione di Islamabad

Nella scorsa settimana, più di 500 predicatori islamici pakistani hanno firmato la “Dichiarazione di Islamabad” contro il terrorismo islamico, le violenze compiute in nome della religione e le fatwa emanate dagli ulema locali. La dichiarazione è stata firmata a Islamabad nel corso della Seerat-e-Rehmat-ul-Alameen Conference, riunita dal Consiglio Pakistano degli ulema.

Si tratta di una iniziativa storica per il Pakistan, dove sono stati frequenti gli attentati contro le minoranze, e dove la legge sulla blasfemia ha creato moltissime vittime. Nel documento, anche un riferimento ad Asia Bibi, la madre cristiana condannata a morte e poi assolta, dopo nove anni trascorsi in prigione, dall’accusa di blasfemia. I radicali islamici hanno ottenuto una revisione del caso, ma gli ulema chiedono di affrontarlo con “la massima priorità”.

More in Mondo

Composta di 7 punti, la dichiarazione condanna gli omicidi compiuti a nome della religiosa, il divieto di pubblicare materiale che inciti all’odio, il diritto di tutte le organizzazioni religiose a vivere nel Paese in base alle proprie norme culturali e dottrinali, riconosce che il Paese è multi-etnico e multi-religioso e sottolinea che “è responsabilità del governo proteggere la vita e le proprietà dei non musulmani che vivono in Pakistan”, secondo le legge della Sharia.

La dichiarazione di Islamabad sottolinea anche l’importanza di applicare il piano di azione nazionale nella lotta al fondamentalismo, e decreta il 2019 l’anno dedicato a sradicare il terrorismo, l’estremismo e la violenza settaria nel Paese”.

Relazioni Bielorussia – Vaticano

Lo scorso 8 gennaio, Sergei Aleinik, ambasciatore di Bielorussia presso il Regno Unito e l’Irlanda, ha incontrato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano: lo ha annunciato un tweet dell’Ambasciata di Bielorussia presso il Regno Unito. Aleinik era stato ambasciatore non residente di Bielorussia presso la Santa Sede dal 2008 al 2009.

Secondo il tweet dell’ambasciata, la discussione tra Aleinik e il Cardinale Parolin sarebbe stata fruttuosa, e centrata sulla cooperazione tra Bielorussia e Vaticano. La Santa Sede ha inaugurato la nuova sede della nunziatura a Minsk il 4 ottobre 2017. Nel suo discorso di inaugurazione, Angelo Becciu, allora sostituto della Segreteria di Stato, sottolineò la “nutrita presenza di cattolici locali” che non fa sentire la Santa Sede straniera presso il popolo bielorusso. Si festeggiano i 25 anni di relazioni diplomatiche, ed è un felice caso che questo avvenga nell’anno in cui si celebrano anche i 500 anni della pubblicazione del primo libro stampato in Bielorusso, la Bibbia di Francesco Skavyna, ricordata dal numero due della Segreteria di Stato”.

I ventanni di ordinazione episcopale del primo nunzio proveniente da Taiwan

Il 20 dicembre, l’arcivescovo Thomas Yeh Sheng-nan ha festeggiato i 20 anni di ordinazione episcopale. Primo nunzio proveniente da Taiwan, è stato “ambasciatore del Papa” in Sri Lanka dal 1998 al 2004, e poi dal 2004 al 2015 in Algeria e Tunisia.

Prima del suo ritiro, l’arcivescovo Yeh ha suggerito alla Santa Sede di scegliere sacerdoti cinesi perché diventassero “diplomatici della Santa Sede”.

Nell’omelia per il suo ventennale di ordinazione, l’arcivescovo Yeh ha sottolineato che “Dio si prenderà cura di ogni cosa”, e sottolineato come molti dei suoi compagni di corso hanno posizione chiave.

Elezione nella Repubblica Democratica del Congo, cosa dicono i vescovi

È con un secco comunicato del 10 gennaio che i vescovi della Repubblica Democratica del Congo prendono posizione sul risultato delle elezioni presidenziali, che si sono tenute lo scorso 30 dicembre. La commissione elettorale (CENI) ha assegnato la vittoria a Felix Tshisekendi, candidato dell’opposizione, che avrebbe battuto sia l’altro candidato di opposizione Martin Fayulu Madidi che Emmanuel Ramazani Shadary, candidato sostenuto dal presidente uscente Joseph Kabila. Fayulu ha denunciato una frode elettorale, e ha detto di essere lui il vincitore.

Nel comunicato, i vescovi dicono di “prendere atto dei risultati provvisori dell’elezione presidenziale”, ma sottolineano che i risultati pubblicati dalla CENI “non corrispondono a quelli raccolti dai circa 40 mila osservatori elettorali della commissione episcopale Giustizia e Pace.

Advertisement

I risultati sono ancora parziali, perché a marzo ci sarà il voto nelle regioni congolesi colpite dalla nuova epidemia di Ebola e dalla presenza di gruppi armati che non permettono di votare in condizioni di sicurezza.

I vescovi hanno chiesto anche a tutti di “mostrare maturità civica” ed “evitare ogni forma di violenza”, invitando le parti che vogliono contestare i risultati provvisori a “usare i procedimenti del diritto in conformità alla Costituzione e alla legge elettorale”.

Senegal, la Chiesa cattolica osserva le elezioni presidenziali

Ci saranno 1000 osservatori della Chiesa cattolica in Senegal per le elezioni presidenziali del 24 febbraio: lo ha sottolineato padre Alphonse Seck, segretario generale di Caritas Senegal, in una lettera dell’8 gennaio.

Padre Seck è anche segretario esecutivo della commissione giustizia e pace. Oltre al suo ruolo di controllo dello svolgimento delle elezioni, la Chiesa senegalese punta anche ad organizzare una campagna di comunicazione per un voto pacifico e a incontrare i candidati, come già fece per il voto del 2012.

Padre Seck è anche una delle sette personalità indipendenti che compongono la Commissione di Controllo della Sponsorizzazione del Consiglio Costituzionale, struttura che ha il ruolo di verificare che le carte di candidatura dei candidati siano in regola. Dall’aprile 2018, infatti, la legge senegalese richiede ai candidati di ottenere la sponsorizzazione di almeno l’1 per cento dell’elettorato per la candidatura alla presidenza.

Adottata nell’aprile 2018, la legge sulla sponsorizzazione ha creato non poche tensioni, e la Chiesa ha prima chiesto di rinviare il voto, poi ha più volte fatto campagna di sensibilizzazione, sottolineando che “la preoccupazione per la pace e la coesione sociale è un dovere che incombe su ogni cittadino”.

Venti ex capi di Stato sudamericani scrivono a Papa Francesco

Venti ex presidenti sudamericani hanno scritto a Papa Francesco, lamentandosi per le sue parole su Venezuela e Nicaragua nell’urbi et orbi di Natale. Il Papa aveva chiesto che si ritrovasse “concordia per tutte le componenti sociali”, e questo, secondo i firmatari, rischia di dare una visione politica approssimativa della situazione generale.

I presidenti fanno parte di IDEA, iniziativa democratica di Spagna e Americhe, e già nel 2017 avevano inviato una lettera sulla situazione in Venezuela, cui il Cardinale Parolin aveva puntualmente risposto. Il 22 maggio 2018, Papa Francesco ha ricevuto l’ex premier spagnolo José Zapatero, che si era accreditato come mediatore internazionale della crisi.

Gli ex presidenti firmatari della lettera sono: Oscar Arias, Costa Rica; Nicolás Ardito Barletta, Panamá; Enrique Bolaños, Nicaragua; Alfredo Cristiani, El Salvador; Felipe Calderón, México; Rafael Ángel Calderón, Costa Rica; Laura Chinchilla, Costa Rica; Fernando De la Rúa, Argentina; Vicente Fox, México; Eduardo Frei, Chile; César Gaviria T., Colombia; Osvaldo Hurtado, Ecuador; Luis Alberto Lacalle, Uruguay ;Jamil Mahuad, Ecuador; Mireya Moscoso, Panamá ; Andrés Pastrana A., Colombia; Jorge Tuto Quiroga, Bolivia; Miguel Ángel Rodríguez, Costa Rica; Álvaro Uribe V., Colombia; Juan Carlos Wasmosy, Paraguay.

Questi hanno notato che “le espressioni di Sua Santità, che sappiamo essere in buona fede e dettate dal suo spirito di pastore, possono essere interpretate anche in modo negativo per la maggioranza dei venezuelani e nicaraguensi”.

La crisi in Venezuela è stata seguita con attenzione dalla diplomazia pontificia: due volte i vescovi del Paese sono stati incontrati in Vaticano, mentre Papa Francesco aveva nominato inviato speciale a Caracas l’arcivescovo Claudio Maria Celli, mentre il presidente Nicolas Maduro ha avuto anche l’opportunità di incontrare il Papa. Molti gli appelli di Papa Francesco.

La scorsa settimana, i vescovi del Venezuela, al termine della plenaria, hanno descritto come “illegittima” la votazione del 20 maggio per l’elezione del presidente della Repubblica, così come l’Assemblea Costituente imposta dal ramo esecutivo.

L’inaugurazione del nuovo mandato presidenziale di Maduro ha avuto luogo lo scorso 10 gennaio, e, nonostante molte delegazioni abbiano rifiutato di partecipare e la posizione dei vescovi, la Santa Sede ha inviato monsignor George Koovako, chargé d’affairs della nunziatura in Venezuela. Non un diplomatico di primo livello, ma comunque una presenza, a testimoniare che la Santa Sede vuole comunque mantenere un dialogo, nonostante non approvi la situazione generale del Paese.