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Diplomazia Pontificia, la Santa Sede su migrazioni, cura del creato, Congo

ONU di Ginevra | Il Palais des Nations a Ginevra, sede delle Nazioni Unite | pd ONU di Ginevra | Il Palais des Nations a Ginevra, sede delle Nazioni Unite | pd

Grande attività, questa settimana, nelle missioni della Santa Sede alle Nazioni Unite di Ginevra e New York. A Ginevra, si è discusso il global compact sui rifugiati, ma si è tenuta anche una sessione speciale sulla Repubblica Democratica del Congo, un tema che la Santa Sede ha molto a cuore. A New York, sono terminate le riunioni della Commissione sullo Sviluppo Sociale, che da tempo si distingue per una agenda che cerca di introdurre il diritto all’aborto (mascherato da diritto alla salute riproduttiva) nei documenti ONU. Ma anche la Laudato Si continua a generare discussione. Ne ha parlato anche il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, alla Conferenza Episcopale di Oceania.

La situazione nella Repubblica Democratica del Congo. La risposta della Santa Sede

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari ha organizzato, lo scorso 13 aprile a Ginevra, una Conferenza Umanitaria sulla situazione nella Repubblica Democratica del Congo.

Per l’occasione, la Santa Sede ha inviato monsignor Antoine Camilleri, “viceministro degli Esteri” vaticano, segnalando con l’invio di un diplomatico di livello la grande attenzione che la Santa Sede dà alla situazione in Congo. Tra l’altro, i cristiani sono stati coinvolti e hanno subito anche attacchi durante le manifestazioni che chiedevano il rispetto degli accordi e libere elezioni.

“C’è un bisogno urgente di progredire a livello politico – ha detto monsignor Camilleri – specialmente riguardo gli impegni in vista delle elezioni il prossimo dicembre, a cominciare dall’organizzazione di un processo elettorale democratico e imparziale”.

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Il “viceministro degli Esteri” della Santa Sede ha ricordato che la Conferenza Episcopale del Congo ha chiesto che la comunità internazionale accompagni lo Stato nel suo processo elettorale e allo stesso tempo promuova il benessere del popolo congolese, e ha messo in luce la difficile situazione che vive la Chiesa locale “a causa della violenza che alcuni dei suoi membri hanno ricevuto dopo la prima marcia per la pace organizzato dal Comitato di Coordinamento dei Laici”.

La Santa Sede ha messo in luce le difficili situazioni che si verificano in zone come il Kasai, l’Utembe Beni, il Djungu, l’Ituri, il Nord e il Sud Kivu, nonché l’uccisione di un sacerdote nella diocesi di Goma lo scorso 8 aprile.

Monsignor Camileri ha ricordato le molte iniziative della Santa Sede per il Congo, dalle parole di Papa Francesco all’Angelus del 19 febbraio 2017 fino alla veglia di preghiera per la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan il 23 novembre 2017 e il giorno di preghiera e digiuno per Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan dello scorso 23 febbraio.

La Santa Sede – ha rimarcato – ha distribuito più di 500 mila dollari di aiuti per “ricostruire scuole, ricostruire cliniche e assistere quelli che sono in situazione di estrema povertà”, mentre Caritas Internationalis ha assistito circa 790 persone in situazioni di emergenza e distribuito più di 100 milioni di dollari in vari progetti, mentre un contributo di 31,9 milioni di dollari è stato destinato ad affrontare la corrente emergenza umanitaria nelle regioni di Grand Kasai, Tanganika e Sud Kivu.

Le consultazioni sul Global Compact a Ginevra

Sono stati tre gli interventi della Santa Sede a Ginevra sul Global Compact dei rifugiati durante le terza fase delle consultazioni formali che dovranno portare all’accordo. Linee guida della Santa Sede sono i 20 punti di azione sviluppati dalla sezione Migranti e Rifugiati e dalla Segreteria di Stato, e appoggiati da Papa Francesco anche nell’ultimo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace.

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L’accordo – sottolinea la Santa Sede in un intervento del 10 aprile – deve essere “fermamente centrato sulla persona umana”, con un approccio “olistico” che porti ad evitare “stereotipi e pregiudizi” e anche il Programma di Azione deve essere basato sulla “dignità di ciascuna persona umana e dei suoi diritti fondamentali.”

La bozza dell’accordo – ha detto l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanete della Santa Sede all’ufficio ONU di Ginevra – riconosce che “la sicurezza dei confini e il benessere di rifugiati e richiedenti asilo non può essere visto come irreconciliabile”, e chiede che sia adottate “politiche inclusive e non discriminatorie che diano priorità alla sicurezza e protezione dei cittadini”.

Si chiede di rispettare sempre il principio di non refoulement (cioè, il rinvio forzato di migranti a nazioni dove potrebbero essere perseguitati) e per questo la Santa Sede propone anche una modifica alla bozza, che sottolinei come l’Alto Commissario per le Nazioni Unite sui rifugiati debba “guidare l’accesso alla giustizia di rifugiati e richiedenti asilo e garantire la loro libertà e sicurezza per riportare gli abusi senza timore di detenzione o deportazione”.

L’11 aprile si è parlato di come rispondere ai bisogni e supportare le comunità.

La Santa Sede chiede di adottare politiche che permetta ai bambini rifugiati di avere accesso sin dall’inizio ad una educazione di qualità, perché “siano protetti dal traffico di esseri umani, dal lavoro forzato e da altre forme di schiavitù”.

Per questo, la Santa Sede chiede di includere misure aggiuntive alla bozza.

Prima di tutto, chiede che la bozza assicuri accesso “a cure sanitarie di base”, mentre ora si propone solamente di “definire e supportare un pacchetto base di servizi sanitari”, cosa che – tra l’altro – potrebbe creare una vasta discussione dovuta al fatto che in queste misure si tenta spesso di includere il diritto all’aborto.

Quindi, la Santa Sede chiede che la sezione 2.6 non sia chiamata più “Gender”, ma “Rafforzamento delle donne e ragazze”, per “rendere chiaro che vogliamo ottenere una maggiore partecipazione e contributo delle donne e delle ragazze come leader, basato sull’eguaglianza tra uomini e donne e il loro sviluppo integrale.

In una terza sessione, sempre l’11 aprile, si è discusso di soluzioni. Da una parte, la Santa Sede ha apprezzato gli sforzi fatti nel supportare la riconciliazione, anche facendo partecipare gli stessi rifugiati nelle operazione di peace building. Dall’altra, la Santa Sede ha chiesto supporto per le nazioni per risolvere localmente la situazione dei rifugiati, sottolineando che “ogni rifugiato ha dei doveri verso la nazione che lo ospita”.

La denuncia della Santa Sede a New York: ossessionati dalla salute sessuale e riproduttiva

Sotto la formula “salute sessuale e riproduttiva” è stato più volte incluso il diritto all’aborto, mascherato in varie forme. La formula ha cominciato ad avere successo alla Conferenze ONU sulla Popolazione del Cairo e Pechino negli Anni Novanta, e non è mai stata più abbandonata.

Nella dichiarazione conclusiva della 51esima sessione della Commissione sulla popolazione e sviluppo, la Santa Sede denuncia che questi diritti sono diventati ormai “una ossessione”, e che questo non ha permesso di raggiungere invece un accordo sullo status dei migranti. La sessione era dedicata a “Città Sostenibili, Mobilità Umana e Migrazioni Internazionali”.

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L’intervento è stato pronunciato dall’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York, lo scorso 13 aprile.

La Santa Sede ha espresso il suo disappunto per il fatto che la commissione non è riuscita a definire un documento che “possa contribuire al miglioramento dello status dei migranti”, e questo è avvenuto a causa del “persistente fallimento” nel rispettare le condizioni “rosse” della Santa Sede – ovvero le posizioni cui gli Stati non potrebbero mai rinunciare, per nessun motivo.

Il tutto a causa – denuncia la Santa Sede – di quella che è “una ossessione su temi relativi alla salute sessuale e riproduttiva e sui diritti riproduttivi” e la mancanza di accettazione di un riferimento alla sovranità degli Stati secondo quanto stabilito dalla Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, che dice che “l’aborto deve essere determinato in accordo con le leggi nazionali”.

La Santa Sede aveva preso la parola nel dibattito l’11 aprile, parlando appunto di migrazioni. Queste erano state definite come “una risposta naturale alle crisi”, che rivela “il desiderio universale di felicità e una vita migliore”. Le migrazioni – ha detto la Santa Sede – se ben gestite “contribuiscono positivamente allo sviluppo sostenibile”.

L’arcivescovo Auza ha sottolineato che un approccio “genuinamente antropocentrico” alla migrazione internazionale comincia con l’assicurare ad ognuno “in diritto di rimanere in pace, prosperità e sicurezza nella propria terra”, facendo così delle migrazioni “una scelta, e non una necessità”, e che per rispettare questo diritto a restare si devono combattere “povertà e ineguaglianze” che guidano i movimenti “nelle e dalle nazioni” attraverso educazioni, sanità, programmazione urbanistica, piani case e protezioni sociali, affrontando anche situazioni di conflitto, crisi economiche, disastri naturali e degrado ambientale.

Per tutto questo – ha ammonito la Santa Sede – ci vuole “una sufficiente volontà politica” per ricevere i rifugiati e specialmente “i migranti vulnerabile” attraverso percorsi regolari che li proteggano dall’essere vittime di traffico, moderna schiavitù e altre forme di sfruttamento.

Laudato Si: le parole del Cardinale Parolin, una conferenza a Ginevra

Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato lo scorso 12 aprile a Port Moresby, in Papua Nuova Guinea, a parlare all’Assemblea Plenaria della Federazione delle Conferenze Episcopali Cattoliche di Oceania, che riunisce circa 75 membri tra vescovi di Australia, Nuova Zelanda, Isole del Pacifico, Papua Nuova Guinea e Isole Salomone.

Nel suo intervento, dedicato alla Laudato Si, il Cardinale Parolin ha sostenuto che c’è bisogno di una conversione radicale degli atteggiamenti nei confronti della creazione sia da parte di responsabili politici che delle singole persone, chiamate a vivere in maniera responsabile e sobrio.

Il Cardinale ha notato che “l’ideologia ha un grande impatto sul nostro approccio sulle questioni dell’ecologia e dell’ambiente”, e che questa ideologia “ci può portare a queste dannose conseguenze che il Papa ha menzionato nella Laudato Si”, una ideologia individualista le cui origini possono essere rintracciate nell’Illuminismo. Una ideologia, ha detto, che incoraggia la separazione l’uno dell’altro e dalla comunità e ci porta verso altri modi di vivere individualisti e indipendenti.

Nel suo viaggio in Oceania, il Cardinale Parolin ha anche in programma incontri con il primo ministro, il governatore generale e la comunità cattolica locale.

È stato dedicato alla Laudato Si anche un evento organizzato dalla Missione della Santa Sede a Ginevra in occasione della Giornata Internazionale della Terra lo scorso 13 aprile.

L’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore della Santa Sede, ha in particolare messo in luce come “le questioni sollevate dal Papa” nell’enciclica “derivano da una astuta osservazione: oggi la terra e le sue risorse sono troppo spesso bistratta e abusate”, e per questo Papa Francesco approva “la consapevolezza ambientale che cresce in tutto il mondo, insieme alla preoccupazione che si possa creare danno”.

L’arcivescovo Jurkovic ha poi sottolineato che “una parte essenziale del pensiero di Papa Francesco in questo campo riguarda le relazioni dell’ambiente con il godimento, la protezione e la promozione dei diritti umani”.

Il nunzio ha detto che nell’enciclica il Papa “sottolinea con chiarezza la necessità di proteggere la nostra casa comune attraverso una rinnovata enfasi nella relazione che la persona umana ha con Dio e con gli altri, specialmente con i più poveri e vulnerabili, ma anche con tutta la creazione”.

Ad ogni modo, il Papa non vede la soluzione del problema ambientale delle loro conseguenze “solo nel campo della tecnologia”, perché questo sarebbe seguire il paradigma tecnocratico che porta “al dominio della tecnologia sulla persona umana”, mentre “la soluzione per superare la situazione presente” è “riscoprire la relazione appropriata che l’uomo deve avere con la natura”, ma soprattutto con il “creatore”.

Solo così, si avrà una soluzione “omnicomprensiva” alla crisi attuale. È per questo – sottolinea l’arcivescovo Jurkovic – che “l’enciclica fa molto di più che dimostrare la devastazione della crisi ambientale”, perché mette in luce che la crisi “è il risultato di cattive decisione etiche”.

Il tema delle armi robot

Il paradigma tecnocratico denunciato nella Laudato Si, ma ancora prima nella Caritas in Veritate, è anche la linea guida della Santa Sede nel dibattito sulle Lethal Autonomous Weapons System (LAWS), le cosiddette “armi robot”. Al di là del tema del disarmo, e del disarmo nucleare, lo sviluppo di armamenti automatizzati è il tema del futuro, perché sempre più le guerre vengono mosse attraverso sistemi di attacco cosiddetti “intelligenti”.

Nel suo intervento sul tema, lo scorso 9 aprile, la Santa Sede ha messo in guardia del fatto che lo sviluppo delle LAWS “creerà la possibilità di alterare irreversibilmente la natura della guerra”, che diventerà sempre più “inumana, mettendo in questione la stessa umanità delle nostre società e obbligando gli Stati a risistemare le loro capacità militari”.

La Santa Sede ha sottolineato alcuni punti critici dell’uso delle LAWS. Prima di tutto, l’uso di sistemi di armi robot non “potrà mai essere un soggetto moralmente responsabile”, perché “l’unica capacità umana del giudizio umano e della decisione etica è sempre di più di una complessa collezione di algoritmi”, e la stessa applicazione di regole o principi “richiede una comprensione del contesto e delle situazioni che implica una comprensione ben al di là degli algoritmi”.

In secondo luogo, “un sistema di armi autonome può deviare delle aree di evoluzione degli oggettivi prescritti dalle autorità politiche e militari”, e per questo è sempre necessario avere sempre una “appropriata tracciabilità dell’uso della forza, con una accurata identificazione dei responsabili”.

Infine, “l’idea di una guerra portata avanti da armi autonome senza coscienza e senza responsabilità sembra nascondere un desiderio di dominio che porta con sé disperazione e una pericolosa mancanza di confidenza nella persona umana”.

Insomma, “un mondo in cui i sistemi autonomi sono lasciati a gestire, in maniera rigida o casuale, le questioni fondamentali correlate con le vite di esseri umani e nazioni ci porterebbe impercettibilmente alla deumanizzazione e ad un indebolimento dei legami di una vera e duratura fraternità della famiglia umana”.

Notizie dalle nunziature

Lo scorso 7 aprile, Papa Francesco ha nominato nunzio in Azerbaijan l’arcivescovo Paul Fitzpatrick Russel, che era già nunzio in Turchia e Turkmenistan – un incarico dove era arrivato dopo essere stato incaricato d’affari in Taiwan.

La decisione di Papa Francesco è una novità, perché in generale è il nunzio in Georgia e Armenia che è incaricato di gestire i rapporti con l’Azerbaijan, riunendo nella nunziatura di Tbilisi la responsabilità di tutti gli Stati della Regione Caucasica. Si pensava, quindi, che l’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nominato da poco nunzio in Armenia e Georgia, avrebbe assommato a sé anche l’incarico di nunzio in Azerbaijan.

È stato deciso, invece, di dare l’incarico al nunzio in Turchia, anche considerata la crescente tensione tra Azerbaijan e Armenia, ancora in conflitto per la regione del Nagorno Karabach, che è stato anche un tema dell’incontri diplomatici del presidente uscente di Armenia Sezh Sargsyan con la Segreteria di Stato vaticana lo scorso 5 aprile.

La decisione arriva non a caso due giorni dopo l’inaugurazione della statua di San Gregorio di Narek in Vaticano, che ha visto la presenza dell’ormai ex presidente di Armenia e dei Catholicos Karekin II e Aram I.

L'Azerbaigian e la Santa Sede intrattengono relazioni diplomatiche dal 24 maggio 1992, quando San Giovanni Paolo II pubblicò il breve Inter varia negotia di Papa Giovanni Paolo II.

Serbia, incontro tra il patriarca Ireneo e il nunzio

L’arcivescovo Luciano Suriani, nunzio apostolico in Serbia, ha incontrato lo scorso 10 aprile il Patriarca Ireneo, patriarca della Chiesa ortodossa serba, per gli auguri pasquali, a testimoniare lo spirito di cooperazione che lega la Santa Sede alla Chiesa Serbo Ortodossa.

Nunzio apostolico in Serbia dal 7 dicembre 2015, l’arcivescovo Suriani è chiamato a gestire costanti rapporti tra Santa Sede e Serbia. Un segno di queste relazioni è stata la commissione mista cattolico-ortodossa sulla vita del Cardinale Aloizje Stepinac, beatificato da San Giovanni Paolo II e la cui canonizzazione è fortemente contestata dalla Chiesa ortodossa serba. I lavori si sono conclusi nel luglio 2017, sebbene le posizioni siano rimaste distanti.

Lo scorso 30 gennaio, Ivica Dacic, ministro degli Esteri Serbo, ha incontrato in Vaticano il Cardinale Parolin e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, mentre il Papa ha ricevuto anche l’invito a visitare il Paese dall’ex presidente Tomislav Nikolic.

Il Cardinale Tauran in Arabia Saudita

Il Cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, è arrivato in Arabia Saudita il 14 aprile, per una visita di qualche giorno. È il secondo dignitario cattolico in pochi mesi a visitare ufficialmente il Paese dopo il Cardinale Bechara Rai, che fu ospite dell'Arabia Saudita dal 13 al 15 novembre.

Anche il Cardinale Tauran è stato accolto con tutti gli onori dal principe Mohammed bin Abdurrahman bin Abdulaziz, vice governatore della capitale, e da Mohammed bin Abdul Kareem al Issa, segretario generale della Lega Mondiale Musulmana che è stato recentemente in Vaticano a inizio febbraio dopo essere stato ricevuto anche da Papa Francesco lo scorso 2o settembre.

Santa Sede e Arabia Saudita non hanno rapporti diplomatici, e in Arabia Saudita non è nemmeno consentito costruire chiese. Ciononostante, il regno saudita sta da tempo cercando di aprire ponti di dialogo. Tra le iniziative, lo stabilimento del KAICIID, il centro per il dialogo interreligioso con sede a Vienna, di cui la Santa Sede è stato osservatore.

Dall’Europa

Lo scorso 21 marzo, la Santa Sede ha aderito all’Accordo Parziale allargato sugli Itinerari culturali, diventando il 32esimo membro dell’accordo. Si legge in un comunicato del Consiglio d’Europa che “mercoledì 21 marzo l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, ha informato Thorbjørn Jagland, segretario generale del Consiglio d’Europa dell’accesso parziale all’Assemblea sugli Itinerari culturali della Santa Sede”.

La nota esprime “attesa di accogliere la Santa Sede negli incontri e attività statutarie”, che sono gestite dall’Istituto per gli itinerari culturali che ha sede in Lussemburgo. L’accordo mira a certificare alcuni itinerari di particolare importanza per la costruzione dell’identità culturale europea. Nella lista degli itinerari certificati ora figurano oltre trenta percorsi, alcuni dei quali legati alla storia religiosa dell’Europa, come il Cammino di Santiago, Via Francigena, Itinerario delle abbazie benedettine e altri.