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Processo Palazzo di Londra, il Cardinale Parolin testimonierà in tribunale

Il Segretario di Stato vaticano ha accettato di testimoniare al processo. Lo farà probabilmente alla fine di gennaio. Il processo riprende l’anno prossimo. Attesa per l’interrogatorio di Ciferri e Chaouqui

Giuseppe Pignatone | Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale Vaticano, durante una udienza | Vatican Media Giuseppe Pignatone | Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale Vaticano, durante una udienza | Vatican Media

Ci sarà anche il Cardinale Pietro Parolin tra i testimoni del processo vaticano per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana. Lo ha annunciato Giuseppe Pignatone, presidente del Tribunale vaticano, nel corso della 42esima udienza del processo, l’ultima dell’anno. Pignatone ha detto di aver chiesto al Cardinale se fosse stato disponibile ad andare in tribunale o si fosse avvalso della possibilità di farsi interrogare nel suo ufficio, e che questi ha dato disponibilità ad andare in tribunale. Parolin sarà dunque ascoltato forse nel secondo “slot” di interrogatori, nel giro di udienze che si terrà dal 25 al 27 gennaio.

Il Cardinale Parolin non era indicato nella prima lista dei testimoni, così come non lo era l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato vaticana, che ha prodotto un corposo memoriale sulla vicenda puntando il dito sul “metodo Perlasca” e che pure potrebbe testimoniare, se si considera un accenno fatto nel corso delle precedenti udienze dal presidente Pignatone.
Le loro parole saranno una chiave importante per comprendere la vicenda dell’investimento della Segreteria di Stato nel palazzo di Londra, anche perché, a sentire le testimonianze che si sono succedute finora, sia Parolin che Pena Parra avevano avallato l’operazione finale. Vale a dire, quella di salvare l’investimento, prendendo il controllo totale del palazzo ed evitando le quote, pagando al broker Gianluigi Torzi un prezzo per cedere le quote in suo possesso (le sole con diritto di voto) e però permettendo alla Santa Sede di mettere a frutto l’investimento. Cosa che poi non avvenne per altre circostanze, tra cui anche il fatto che l’Istituto per le Opere di Religione accettò, e poi improvvisamente rifiutò, di dare un prestito alla Segreteria di Stato per estinguere i mutui che gravavano sull’immobile.

La stessa Segreteria di Stato si è costituita parte civile in questo processo, lamentando di aver subito un danno, e questo lo ha detto anche il Cardinale Parolin in una intervista che ha causato anche una condanna a Londra per la Segreteria di Stato, che per quelle dichiarazioni si trova impegnata in un altro contenzioso.

Di fatto, però, le azioni della Segreteria di Stato sono state svolte per salvare l’investimento e il patrimonio, e sempre in accordo con il Santo Padre. Se questo verrà confermato, cosa sarà di tutto l’impianto del processo?

I filoni di indagine

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Il processo, come si sa, ha tre filoni. Il primo è quello che, appunto, riguarda l’investimento della Segreteria di Stato in un immobile di lusso a Londra. Prima la Segreteria di Stato ha affidato la gestione delle sue quote al broker Raffaele Mincione, quindi le ha rilevate da Mincione e le ha affidate a Gianluigi Torzi, il quale aveva tenuto per sé le uniche quote con diritto di voto. Poi, la stessa Segreteria di Stato ha acquisito pieno controllo dell’immobile. Quello che si vuole capire è se ci sia stata estorsione o truffa ai danni della Santa Sede, ad opera sia dei broker, ma anche di tutto il mondo che è gravitato intorno all’investimento.

Quindi, il filone “Sardegna”, ovvero le accuse di peculato nei confronti del Cardinale Angelo Becciu per aver favorito, nella sua posizione precedente di sostituto della Segreteria di Stato, la Caritas del suo paese natale presieduta dal fratello e una cooperativa ad essa collegata, la SPES. In merito a questo filone, Pignatone ha anche ammesso i documenti arrivati via rogatorio dalla Procura di Sassari, che indagava su una presunta associazione a delinquere e che aveva acquisito varie informazioni, incluso il famoso audio della telefonata tra il Cardinale Becciu e il Papa.

In quella telefonata, si parlava dell’autorizzazione del Papa a sbloccare i fondi da destinare alla liberazione di una suora colombiana rapita in Mali, da destinare a Cecilia Marogna. È il terzo filone di indagine, che riguarda sia le modalità in cui Marogna è stata messa a contratto dalla Segreteria di Stato sia l’utilizzo che faceva dei fondi che le venivano destinati per attività umanitarie.

Tre diversi filoni, in pratica tre processi diversi, per dieci imputati e diverse società. È questa la matassa da sbrogliare per i giudici vaticani.

I prossimi testimoni

E in questa matassa si è aggiunto anche il colpo di scena delle ultime udienze, quando è stato interrogato monsignor Alberto Perlasca, per 12 anni capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato vaticana. Perlasca era prima indagato e poi è diventato un testimone, anche se in un memoriale e anche a processo ha stigmatizzato il fatto di essere stato definito un “super testimone”.

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Quello di Perlasca è stato un interrogatorio in due parti, a tratti drammatico, caratterizzato dai quattro avvertimenti di Pignatone che, in caso di affermazioni non veritiere, lo stesso Perlasca poteva essere incriminato per falsa testimonianza. Alla fine, è venuto fuori che parte delle azioni dello stesso Perlasca erano suggerite da Genevieve Ciferri, una anziana amica di famiglia che ha destinato al monsignore una nuda proprietà, e che i suggerimenti della Ciferri erano pilotati da Francesca Immacolata Chaouqui, già membro della Commissione Referente per la Struttura Economica Amministrativa della Santa Sede (COSEA) e poi imputata e condannata con pena sospesa durante il cosiddetto processo Vatileaks 3.

Chaouqui e Ciferri saranno sentite il prossimo 13 gennaio, e sarà interessante lo scenario che si potrà dipanare da quelle testimonianze. Tra l’altro, Perlasca aveva riferito in un interrogatorio di essere spaventato dal fatto che Ciferri avesse appreso di un suo rientro a casa in maniera precisissima, e che questa le aveva detto di aver saputo del suo ingresso in Vaticano da quello che era stato definito “un anziano magistrato” ed era nientemeno che la Chaouqui. Chi informava, dunque, degli ingressi in Vaticano? Chi poteva dare queste informazioni?

Potrebbe forse rispondere il commissario Stefano De Santis, che ha anche gestito le indagini, e che deve ancora finire di rendere la sua testimonianza. Ma ormai da ottobre ogni suo intervento in aula deve essere ricalendarizzato per “improrogabili ragioni di ufficio”. Si è detto in aula che sarà indisponibile fino a febbraio, e non si è capito con precisione se sarà per tutto febbraio o solo all’inizio. Vero è che il commissario è impegnato nella gestione della sicurezza del prossimo viaggio del Papa in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan. Anche vero che i continui rinvii non fanno bene alla fluidità del processo, né alla raccolta di informazioni che servirà poi alla sentenza.

I testimoni del 16 dicembre

Il balletto dei testimoni è comunque generale. Pignatone ha subito lamentato di aver saputo dell’assenza dell’avvocato Manuele Intendente con pochissimo preavviso. È stato così escusso solo Renato Giovannini, vicerettore dell’Università Telematica Marconi, che con Intendente avrebbe fatto da assistente legale di Torzi partecipando alla trattativa per la compravendita del Palazzo di Londra.

Un interrogatorio piuttosto surreale, quello di Giovannini, che ha detto più volte di non ricordare fatti o circostanze e quasi negando di aver mai prodotto chat partite o ricevute dal suo telefono che sono agli atti e che gli sono state mostrate. In due occasioni, Pignatone ha chiesto “uno sforzo di memoria”, sottolineando per il teste “l’obbligo di dire la verità”.

Giovannini però ha detto di non ricordare né le circostanze di viaggi a Lugano, né messaggi, chiamate e incontri con altri imputati, e nemmeno a cosa si riferissero espressioni come “incontriamo il nostro uomo in SS” (Santa Sede o Segreteria di Stato?) o “i giochi sono finiti”.

Ha solamente ammesso di aver rotto i rapporti con Fabrizio Tirabassi, officiale della sezione amministrativa della Segreteria di Stato. Non ricordava di aver generato una chat di gruppo con Intendente e Torzi chiamata “I magnifici tre”, ma la ha definita anche “un po’ goliardica”, sebbene le parti civili abbiano fatto notare che la chat era usata anche per comunicazioni di certo non goliardiche, come i pagamenti alla Aspigam International di Dubai,

Giovannini non ricordava neanche un incontro del 30 ottobre 2018 in Segreteria di Stato. Più volte Giovannini ha assicurato di non aver avuto alcun ruolo “tecnico” nella vicenda di Londra, né di aver mai ricevuto incarichi dalla Santa Sede. La Segreteria di Stato ha però fatto notare che c’è una nota di mandato per una sub assistenza di 350 mila euro. Giovannini ha detto di non ricordare nemmeno questo.

I prossimi passi

Giovannini è stato ascoltato solo dalle parti civili, e si è dovuto rinviare il resto dell’interrogatori perché lo stesso vicerettore aveva un impegno che aveva comunicato al promotore di Giustizia, ma di cui il promotore di Giustizia non aveva fatto menzione al presidente del Tribunale. Questi, molto infastidito, ha così chiuso l’udienza, notando che si trattava solo dell’ultimo di una serie di episodi.

Si riprende dunque il 12 gennaio, con probabilmente Giovannini e altri testi, mentre il 13 saranno ascoltate Ciferri e Chaoqui.

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Il 25 è probabile il Cardinale Parolin, che il 26 e 27 dovrebbe andare invece a Lourdes per l’incontro dei media cattolici. L’accusa ha detto nella scorsa udienza di rinunciare agli altri testimoni in lista. Le difese hanno tempo fino al 10 gennaio di presentare una lista testimoni aggiornata, magari stralciando quelli già sentiti in contro esame, o anche per produrre una nuova lista alla luce delle evidenze venute fuori in questi mesi di dibattimento.

Saranno, le prossime tappe, in grado di chiarire le vicende? Oppure solleveranno, come è successo fino ad ora, più domande che risposte?