Un momento di buio fitto, quando sembra che non ci sia più scampo, che nulla abbia più senso, che la propria vita non possa sfociare che nella disperazione: in quel momento, se si fa silenzio, se si riesce a mettersi in ascolto, Dio può bussare alla porta.
Maggio del 1221, ad Assisi. Antonio da Padova, che già si è fatto conoscere come predicatore, ha attraversato mezza Italia, dalla Sicilia contro le cui coste lo ha trascinato una tempesta, allontanandolo dalle terre di missioni dove era destinato, per arrivare al Capitolo generale dei frati fedeli a Francesco.
Una donna di cui si sa poco, soprattutto che arriva dalla terra di Canaa, una straniera, per la mentalità ebraica, e una pagana. Appare nei Vangeli, in quello di Matteo, con poche, straordinarie pennellate. Appare come madre angosciata, perché ha una figlia malata, tormentata da un demonio. Ha sentito parlare di Gesù e va da lui, come ultima speranza.Non importa se è di un’altra fede, ha sentito dire che può compiere miracoli e lei si aggrappa a questa convinzione.
Dante degli Alighieri viene cacciato dalla sua Firenze. Comincia una vita difficile, quella dell’esiliato, senza una patria, senza più avere neppure l’idea di quale sarebbe stato il suo destino. Solo due cose, forse, gli sono chiare: la sua fede e la coscienza della sua grandezza come poeta. Ed ecco che proprio nei primi anni dell’esilio Dante si trova a Verona.
In quella tiepida serata romana del 1978, in piena “ottobrata” – mese magico per la Città Eterna – in molti accorrono in piazza San Pietro: e’ attesa la nuova “fumata” dal Conclave, per l’elezione del nuovo Pontefice. L’attesa è spasmodica, come sempre, ma forse ancora di più, perché questo è l’anno “dei tre Papi”.
Le due donne si guardano, con un’intensità che supera i confini dello spazio e del tempo. Si guardano e si comprendono:
Si può ancora incontrare per le strade di Assisi, nelle vie tortuose e antiche, mentre ci si siede all’ombra di un campanile, in un chiostro delle tante, meravigliose chiese sbocciate come fiori di pietra dalla devozione che quel piccolo fraticello ha saputo far sorgere tutt’intorno a se’.
Un piccolo uomo dall’aria fragile, consunta, ma dal sorriso sereno, appena accennato: si appoggia ad un bastone, indossa un saio, quello dei frati cappuccini. Il colore della foto vira al seppiato, un colore che sa di storia, di passato, eppure quel sorriso, quella figura curva, piegata, emanano una forza che li rende vicini, contemporanei, o meglio senza tempo.
Primi giorni di marzo, nel 1953, di notte. Un bosco di querce e di pini, a Kuntsevo, pochi chilometri da Mosca, circonda una dacia isolata e sontuosa.
A Sant’Elena, piccola isola sperduta nell’Atlantico, aveva passato gli ultimi anni, a guardare l’infinito, a ripensare alla sua fulminante esistenza, a quante cose aveva fatto, alle battaglie, alle sconfitte, ai dolori subiti e a quelli inflitti. Tutti gli anni passati a correre da una terra all’altra, a dare ordini, a vedere tremare sotto di se’ infinite schiere di uomini e donne, e ora ritrovarsi solo, malato, stanco, davanti all’infinito.
Una bambina abbandonata, una città appena uscita dalla guerra e ancora piena di ferite – anche fisiche – lasciate da bombe e lutti, una donna di mezza età che si sente inutile, con una vita invisibile agli occhi di tutti: nel cuore di queste desolazioni fiorisce un giardino, strappato con determinazione, quasi con ferocia, alle macerie e alle proibizioni. Un giardino che cresce all’ombra di una chiesa diroccata, sotto gli occhi della statua di Maria Vergine con il suo Bambino.
“Se Cristo non è risorto”, afferma Paolo nella prima lettera ai Corinzi, “allora vana è la nostra predicazione e vana la nostra fede”.
Il Sommo Poeta, l’artefice della lingua italiana, il pilastro della letteratura di ogni tempo. Come trovare una definizione giusta per Dante Alighieri? Cosa dire di lui che non sia già stato detto, scritto, declamato?
Essere padri, nel più profondo senso del termine. Essere punto di riferimento, autorevole, non autoritaria. Una possibilità che oggi appare sempre più remota. Anzi, viene considerata un’imposizione, una sopraffazione, viene sistematicamente demolita. Ecco allora che la figura di San Giuseppe, di cui oggi si celebra la festa – e in un anno a questa figura espressamente dedicato come deciso da papa Francesco – assume un rilievo ancora più profondo. Questa figura necessariamente deve uscire dall’ombra, in cui è stata relegata a lungo, e torna ad assumere il ruolo che le compete.
Un giornale che non è solo un giornale, ma un microcosmo attraverso il quale “filtra” la visione dell’intero mondo, della storia, presente, passata, persino futura.
Occasioni che si uniscono intorno ad un unico nome: quello di Elena Bono, una delle scrittrici italiane più significative della seconda metà del XX secolo. Ma, fatalmente, anche una delle meno conosciute. Classe 1921, è nata il 29 ottobre a Sonnino, antico paese laziale, e morta nel 2014, il 26 febbraio, presso l’ospedale genovese di Lavagna. Cristiana, scrittrice, intensa, coerente, fino all’ultimo istante della sua vita.
Di Mario Pomilio solo qualche settimana fa ricorreva il centenario della nascita, avvenuta a Orsogna, in provincia di Chieti, il 14 gennaio 1921. Una ricorrenza che, purtroppo, non ha avuto la rilevanza che meriterebbe. Occasione per ricordare, anzi celebrare, uno scrittore importante, ma non abbastanza letto e ricordato. Eppure, basterebbero tre soli romanzi per definirne l’importanza.
Una folla vociante sciama dentro la Città Santa, tra i vicoli stretti e i banchi dei mercanti, donne e bambini che piangono e si disperano, i soldati romani che spingono con violenza il prigioniero, l’Uomo dei dolori, mentre trasporta la croce dove sarà inchiodato di lì a poco:
Sara è una bambina di appena quattro anni, allegra, vivace, una bambina come tante altre, amatissima dalla mamma Anna e dal papà Michele. Vive a Gubbio, con i genitori e un’altra sorella, da quel 31 dicembre 2002, giorno della sua nascita.
E’ scesa la notte, una notte silenziosa a Lourdes. Ferruccio Parazzoli, scrittore, saggista, una delle voci più limpide ed autorevoli della nostra letteratura contemporanea, si trova nella sua stanza, turbato, pieno di pensieri. Alza lo sguardo e in fondo alla stanza vede don Attilio, un sacerdote che aveva accompagnato la sua infanzia e adolescenza. Non è la prima volta che si trova in sua compagnia.