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Diplomazia pontificia, il ministro degli Esteri di Israele in Vaticano

L’ultima volta di un ministro degli Esteri israeliano in Vaticano è stata 12 anni fa. I dettagli del viaggio del Cardinale Parolin in Armenia e Azerbaijan. Le notizie dall’America Latina

Arcivescovo Gallagher, Eli Cohen | L'arcivescovo Gallagher accoglie il ministro Cohen, Palazzo Apostolico Vaticano, III Loggia, 13 luglio 2023 | Ambasciata di Israele presso la Santa Sede Arcivescovo Gallagher, Eli Cohen | L'arcivescovo Gallagher accoglie il ministro Cohen, Palazzo Apostolico Vaticano, III Loggia, 13 luglio 2023 | Ambasciata di Israele presso la Santa Sede

Per la prima volta in 12 anni, un ministro degli Esteri di Israele fa visita presso la Santa Sede. Lo fa in occasione dei 30 anni di relazioni diplomatiche tra i due Paesi, ma anche in una situazione che vede in Israele attacchi crescenti contro le comunità cristiane da parte di estremisti – attacchi sempre condannati da Israele.

Il Cardinale Parolin ha compiuto un viaggio umanitario tra Azerbaijan e Armenia, toccando con le autorità argomenti importanti come il blocco del corridoio di Lachin e la crisi umanitaria che ne è seguita. In Colombia, i vescovi si impegnano per la pace. In Bolivia, uno scandalo di abusi rischia di travalicare e colpire anche i rapporti tra Stato e Chiesa.

È una settimana diplomatica densa, che vede anche da segnalare il primo forum sulla libertà religiosa organizzato da Palazzo Chigi. Senza dimenticare gli aggiornamenti dall’Ucraina, in uno scenario sempre vivo.

                                                           PRIMO PIANO

Il ministro degli Esteri di Israele Eli Cohen in Vaticano

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Erano 12 anni che un ministro degli Esteri di Israele non faceva visita in Vaticano. Eli Cohen, il capo della diplomazia di Israele, è stato in visita dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, in un colloquio che ha rimarcato i valori comuni, ha cercato di accelerare la conclusione dell’accordo economico tra Santa Sede e Israele collegato all’accordo fondamentale, ha visto il governo israeliano impegnarsi per fermare gli atti anticristiani.

A parlare dell’incontro con ACI Stampa è Tania Berg-Rafaeli, direttore del Dipartimento per le Religioni del Mondo del Ministero degli Esteri di Gerusalemme, che ha preparato il terreno della visita di Cohen con degli incontri precedenti, tra cui uno con padre Fabio Baggio, segretario del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Integrale.

Berg-Rafaeli ha detto che l’incontro è stato molto simbolico, considerando che Israele e Santa Sede celebrano quest’anno i 30 anni di relazioni diplomatiche.

Prima di tutto, ha detto, si è parlato del fenomeno degli atti anti-cristiani che si sono verificati in Israele ad opera di estremisti ebraici. Si è trattato di una serie di atti che hanno incluso anche vandalismi nelle chiese, condannati tra l’altro dal governo israeliano.

Berg-Rafaeli ha detto che il ministro degli Esteri ha reiterato con l’arcivescovo Gallagher “la condanna di Israele e la sua personale, sottolineando che questi atti non riflettono la società israeliana”, caratterizzata invece da “libertà religiosa e di culto per tutte le comunità religiose”:

Cohen ha fatto anche sapere che “è in contatto costante con la polizia”, che ha invitato ad arrestare prontamente i responsabili.

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Secondo tema è stato l’Accordo Economico tra Israele e la Santa Sede. Questo accordo andava insieme all’Accordo Fondamentale del 1993, e riguarda – ad esempio – le tasse che devono pagare i luoghi di culto. Si tratta di un accordo – ha detto Berg-Rafaeli – che è “in costante negoziazione tra le parti da più di 20 anni e non è ancora finito. Stiamo cercando di rinnovarlo ed entrambe le parti sono interessate a rinnovarlo”.

Terzo tema riguarda la restituzione di 4 cittadini israeliani prigionieri di Hamas a Gaza. Si chiede la restituzione dei corpi di due di loro, già morti, e di altri due cittadini vivi. Lo scorso Natale, Papa Francesco ha incontrato i rappresentanti delle 4 famiglie, e l’arcivescovo Gallagher ha incontrato la madre di uno dei soldati. “Gallagher ha anche affermato di essere in contatto con leader religiosi nel Medio Oriente” che potrebbero aiutare a risolvere la questione. Il prossimo agosto, saranno nove anni dalla scomparsa.

Secondo un comunicato del Ministero degli Esteri israeliano, Cohen ha ringraziato la Santa Sede per la sua importante attività nella lotta contro l'antisemitismo e per l'assistenza prestata nel promuovere la questione dei prigionieri e delle persone israeliane scomparse. Inoltre, i due Rappresentanti hanno discusso della grande importanza della lotta al cambiamento climatico, e della possibilità di una cooperazione nella "diplomazia climatica" basata sui valori condivisi sulla materia tra Israele e Vaticano.

Parlando con i giornalisti, Cohen ha dichiarato: "Siamo impegnati a mantenere la  sicurezza e dignità dei cristiani, e continueremo a farlo, e mostreremo tolleranza zero nei confronti dei casi di violenza basata sull'odio. Ho ringraziato mons. Gallagher per l'impegno nella lotta contro l'antisemitismo e ho invitato il Vaticano ad adottare la definizione di antisemitismo internazionale secondo l'International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA)"

Berg-Rafaeli è stata anche da padre Baggio al Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale. Si è trattato della prima visita di una ambasciata al dicastero. Berg-Rafaeli ha sottolineato la volontà di promuovere una relazione bilaterale con il dicastero, con possibilità di cooperazione basata su valori comuni. Si è trattato di un incontro interlocutorio, che va ulteriormente approfondito.

                                                 FOCUS CAUCASO

Il viaggio del Cardinale Parolin in Azerbaijan

.Dall’8 all’11 luglio, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato in visita in Azerbaijan.

Lo scorso anno, Santa Sede e Azerbaijan hanno festeggiato i 30 anni di relazioni diplomatiche. Nel 2021, l’Azerbaijan ha stabilito una ambasciata residenziale presso la Santa Sede.

La Santa Sede ha anche relazioni ben stabilite con la Heydar Aliyev Foundation, la fondazione legata al presidente azerbaijano che ha finanziato importanti opere di restauro in Vaticano.

C’è anche un protocollo di intesa tra la Fondazione e la comunità cattolica, con una serie di attività volte allo sviluppo interculturale delle persone che vivono in Azerbaijan.

Il 10 luglio, il Cardinale Parolin ha incontrato a Baku il ministro degli Esteri Jeyhun Bayramov. Secondo il comunicato ufficiale del governo azero, "durante la conversazione si è discusso sullo stato attuale e le prospettive future delle relazioni"  e anche "sul processo di pace tra l'Azerbaigian e l'Armenia nonché sull'attuale situazione nella regione." Nei colloqui Jeyhun Bayramov ha attribuito molto rilievo ai rapporti bilaterali e si è mostrato "fiducioso che l'ambasciata dell'Azerbaigian in Vaticano, di recente apertura, possa servire all'ulteriore sviluppo della cooperazione" tra Vaticano e Baku.

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La nota ufficiale del Ministero osserva che il governo azero ha voluto fornire al cardinale "informazioni dettagliate sulla situazione dopo la guerra patriottica di 44 giorni, nonché sui crimini, gli atti di vandalismo al patrimonio culturale e religioso distrutto nei nostri territori liberati dall'occupazione".

Il riferimento è alla guerra in Nagorno Karabakh, dove tra l’altro erano state precedentemente distrutte vestigia dell’eredità cristiana, e lamenta che anche la presenza armena nella regione ha portato alla distruzione del patrimonio azerbaijano.

La dialettica azerbaijana punta a definire che c’era una presenza azerbaijana più antica nel territorio, cercando dunque di rivendicare la regione storicamente. Da parte armena, si lamenta invece anche un “genocidio culturale” avvenuto da quando il Nagorno Karabakh è stato dato all’amministrazione azerbaijana negli anni Venti del secolo scorso.

La visita del Cardinale Parolin in Armenia

Dopo essere stato in Azerbaijan, il Cardinale Parolin è arrivato l’11 luglio in Armenia, dopo un passaggio da Tbilisi, in Georgia. Tra i suoi incontri, quello con il presidente armeno Vahagn Khachaturyan e con il primo ministro Nikol Pashinyan.

Kachaturyan ha ringraziato la Santa Sede e il Papa per i suoi “sforzi esortazioni e preghiere diretta a stabilire una pace duratura nella nostra regione”.

Tra i temi dell’incontro, quello del blocco del corridoio di Lachin, che collega la capitale del Nagorno Karabakh / Artaskh Stepanakert con la capitale armena Yerevan. Il presidente ha parlato della crisi umanitaria nel Paese per la mancanza di gas, elettricità e comunicazione.

Da parte sua, il Cardinale Parolin – sottolineano le agenzie armene – ha enfatizzato la necessità di assicurare la pace e stabilità nella regione e di creare una atmosfera di confidenza tra le parti.

Il cardinale e il presidente hanno insistito sulla necessità di assicurare la continuità delle negoziazioni che stanno avendo luogo, ma anche che queste negoziazioni devono garantire la protezione degli armeni del Nagorno Karabakh.

Il Primo Ministro Pashinyan ha invece sottolineato che la presenza del Segretario di Stato della Santa Sede rispecchia “la disponibilità a dare nuovo impulso alle relazioni tra la Repubblica di Armenia e Santa Sede”, e Parolin ha ricordato come nell’ottobre 2021 sia stata aperta a Yerevan la sede della nunziatura, mentre fino a quel momento il nunzio in Armenia operava dalla nunziatura di Georgia.

Sempre l’11 luglio, il Cardinale ha visitato il Tsitsernakaberd, il monumento in ricordo del genocidio armeno del 2015. Il Cardinale ha anche ceebrato una Messa nella cattedrale di Gyumri.

Di particolare importanza l’incontro che il Cardinale Parolin ha avuto con il Catholicos della Chiesa Apostolica Armena Karekin II.

Secondo le informazioni diffuse da Etchmiadzin, il “Vaticano” della Chiesa Apostolica armena, hanno partecipato anche l’arcivescovo Nathan Hovhannisyan, direttore del Dipartimento del Protocollo della Relazioni Estere della Sede Madre di Etchamiadzin, e l’Arcivescovo Khajak Barsamian, rappresentante della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede, nonché l’ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede Garen Nazarian e l’arcivescovo José Bettencourt, nunzio apostolico in Armenia.

Il Catholicos Karekin II ha sottolineato l’importanza della visita del Segretario di Stato in Armenia, e espresso soddisfazione per gli sforzi compiuti per superare le sfide che attendono l’Armenia e l’Artaskh, l’antico nome armeno del Nagorno Kharabakh.

Il Catholicos ha ricordato il blocco dell’Artaskh e il disastro umanitario che ha creato, ha messo in luce i problemi di sicurezza che l’Armenia deve affrontare, e ha sottolineato che è necessario un intervento concreto della comunità internazionale per fermare le ambizioni espansionistiche dell’Azerbaijan e proteggere il diritto all’autodeterminazione degli armeni in Nagorno Karabakh.

Il Cardinale Parolin ha portato al Catholicos i saluti di Papa Francesco, ricordando che l’apertura di una nunziatura a Yerevan contribuirà anche ad avere una più stretta interazione tra vaticano e Etchmiadzin.

Il Segretario di Stato vaticano ha quindi sottolineato che la sua visita nel Sud Caucaso ha natura umanitaria e mira a contribuire alla risoluzione pacifica del conflitto tra Armenia e Azerbaigian, osservando che “il processo per raggiungere la pace finale è complicato perché ci sono molti ostacoli e non si sono ancora registrati i risultati attesi in questo senso”.

“Nel corso del colloquio – conclude la nota di Etchmiadzin - il Catholicos di tutti gli Armeni ha espresso la sua soddisfazione per il sostegno e l'appoggio mostrato dalla Santa Sede e dal Sacro Romano Pontefice all'Armenia e al popolo armeno in questo difficile periodo, e ha anche trasmesso i suoi fraterni saluti e auguri a Papa Francesco”.

                                                           FOCUS EUROPA

Incontro Gallagher – Tajani

Lo scorso 3 luglio, nell’ambito di regolari incontri inaugurati nel periodo in cui Giuseppe Fioroni era ministro degli Esteri, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, ha avuto un incontro con il suo omologo italiano, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che è anche vicepremier.

Secondo un comunicato della Farnesina, “nel corso dell’incontro, sono state affrontate alcune delle principali questioni dell’attualità internazionale, con particolare riferimento alla guerra in Ucraina, alla pace e alla sicurezza in Medio Oriente e alla situazione nei Balcani Occidentali”.

Il ministro Tajani “ha ribadito l’intenzione del Governo italiano di continuare a fornire all’Ucraina il proprio sostegno politico, militare, umanitario, finanziario ed economico fino a quando sarà necessario. Ha espresso grande apprezzamento per gli sforzi della Santa Sede volti a favorire l’avvio di un dialogo tra le parti, elogiando l’azione dell’Inviato Pontificio, il Cardinale Matteo Maria Zuppi”.

Guardando a Medio Oriente e Mediterraneo, il governo italiano ha detto di essere molto impegnato nella stabilizzazione della Tunisia. C’è stato anche un confronto sul processo di pace in Medio Oriente, Libia, Libano e Siria.

Nel comunicato della Farnesina si sottolinea anche che “il Vicepremier e Mons. Gallagher hanno inoltre discusso delle tensioni tra Serbia e Kosovo. In proposito, l’Italia sostiene con fermezza una de-escalation e invita le parti a dare piena attuazione all’accordo raggiunto a Ohrid il 18 marzo scorso. Tajani ha ricordato l’importanza che il nostro Paese attribuisce al percorso di integrazione europea dei Balcani Occidentali”.

Si è parlato anche dell’organizzazione del Giubileo 2025.

Ucraina, Gallagher precisa la posizione del Papa

La rivista di geopolitica Limes compie 30 anni, e lo scorso 13 luglio ha celebrato con la presentazione dell’ultimo quaderno, Lezioni Ucraine, in una conferenza che ha visto la partecipazione dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati.

Nel suo discorso, Gallagher ha avuto anche parole critiche per come la rivista abbia incluso la posizione della Santa Sede in un articolo che riguardava prettamente l’Italia, confondendo così due soggetti completamente differenti, e ha voluto precisare anche l’interpretazione che viene data alle “parole e gesti” del Papa”.

Il ministro degli Esteri vaticano ha detto che è “incontestabile, ed è anche onesto riconoscerlo, che ‘la reazione degli ucraini alle dichiarazioni di Papa Francesco riflette una profonda delusione’ (p. 86 del volume). Ciò, infatti, è stato manifestato sia dalle Autorità governative ucraine, sia da vari rappresentanti religiosi delle Chiese e delle comunità ecclesiali locali, in alcuni casi anche recentemente. Le parole e i gesti pubblici del Papa sono dati di fatto e la loro interpretazione può giustamente essere data con libertà e discrezionalità”.

Tuttavia, ha chiosato, “interpretarli come ‘atti di pacifismo vuoto’ ed espressioni del ‘genere teatrale del pio desiderio’ (p. 87), non rende giustizia alla visione e alle intenzioni del Santo Padre, che non vuole rassegnarsi alla guerra e si ostina a credere nella pace, invitando tutti a esserne tessitori e artigiani creativi e coraggiosi”.

Secondo Gallagher, il Papa non è ispirato da altro che dalla volontà di rendere possibile il dialogo e la pace, mentre non è di certo intenzione della Santa Sede, come si sottolinea ancora in un contributo del quaderno di Limes, di “chiudere gli occhi di fronte ai sistematici crimini di guerra da parte dell’esercito e delle autorità russe e mettere sullo stesso piano un paese aggressore con un aggredito”.

Anzi, Papa francesco, con tutte le iniziative svolte a favore del popolo ucraino, ha “chiaramente dimostrato a livello concreto chi è l’aggressore e chi è la vittima”.

Insomma, non ci si trova di fronte ad una “retorica di pace”, ma piuttosto di fronte ad una “profezia di pace” che sfida la realtà della guerra e la sua presunta ineluttabilità.

Non solo. L’arcivescovo Gallagher ha notato che spesso è proprio la posizione della Santa Sede a venire oscurata. “Mentre giustamente – ha detto - si esprime grande apprezzamento e gratitudine alle ambasciate che dinanzi alla marcia russa verso Kyiv non hanno lasciato il Paese, ma si sono spostate a Lviv, non si fa il minimo cenno al fatto che, davanti alla stessa minaccia, il nunzio apostolico è rimasto nella capitale ucraina, sostenuto dall’apprezzamento e dalla gratitudine pubblica di Papa Francesco. Tale scelta del rappresentante pontificio dimostra chiaramente che il desiderio della Santa Sede non è quello di voler ‘giocare un ruolo’ (p. 253 del volume) nella tragica guerra russa in Ucraina, ma di mostrare concreta vicinanza cristiana a un popolo martoriato e di spendersi per la pace”.

L’arcivescovo Gallagher ha ricordato le varie iniziative umanitarie della Santa Sede in Ucraina, menzionando in particolare quelle del Cardinale Konrad Krajewski, sottolineando che la guerra in Ucraina è soprattutto “una tragedia da superare, e lo stesso sforzo di comprensione non deve limitarsi ad essere un impegno meramente speculativo, ma deve facilitare l’ardua ricerca di vie d’uscita”.

 Oggi, ha spiegato ancora Gallagher, ci sono “alcuni atteggiamenti che dovrebbero cambiare al fine di favorire la pace”, a partire proprio dalla logica della guerra che continua a prevalere, perché l’idea che “non ci sia niente da fare, che non vi sia spazio per la parola, per il dialogo creativo e la diplomazia” non può avere la meglio.

Per il “ministro degli Esteri” vaticano, c’è bisogno “di piccoli mutamenti che rendono possibile superare alcuni schemi e aprire la mente e il cuore all’altro”, perciò “la tendenza a giustificare la sfiducia nell’altro deve essere superata da un ancor maggiore impegno a costruire la fiducia reciproca. In questo senso può essere di reale aiuto rafforzare le iniziative umanitarie già esistenti, come quella sullo scambio dei prigionieri di guerra o sull’esportazione dei cereali, e quella sul rimpatrio dei bambini, che il cardinale Matteo Zuppi sta cercando di mettere in atto a seguito della doppia missione svolta a Kyiv e a Mosca”.

Dialogo con Mosca, il metropolita Antonij visiterà Bari

Dopo la visita del Cardinale Zuppi a Mosca per una missione umanitaria che riguardava soprattutto la liberazione dei bambini deportati in Russia, anche l’arcivescovo Filippo Santoro di Taranto è stato a Mosca guidando una delegazione dell’associazione “L’Isola che non c’è” per consegnare alla cattedrale cattolica della Madre di Dio un bassorilievo dedicato a San Nicola, opera dello scultore Cosmo Giuliano.

Ad aprile, la stessa delegazione era stata a Kyiv e aveva consegnato un altro bassorilievo che raffigurava San Michele Arcangelo.

Il bassorilievo di San Nicola è stato consegnato il 9 luglio, in una cerimonia cui hanno partecipato l’arcivescovo della Gran Madre di Dio di Mosca Paolo Pezzi e l’ambasciatore italiano in Russia Giorgio Starace. La visita dell’associazione è una risposta all’appello di Papa Francesco del 15 ottobre dello scorso anno che la pace fosse profetizzata al mondo intero, ha affermato l’arcivescovo Santoro.

Il 10 luglio, la delegazione e l’arcivescovo Pezzi sono stati ricevuti dal metropolita Antonij di Volokolamsk, capo del Dipartimento di Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca. Secondo quanto riferiece il sito del Dipartimento, i colloqui sono stati “cordiali”, e hanno riguardato soprattutto la partecipazione dei cristiani a progetti umanitari volti ad aiutare le vittime dei conflitti. L’arcivescovo Santoro, al termine dei colloqui, ha annunciato la prossima visita del metropolita Antonij a Bari.

Cristiani perseguitati, a Palazzo Chigi il primo Forum sulla libertà religiosa

Per la prima volta, si è tenuto a Palazzo Chigi un Forum sulla libertà religiosa del mondo, con un particolare focus sul Pakistan promosso da Davide Dionisi, inviato speciale per la Promozione della libertà religiosa e la tutela delle minoranze religiose.

Intervenendo al convegno, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha sottolineato che “uno Stato non può rivendicare una competenza diretta o indiretta sulle convinzioni religiose dei suoi cittadini”, e ha aggiunto che “le Istituzioni nazionali non possano arrogarsi il diritto di imporre o impedire la professione e la pratica pubblica della religione di una persona o di una comunità”.

Oltre al ministro degli Esteri e vicepremier italiano, partecipavano al Forum anche l’ambasciatore del Pakistan presso la Repubblica italiana, Ali Javed; Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre; Valeria Martano della Comunità di Sant’Egidio; Daniela Canclini della Pontificia Università Urbaniana; Andrea Benzo, inviato speciale della Farnesina per la libertà religiosa e il dialogo interreligioso; e Sara Fumagalli di Umanitaria Padana Onlus.

Parlando proprio del Pakistan, Martano ha notato che i cristiani sono emarginati anche perhcé vivono in uno svantaggio sociale ed economico, tanto che “solo il 25% della minoranza cristiana nel Paese, infatti, ha ricevuto l’istruzione base, mentre il restante 75% non è scolarizzato. La povertà educativa si traduce nell’impossibilità di accedere a lavori di livello medio alto, e quindi, si trasforma in emarginazione sociale ed economica". "L’integrazione, con programmi di educazione alla pace ed alla convivenza, fa sì - prosegue - che la promozione dell’educazione non rappresenti solo un vantaggio individuale ma che abbia una ricaduta positiva su tutto il tessuto sociale del Pakistan". 

Daniela Canclini ha notato che “la realtà e i problemi dei più poveri al mondo e i problemi di chi soffre la mancanza di libertà religiosa siano coincidenti, perché chi è discriminato a causa della religione ha anche svantaggi economici e sociali, a maggior ragione se donna". Tra l’altro, ha detto Canclini, la libertà religiosa non sia un diritto riconosciuto nelle attività di sviluppo internazionale, e non sia compresa nell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile".

Sara Fumagalli ha presentato il progetto di Umanitaria Padana Onlus, che punta a liberare alcune giovani donne pakistane dal tragico destino di tante povere ragazze cristiane, "costrette dalla miseria all'analfabetismo, al lavoro minorile e allo sfruttamento, ed esposte a matrimoni e conversioni forzate, con abusi che talora si spingono fino allo stupro, alla tortura o alla morte". Ci sono già ragazzi recuperati che hanno potuto completare il percorso di studi con un dottorato.

                                                           FOCUS AMBASCIATORI

Ambasciatori presso la Santa Sede, due congedi

Lo scorso 10 luglio, si sono congedati da Papa Francesco l’ambasciatore Jakob Stunf, che ha terminato il suo incarico come ambasciatore di Slovenia presso la Santa Sede, e l’ambasciatore Denis Knobel, che ha terminato il suo incarico di ambasciatore di Svizzera presso la Santa Sede.

Durante questi anni, l’ambasciatore Stunf ha accompagnato dal Santo padre due presidenti e un primo ministro, ha visto la visita del Cardinale Pietro Parolin a Bled per il Bled Strategic Forum e si è reso protagonista di molte iniziative. Il Cardinale Parolin è anche stato recentemente a Koper, per il Forum Ecumenico Europeo, una iniziativa che ha posto la Slovenia all’avanguardia del movimento ecumenico europeo. Da ricordare anche la conferenza ecumenica europea di Koper (Capodistria), anche questa con la partecipazione del Segretario di Stato della Santa Sede.

Sotto la gestione di Denis Knobel si sono stretti ulteriormente i rapporti tra Svizzera e Santa Sede. Knobel ha inaugurato la sede dell’ambasciata di Svizzera presso la Santa Sede. Prima, l’ambasciatore svizzero presso la Santa Sede era contemporaneamente accreditato in Slovenia, e aveva sede a Lubiana.

Il 5 luglio, Ivan Soltanovsky, nuovo ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede, ha presentato copia delle lettere credenziali all’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato. È il primo passo verso la presentazione delle lettere di accredito direttamente al Santo Padre. Come per tutti gli ambasciatori residenziali, la presentazione dell’ambasciatore russo sarà con una udienza privata al Santo Padre.

                                                           FOCUS AFRICA

Marocco, un ricevimento per i dieci anni di pontificato di Papa Francesco

Il 12 luglio, l’Ambasciata del Marocco presso la Santa Sede ha ospitato un ricevimento per celebrare il decimo anniversario di pontificato di Papa Francesco. Il ricevimento è stato anche una occasione di congedo per l’arcivescovo Vito Rallo, nunzio apostolico in Marocco, che ha deciso, per condizioni di salute, di approfittare della norma che permette ai nunzi di ritirarsi a 70 anni.

Il ricevimento ha visto una partecipazione di altissimo livello, a partire dal ministro degli Habous e degli Affari Islamici Ahmed Toufiq, che ricopre l’incarico dal 2002, ma anche dal segretario generale della Rabita Mohammedia degli Oulema, dei diretto degli Affari Esteri della Cooperazione Africana e dei Marocchini Residenti all’Estero e quasi tutti gli ambasciatori accreditati. Non poco, per il ricevimento di una ambasciata della Santa Sede in un Paese islamico.

Nel suo discorso, l’arcivescovo Rallo ha ricordato l’elezione di Papa Francesco dieci anni fa, ha ricordato che questi ha chiesto alla Chiesa di riformarsi dall’intero, di essere “Chiesa in uscita e più vicino alla gente”, e ricorda “costantemente che la Chiesa non deve essere una istituzione che si concentra su se stessa, ma piuttosto al servizio degli altri”.

L’arcivescovo ha poi ricordato la storica visita del Papa a Re Mohammed VI, al popolo marocchino e ai cristiani nel 2019, e ringraziato Dio “per questo pastore umile e amorevole, che ci guida davanti a tempi incerti”.

Il nunzio ha poi ricordato la sua pensione, sottolineando che rimarrà in Marocco fino al 24 agosto, e dopo la guida della nunziatura sarà presa dal Cancelliere Mauro Cionini come chargée d’affairs ad interim.

Ricordando la sua missione diplomatica in Marocco cominciata nel 2015, l’arcivescovo Rallo ha voluto sottolineare come il ministro Toufiq gli abbia mandato già dopo la sua nomina una lettera d auguri per Natale che iniziava con le parole “Caro fratello nella fede”. Ricordandone il curriculum – dal 2015, Toufiq è anche presidente delegato della Fondazione Mohammed VI degli Ulema Africani, mentre nel 2010 è stato nominato presidente della Fondazione della Moschea Hassan di Casablanca – il nunzio ha sottolineato che il ministro ha responsabilità su 52 mila moschee e sugli imam che officiano lì, nonché su quelli che sono inviati in Europa e in altri Paesi africani. Allo stesso tempo, ha voluto mettere in luce il profondo dialogo che il ministro ha avuto con la Chiesa, e in particolare con i diversi arcivescovi di Rabat e con il Cardinale Cristobal Lopez Romero, che ha addirittura accompagnato a Roma in occasione del Concistoro che lo creò cardinale.

“A nome della Chiesa Cattolica – ha detto il nunzio – vi ringrazio sinceramente per tutto quell oche avete fatto per mantenere e far sviluppare buone relazioni, intesa, amicizia e amore fraterno tra musulmani e cristiani”.

L’arcivescovo Rallo ha poi ricordato le varie attività di dialogo interreligioso intraprese, nonché la pubblicazione del libro “Rabat, Capitale Africana del Dialogo Interreligioso”, libro donato anche personalmente al Papa.

L’arcivescovo ha anche ringraziato personalmente le istituzioni e personalità presenti, e ricordato che durante il suo periodo da nunzio è stato colui che ha potuto presentare al Papa i nomi dell’arcivescovo di Rabat e di Tangeri.

Un ringraziamento particolare è andato al Re Mohammad VI, il “Comandante dei Credenti”, perché in Marocco “noi cristiani, siamo cattolici, ortodossi o protestanti, possiamo vivere la nostra fede in rispetto e libertà”, e questo grazie anche a un re “che ricorda coraggiosamente e regolarmente che il Corano ordina di venerare e di rispettare tutti i profeti e tutte le religioni del Libro”, un re “aperto, che sostiene l’Islam del giusto mezzo, un Islam ancorato alla sua tradizione, aperto e pacifico, che permette una piena coabitazione tra i cristiani e i credenti della comunità ebrea”.

La speranza del nunzio è che questo Marocco aperto e interreligioso sia emulato.

Congo, verso le elezioni

L’arcivescovo Marcel Utempi, metropolita di Kisangani e presidente della Conferenza Episcopale del Congo, ha invitato lo scorso 6 luglio il popolo congolese ad “aprire gli occhi” in vista delle prossime elezioni.

Parlando ad una conferenza stampa, il presule ha sottolineato che “le elezioni ci danno il potere di rinnovare la fiducia nei vertici delle istituzioni che hanno servito bene il Paese, ma anche di punire tutti coloro che si sono comportati male servendo i propri interessi. Di fronte ai nuovi candidati, abbiamo invitato il popolo congolese a privilegiare criteri oggettivi di competenza e probità morale”.

                                                           FOCUS AMERICA LATINA

Colombia, il messaggio dei vescovi sul processo di pace

Al termine della 115esima Assemblea Plenaria della loro Conferenza Episcopale, lo scorso 7 luglio, i vescovi colombiani hanno rilasciato una dichiarazione in cui si sottolinea che “la ricerca della pace è un lavoro che chiede tutta la nostra attenzione, proposito e perseveranza. È un dono di Dio e un impegno umano”.

Il vescovo Omar Alberto Sanchez Cubillos, vicepresidente della Conferenza Episcopale, ha sottolineato che nella dichiarazione i vescovi hanno riaffermato “il nostro impegno ad essere, in Colombia, una Chiesa misericordiosa che si commuove, che aiuta l’altro quante volte sia necessario”.

Lo stesso vescovo Cubillos, in una intervista concessa al quotidiano colombiano El Tiempo, ha spiegato che i vescovi – che sono prima di tutto “pastori, non politici o analisti sociali” – sono chiamati a lavorare “per una architettura della pace con segni e fermi e a partire dalla nostra condizione umana, senza precipitare, senza uscire dai margini dei processi, senza estremismi ne grandi discorsi, senza linguaggi violenti” che intorpidiscono la misericordia.

Piuttosto, i vescovi sono chiamati “ad una pazienza attiva che non faccia cadere nella paura dell’indolenza”.

L’arcivescovo Cubillos ricorda che in Colombia ci sono “vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici assassinati per il loro spirito di coerenza”, e dice agli agenti armati nel Paese che perdono ogni legittimità nel momento in cui “rompono i parametri del diritto internazionale umanitario e di attentare contro le persone della società civile”, perché così “non sono più credibili nei processi di riconciliazione e di pace”.

Nicaragua, ad un altro sacerdote è stato impedito l’ingresso nel Paese

Il sacerdote nicaraguense Juan Carlos Sànchez, vicario della parrocchia di San Francesco di Assisi a Managua, non è potuto rientrare in Nicaragua, dopo che aveva lasciato il Paese per partecipare ad una ordinazione sacerdotale in Bolivia.

Il religioso lo scorso sabato doveva partire da Miami per ritornare direttamente in Nicaragua, ma non ha potuto neanche entrare a bordo, perché le autorità nicaraguensi gli avevano negato l’ingresso del Paese.

La decisione di divieto di ingresso nel Paese è stata presa dalla Direzione Generale di Migrazione e Forestieri in Nicaragua, in maniera del tutto discrezione e senza spiegare il motivo.

Fino allo scorso 7 giugno, il regime nicaraguense aveva obbligato 77 religiosi ad abbandonare il Paese. Negli ultimi cinque anni, il regime di Ortega ha espulso al meno 40 religiosi, mentre altri 17 si sono autoesiliati per ragioni di sicurezza.

Le relazioni tra il regime di Ortega e la chiesa vive in questo momento una grande tensione.

Bolivia, una commissione speciale della Camera per gli abusi del clero sui minori

Dopo le ultime rivelazioni di abusi sessuali da parte del clero, in Bolivia è cominciata una deriva anti-ecclesiastica, che è arrivata persino a chiedere di modificare l’accordo tra Santa Sede e Bolivia. Il 12 luglio la Camera dei Senatori ha confermato la nomina di una Commissione Speciale di Investigazione per i delitti di abuso sessuale e altri delitti connessi relativi alla violenza sessuale suscitati in situazioni ecclesiali che costituiscono pedofilia clericale.

Lo stabilimento della commissione è stato approvato con 23 voti su 27 senatori presidenti. La commissione durerà per tre mesi a partire dall’approvazione, e agirà secondo il principio dell’interesse superiore dell’infanzia e dell’adolescenza.

La risoluzione chiede anche un adeguato coordinamento con la società civile e attuare una protezione rafforzata in ogni momento per le vittime e i sopravvissuti.

I casi di abusi sui minori nella Chiesa sono venuti alla luce il 30 aprile, dopo che il periodo locale El Pais ha pubblicato il “Diario di una sacerdote pedofilo”, in cui il sacerdote gesuita Alfonso Pedrajas ammetteva di aver abusato di almeno 80 minori in centri educativi, la maggioranza dei quali nella struttura Giovanni XXIII di Cochabamba.

                                                           FOCUS ASIA

La situazione in Goa

L’isola di Goa è stata sotto dominazione portoghese dal 1510 al 1961, l’arcivescovo di Goa ha il titolo di patriarca delle indie dell’Est, e l’influenza di Goa sul cattolicesimo nelle Indie è così significativa che attualmente il 40 per cento dei vescovi indiani ha, di fatto, cognomi portoghesi”. Oggi, però, anche Goa sembra essere oggetto di una campagna di cancel culture dell’identità portoghese, in una situazione che andrebbe a rompere l’unità e l’armonia che c’è stata tra hindu e cristiani a Goa per 400 anni.

Questo a causa della crescente retorica nazionalista del Bharataiya Janata Party (BJP), il partito nazionalista al governo in India, che pure, per questa campagna elettorale ha mostrato in India segni di vicinanza al mondo cattolico.

Eppure, il Primo Ministro di Goa Sawart ha detto recentemente che oggi, a più di 60 anni dalla fine della dominazione portoghese, “è arrivato il tempo di sradicare i segni dei portoghesi e ripartire”.

La paura è che tutte le architetture costruite dai portoghesi siano soggette a vandalismo, incluse le strutture cattoliche, rilanciando così la persecuzione.

Una persecuzione presente in diverse parti dell’India, come per esempio quello che succede a Manipur.

Goa è il più famoso di quelli che furono i tre possedimenti portoghesi in india, che includevano anche Daman e Diu. A Daman, le autorità locali del BJP hanno pianificato di comprare forzatamente e quindi demolire una cappella del XVI secolo per rimpiazzarla con un campo di calcio. Nonostante le proteste della popolazione cattolica, la situazione fu risolta solo quando il ministro degli Esteri portoghese è intervenuto discretamente.

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Libano, il primo ministro Mikati contro il Cardinale Rai

Fino ad oggi, il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei maroniti, è stata una delle voci più autorevoli e forti nel mezzo della crisi libanese. Le sue omelie della domenica, che hanno invocato a lungo una neutralità attiva del Libano sullo scacchiere internazionale e non hanno nemmeno temuto di mettere in luce corruzione e contraddizioni dei politici, sono ascoltate in tutto il mondo.

Ma le omelie hanno anche suscitato l’attenzione del Primo Ministro ad interim Najib Mikati, che ha criticato fortemente le parole del Patriarca, sottolineando di non capire in particolare la richiesta che non si facciano nomine o prendano decisioni durante un interim.

Mikati ha anche parlato della volontà di risolvere la questione delle tende di Hezbollah con Israele in maniera diplomatica.

Il patriarca Sako viene privato del riconoscimento governativo

La scorsa settimana Abudl Latif Rachid, presidente dell’Iraq, ha ritirato il riconoscimento istituzionale al Patriarca dei Caldei, il Cardinale Louis Raffael Sako. Il capo dello Stato ha infatti cancellato il Decreto 147, emanato dal predecessore Jalal Talabani il 10 luglio 2013, che sanciva la nomina pontificia del porporato a capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo” e per questo “responsabile dei beni della Chiesa”. In particolare, ad essere al centro dell’attenzione era proprio il controllo del denaro.

Con una nota, il presidente Abdul Latif ha sottolineato che il ritiro “non pregiudica lo status religioso o giuridico del patriarca Sako” perché di nomina “della Sede Apostolica”. Esso, prosegue il leader musulmano curdo, intende “correggere” una questione di natura “costituzionale”, mentre la persona del patriarca continua a godere “del rispetto e dell’apprezzamento della presidenza della Repubblica come patriarca della Chiesa caldea in Iraq e nel mondo”.

La decisione, però, finisce per esautorare il patriarca dell’amministrazione dei beni ecclesiastici, togliendo un riconoscimento che c’è oltre 100 anni. Prima il re e poi il presidente avevano sempre stabilito per decreto che il Patriarca Caldeo è capo della Chiesa e custode delle sue proprietà”.

Il ritiro viene al termine di una campagna mediatica contro i cristiani di Iraq dal capo del Movimento Babilonia Rayan al-Kaldani.

Questi, spalleggiato da fazioni sciite collegate a potenze straniere (leggi Iran), vuole formare un’enclave nella piana di Ninive sfruttando la posizione di forza e disponendo di quattro parlamentari [su cinque riservati per quota alla minoranza, sebbene la loro scelta non sia esercitata in via esclusiva da cristiani, ndr] e un ministero da lui controllati. La fazione “Brigate Babilonia” è nata al tempo della lotta contro lo Stato islamico nel decennio scorso e si è affermata sul piano economico e politico.

I vescovi del Nord (Mosul e piana di Ninive) hanno criticato con forza il sistema di assegnazione della quota per le minoranze, sostenendo in pieno la battaglia del porporato e annunciando il possibile boicottaggio delle prossime tornate elettorali da parte della componente cristiana. Lo stesso primate caldeo a maggio aveva accennato all’eventuale ricorso agli organi di giustizia internazionali per tutelare la corretta distribuzione della quota di seggi parlamentari.

Posizioni che hanno attirato gli attacchi verso la persona del patriarca e l’istituzione da parte di persone vicine al “Movimento Babilonia”.

In una dichiarazione congiunta inviata ad AsiaNews, l’Assyrian Democratic Movement, il Popular Chaldean Syriac Assyrian Council, il Betnahrain Patriotic Union, il Nahrain Sons Party e l’Assyrian Patriotic Party confermano “il sostegno” al patriarca. Una vicinanza che va oltre l’autorità religiosa, ma riguarda lo “status, in quanto istituzione religiosa che rappresenta una parte importante della società irachena”.

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La Santa Sede a New York, la questione delle piccole isole

Lo scorso 11 luglio, si è tenuto presso il Palazzo di Vetro alle Nazioni Unite una discussione su “Piccole Isole Stati in via di Sviluppo: dal recupero alla resilienza di fronte a multipli Shock”. La discussione era inclusa nel Forum Politico di Alto Livello sullo Sviluppo Sostenibile.

Nel suo intervento, la Santa Sede ha messo in luce che l’azione sul clima, il lavoro per ridurre i rischi dei disastri, e la protezione dell’ambiente devono essere al centro dei programmi di sviluppo delineati per supportare gli Stati Isola in vie di Sviluppo, e sottolineato che la Quarta Conferenza Internazionale sul tema può fornire una opportunità per la comunità internazionale di sviluppare

Nuove strategie per supportare questi Stati nella ricerca dello sviluppo sostenibile, particolarmente includendo il lavoro che porta a un Indice Multidimensionale di Vulnerabilità (MVI).

La Santa Sede alle Nazioni Unite, aiutare le nazioni meno sviluppate

Il 13 luglio, si è tenuto presso le Nazioni Unite di New York un panel su “Nazioni Africane, Nazioni Meno sviluppate e nazioni in via di sviluppo senza sbocco al mare invertendo la rotta, riprendendo terreno perduto e imbarcandosi sulla strada degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”.

La Santa Sede ha chiesto alla comunità internazionale di rinnovare il suo impegno per supportare le nazioni in situazioni speciali e assicurarsi che il loro specifico sviluppo, i loro bisogni e le loro priorità siano affrontati.

Le persone sono la più grande risorsa per le nazioni che si trovano in situazioni speciali, ha notato la Santa Sede, e i modelli di sviluppo dovrebbero portare avanti lo sviluppo umano integrale insieme alle sfide economiche e finanziarie. Lo sradicamento della povertà resta la sfida più urgente per la comunità internazionale, e il commercio gioca un ruolo importante, ha detto la Santa Sede.

La Santa Sede a Ginevra, la protezione dei luoghi religiosi

L’11 luglio, si è tenuto nell’ambito della 53esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra un dibattito urgente per discutere l’allarmante crescita di atti pubblici e premeditati di odio religioso come manifestato dalla attuale desacralizzazione del Corona in alcune nazioni, in Europa e fuori.

Nel suo intervento, la Santa Sede ha condannato “nei più forti termini possibili la profanazione, distruzione e mancanza di rispetto degli oggetti religiosi, di simboli e di luoghi di culto”, notando come l’incendio del Corano nel primo giorno della festa musulmana di Eid al-Adha è particolarmente “problematica, dato che è stato denigrato anche il significato di quel giorno santo”.

La Santa Sede ha rimarcato che “insultare volontariamente credi religiosi, tradizioni o oggetti sacri costituisce un attacco alla dignità umana del credente”. Tuttavia, la Santa Sede mette in luce che ci sono attori che “frequentemente commettono atti di intolleranza religiosa, abusando il prezioso dono della libertà di espressione in modo da provocare una reazione sproporzionata. Alimentano odio e intolleranza e creano una maggiore polarizzazione nella società”.

La Santa Sede ha affermato che “la vera fede, fondata su verità più profonde, permette ai credenti di sopportare le offese, anche di perdonare”, e per questo “la gente di fede gioca un ruolo importante nel costruire un mondo che sostiene la dignità umana, protegge i diritti umani e promuove il bene comune”.