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Diplomazia pontificia, Israele contesta la Santa Sede

Una intervista del Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, è stata contestata dall’ambasciata di Israele presso la Santa Sede. Le Chiese in Ucraina prendono una posizione contro gli attacchi russi. La questione Cina

Cardinale Pietro Parolin | Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano | Vatican Media Cardinale Pietro Parolin | Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano | Vatican Media

Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha concesso ai media vaticani una ampia intervista in occasione del secondo anniversario del 7 ottobre, quando Hamas penetrò in Israele compiendo una strage, e prendendo diversi ostaggi. L’intervista non solo ricorda un anniversario, e ha creato una certa tensione con Israele perché al tempo si stavano ancora discutendo le condizioni del piano di pace per Gaza.

Qualche giorno dopo, Hamas ha accettato le condizioni del Piano Trump per Gaza, e Israele ha cominciato un cessate il fuoco, cosa che il cardinale Parolin ha definito "un passo avanti", senza negare però le difficoltà possibili nell'implementazione del piano. Inoltre, c’è stata una vasta pressione internazionale, con in particolare uno sciopero generale indetto in Italia, contro la decisione di Israele di speronare una flotta di aiuti umanitari, la Flotilla, entrata in acque internazionali ma intenzionata a forzare il blocco di Israele su Gaza. Per cronaca, va detto che nella Flotilla alla fine non sono risultati esserci aiuti umanitari. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, ha notato che tra l’altro che questa attenzione al fattore politico non ha alleviato le sofferenze della popolazione di Gaza.

Intanto, l’ambasciata di Israele presso la Santa Sede ha protestato apertamente contro l’intervista del Cardinale Parolin, sottolineando che quel linguaggio rischia di mettere a rischio il processo di pace. Parolin ha risposto successivamente che l'intervista aveva l'obiettivo di mostrare una volontà di pace.  

In ambito multilaterale, la Missione delle Nazioni Unite a Ginevra ha tenuto una messa nella Giornata Mondiale del Migrante, celebrate da monsignor Daniel Pacho, sottosegretario della Santa Sede per il multilaterale. Monsignor Pacho è poi anche intervenuto al 76esimo Comitato Esecutivo del Programma dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Con l’occasione, ha anche celebrato una Messa per i rifugiati nella cattedrale di Ginevra.

La notizia del Nobel per la pace all’attivista venezuelana Machado arriva pochi giorni dopo la richiesta di una mediazione della Santa Sede avanzata dal presidente venezuelano Maduro. Quando cominciarono le crisi venezuelana, Papa Francesco inviò diversi mediatori vaticani, dall’arcivescovo Claudio Maria Celli all’arcivescovo Emil Tscherrig, ma senza risultati perché non si riscontrva volontà da parte venezuelana. La mossa di Maduro va dunque ponderata.

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                                                           FOCUS TERRASANTA

Il cardinale Parolin nell’anniversario del 7 ottobre

In una lunga intervista ai media vaticani concessa nell’anniversario dell’attacco del 7 ottobre, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, chiarisce la posizione della Santa Sede: l’attacco di Hamas ad Israele è inaccettabile, ma anche la situazione a Gaza ha raggiunto conseguenze disumane. Da una parte, il riconoscimento della gravità dell’attentato, dall’altra l’appello affinché le ragioni di umanità prevalgano sulle ragioni della guerra.

A due anni dall’attacco del 7 ottobre, il Cardinale Parolin ribadisce che “l’attacco terroristico compiuto da Hamas e da altre milizie contro migliaia di israeliani e di migranti residenti, molti dei quali civili, che stavano per celebrare il giorno della Simchat Torah, a conclusione della settimana della festa di Sukkot, è stato disumano ed è ingiustificabile. La brutale violenza perpetrata nei confronti di bambini, donne, giovani, anziani, non può avere alcuna giustificazione. È stato un massacro indegno e – ripeto – disumano”.

Il cardinale ricorda che la Santa Sede “ha espresso immediatamente la sua totale e ferma condanna, chiedendo subito la liberazione degli ostaggi e manifestando vicinanza alle famiglie colpite durante l’attacco terroristico. Abbiamo pregato e continuiamo a farlo, così come continuiamo a chiedere di porre fine a questa spirale perversa di odio e di violenza che rischia di trascinarci in un abisso senza ritorno”.

Il segretario di Stato della Santa Sede guarda alle famiglie degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, dei quali “non ci si può dimenticare”, e ricorda che Papa Francesco prima e poi Leone XIV hanno sempre rivolto appelli per la liberazione degli ostaggi e hanno anche incontrato le loro famiglie.

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Allo stesso tempo, però, Parolin nota che la situazione a Gaza è “grave e tragica”, che “è necessario recuperare il senso della ragione, abbandonare la logica cieca dell’odio e della vendetta, rifiutare la violenza come soluzione”, perché “è diritto di chi è attaccato difendersi, ma anche la legittima difesa deve rispettare il parametro della proporzionalità”. Purtroppo, la guerra che ne è scaturita ha avuto conseguenze disastrose e disumane…”

Il cardinale si dice colpito e afflitto dal “conteggio quotidiano dei morti in Palestina”, tra i quali “bambini la cui unica colpa sembra essere quella di essere nati lì”, anche persone uccise “mentre cercavano di raggiungere un tozzo di pane”, e mette in guardia dal rischio di “assuefarci” alle morti, considerando “inaccettabile e ingiustificabile ridurre le persone umane a mere vittime collaterali”.

Il cardinale, tuttavia, non manca di puntare il dito anche contro l’antisemitismo che imperversa, in un mondo di “fake news” che porta “ad attribuire agli ebrei in quanto tali la responsabilità di quanto accade oggi a Gaza”, mentre vengono anche dal mondo ebraico voci di dissenso contro l’operato del governo israeliano a Gaza e nel resto della Palestina, “dove – non dimentichiamolo – l’espansionismo spesso violento dei coloni vuole rendere impossibile la nascita di uno Stato Palestinese”.

Il cardinale sottolinea che “l’antisemitismo è un cancro da combattere e da estirpare: c’è bisogno di uomini e donne di buona volontà, educatori che aiutino a comprendere a soprattutto a distinguere… Non possiamo dimenticarci di quanto è accaduto nel cuore dell’Europa con la Shoah, dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze perché questo male non rialzi la testa”.

Vale da entrambe le direzioni: come nessun ebreo deve essere “attaccato e discriminato in quanto ebreo”, così “nessun palestinese deve essere attaccato o discriminato come potenziale terrorista”, perché questo crea una “perversa catena dell’odio”.

Il cardinale continua parlando degli interessi che hanno tenuto la guerra in piedi per due anni. “Sembra evidente – sottolinea - che la guerra perpetrata dall’esercito israeliano per sconfiggere i miliziani di Hamas non tiene conto che ha davanti una popolazione per lo più inerme e ridotta allo stremo delle forze, in un’area disseminata di case e di palazzi rasi al suolo: basta vedere le immagini aeree per rendersi conto di che cosa sia Gaza oggi. Mi sembra altrettanto evidente che la comunità internazionale risulti purtroppo impotente e che i Paesi in grado di influire veramente fino ad oggi non l’abbiano fatto per fermare la carneficina in atto”.

In questo, la comunità internazionale “può fare molto di più di quello che sta facendo”, per esempio ponendosi domande “sulla liceità” della fornitura di armi che vengono usate “a discapito della popolazione civile”. Ci sono anche “attori internazionali che sarebbero invece in grado di influire maggiormente per porre fine a questa tragedia e occorre trovare una strada per dare alle Nazioni Unite un ruolo più efficace nel porre fine alle tante guerre fratricide in corso nel mondo”.

Il cardinale parlava prima dell’accettazione del piano Trump da parte di Hamas, ma lo guardava positivamente, sottolineando che “qualunque piano che coinvolga il popolo palestinese nelle decisioni sul proprio futuro e permetta di finire questa strage, liberando gli ostaggi e fermando l’uccisione quotidiana di centinaia di persone, è da accogliere e sostenere”.

Parolin vede positivamente anche le manifestazioni di protesta degli scorsi giorni, perché anche se “a volte queste iniziative, a causa delle violenze di pochi facinorosi, rischiano di far passare a livello mediatico un messaggio sbagliato, mi colpisce positivamente la partecipazione alle manifestazioni, e l’impegno di tanti giovani. È il segno che non siamo condannati all’indifferenza. Dobbiamo prendere sul serio quel desiderio di pace, quel desiderio di impegno… Ne va del nostro futuro, ne va del futuro del nostro mondo”.

Il cardinale sottolinea l’importanza della preghiera, mette in luce come la Santa Sede inviti sempre al dialogo e ricorda l’importanza del riconoscimento dello Stato di Palestina, cosa che la Santa Sede ha fatto già dieci anni fa con un accordo internazionale il cui preambolo “supporta pienamente una risoluzione giusta, comprensiva e pacifica della questione della Palestina, in tutti i suoi aspetti, in conformità al diritto internazionale e a tutte le pertinenti risoluzioni dell’ONU”, e “sostiene uno Stato di Palestina che sia indipendente, sovrano, democratico e praticabile, inclusivo della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e di Gaza”, non in opposizione ma “capace di vivere fianco a fianco ai suoi vicini, in pace e in sicurezza”.

Il cardinale dice di guardare “con soddisfazione al fatto che diversi Paesi del mondo abbiano riconosciuto lo Stato di Palestina”, ma allo stesso tempo nota “con preoccupazione che le dichiarazioni e le decisioni israeliane vanno in una direzione opposta e, cioè, intendono impedire per sempre la possibile nascita di un vero e proprio Stato palestinese”.

Intervista di Parolin, la replica dell’ambasciata di Palestina

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Il giorno dopo la pubblicazione dell’intervista, l’ambasciata di Israele presso la Santa Sede ha diramato una comunicazione in cui ha sottolineato che il cardinale Parolin “si concentra solo sulle critiche ad Israele e mina gli sforzi per la pace”.

L’ambasciata ha anche accusato Parolin di creare un’"equivalenza morale" problematica tra l'attacco genocida di Hamas e il legittimo diritto di Israele all'autodifesa. Israele ha sottolineato che non c'è parità morale tra uno Stato democratico che protegge i propri cittadini e un'organizzazione terroristica e ha invitato il Vaticano a fare una netta discussione nelle dichiarazioni future. 

Israele ha inoltre criticato il fatto che Parolin abbia trascurato il rifiuto di Hamas di rilasciare gli ostaggi e di fermare la violenza.

A rafforzare la posizione del cardinale ci ha pensato la massima autorità vaticana: Papa Leone XIV è intervenuto dicendo che quella di Parolin è l'opinione della Santa Sede.

La replica del Cardinale Parolin

Intervistato a margine della presentazione degli Atti del Convegno Internazionale sui 100 anni dal Concilium Sinense: tra storia e presente lo scorso 10 ottobre, il Cardinale Parolin ha trovato l’occasione di rispondere alle questioni poste dall’ambasciata di Israele, ma anche di mostrare soddisfazione generale per l’accordo raggiunto su Gaza.

L’accordo è “un passo avanti”, ma la Santa Sede esprime comunque l'auspicio che questo sia appunto il primo passo di un cammino verso una pace duratura e definitiva”.

Parlando dell’intervista, il Cardinale ha detto che questa “voleva manifestare la presenza e la partecipazione della Santa Sede a quanto era avvenuto il 7 ottobre, perché eravamo nell'anniversario, pur tenendo presente che erano in corso già i negoziati a Sharm El Sheikh in Egitto”, e che l’intervista “voleva essere una intervista alla pace”, perché non c’è “un’equivalenza morale tra l’una e l’altra situazione. Dove c’è violenza c’è sempre da condannare”.

Per quanto riguarda l’accordo, si tratta di “realizzarlo”, ci sono “tanti punti che chiedono di essere implementati e probabilmente sui quali non c'è perfetta coincidenza tra le due parti”, e serve “buona volontà”.

Il cardinale ha parlato anche dell’accordo sperimentale per la nomina dei vescovi con la Cina, un accordo che “continua ad andare avanti” e che viene ritenuto “una cosa positiva, nel senso che ha permesso alla Santa Sede e alla Cina di trovare un minimo di consenso sulla questione fondamentale della nomina dei vescovi”.

Certo, ha aggiunto Parolin, “non mancano difficoltà”, ma bisogna affrontarle “con tanta pazienza e tanta fiducia”. Attualmente “ci sono ancora gruppi che si dichiarano clandestini, però l’Accordo era proprio inteso a superare questa situazione di divisione e portare verso la normalizzazione della Chiesa”.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a Ginevra, la questione dei rifugiati

Il 6 ottobre, monsignor Daniel Pacho, sottosegretario della Santa Sede per il Multilaterale, è intervenuto al dibattito del comitato del programma dell’Alto Commissario ONU per i Rifugiati.

Nel suo intervento, monsignor Pacho ha sottolineato che “la difficile situazione dei rifugiati, che colpisce intere comunità in molte regioni del mondo, pone una sfida continua alla protezione dei diritti umani fondamentali”, considerando che oggi “il numero di persone sfollate è ormai di 123,2 milioni di persone, dato che è cresciuto continuamente nell’ultimo decennio”, e che “la gravità della loro sofferenza, e le serie violazioni dei loro diritti umani fondamentali mettono in luce l’urgente bisogno di una risposta collettiva che si appella alla coscienza condivisa e alla responsabilità della comunità internazionale”.  

La Santa Sede si dice prossima a quelli che vivono le conseguenze dei conflitti in corso – e cita la situazione in Ucraina, Gaza, ma anche le crisi dimenticate del Sudan, del Sud Sudan, della Repubblica Democratica del Congo e del Myanmar – e apprezza le comunità che continuano ad assistere i rifugiati generosamente.

Allo stesso tempo, Pacho ha messo in luce come il settore umanitario “stia sperimentando una grave crisi di finanziamento che sta mettendo a rischio la continuità delle operazioni di salvataggio e la capacità delle istituzioni multilaterali”, mentre queste organizzazioni erano state costituite “proprio con lo scopo di promuovere il dialogo e affrontare questioni che richiedono cooperazione interazionale e responsabilità condivisa”.

La Santa Sede sottolinea che la risposta alla crisi umanitaria globale deve “andare oltre i confini, le ideologie politiche e gli interessi geopolitici di breve termine”, perché “la protezione internazionale è un dovere e un diritto, e non un privilegio”.

La crisi – nota monsignor Pacho – non è solo “un test dell’efficacia del multilaterale, ma dell’umanità”, e “la risposta collettiva dovrebbe piuttosto essere basata sul principio della responsabilità condiviso”, considerando che “a nessuno Stato, in particolare quelli che confinano con le zone di conflitto, deve essere richiesto di portare il peso dello sfollamento di massa da solo”.

La responsabilità condivisa – aggiunge monsignor Pacho – va estensa “oltre il lavoro di emergenza, per includere investimenti in pace duratura, riconciliazione e ricostruzione post-conflitto”.

La Santa Sede reitera i quattro pilastri dell’accoglienza (accogliere, proteggere, promuovere e integrare), mette i luce la necessità di stabilire corridoi umanitari e facilitare la riunificazione famigliare e include la promozione dello sviluppo umano integrale degli sfollati, assicurandosi che “abbiano accesso ad educazione sanità e occupazione”, e affrontando “le cause alla radice dello sfollamento, inclusi i conflitti armati, le persecuzioni religiose ed etniche, l’oppressione politica e il cambiamento climatico”.

La Santa Sede sostiene che “soluzioni durature potranno essere ottenute solo quando le persone vivono in società pacifiche, giuste e democratiche e libere da paura”.

La Santa Sede apprezza come “pragmatico” l’approccio basato sui percorsi migratori proposto all’Alto Commissario, ma sostiene che questo approccio “può avere successo solo se il principio della responsabilità condivisa tra tutti gli Stati e gli stakeholders è rispettato e se si resiste all’inclinazione di delegare gli obblighi umanitari tra tutti gli altri Stati”.

Monsignor Pacho ricorda che la Santa Sede “supporta migranti e rifugiati nel loro percorso” attraverso numerose organizzazioni cattoliche e gli innumerevoli programmi diocesani sul tema, e mette in luce coe “la preoccupazione della comunità globale per i rifugiati deve essere un catalizzatore per la riaffermazione e l’enfasi dei diritti umani universalmente riconosciuti”.

La Santa Sede alla Conferenza della Dimensione Umana di Varsavia

A partire dal 6 ottobre, si è tenuta a Varsavia, come ogni anno, la Conferenza sulla Dimensione Umana, organizzato dall’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e Diritti Umani. La Santa Sede ha partecipato con il suo rappresentante presso l’OSCE, monsignor Richard Gyhra.

La Santa Sede ha affermato preoccupazione per il fatto che non si sia raggiunto consenso su decisioni rilevanti riguardo l’incontro dell’Implementazione Umana, un consenso sul “terzo contenitore” di diritti che spesso trova difficoltà ad essere raggiunto perché “lo status quo che è persistito per anni riflette non solo la situazione geopolitca generale, ma anche disaccordi più sostanziali sulla comprensione stessa dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.

La delegazione della Santa Sede ha rimarcato la sua preoccupazione sulle “conseguenze degli approcci che tendono a rimuovere i diritti dal loro contesto proprio, che restringono il raggio della loro applicazione e che permettono che il loro significato e interpretazioni vari e che la loro universalità venga negata”.

Sono approcci che tendono a creare “nuove categorie di diritti e detentori di diritti”, tagliando di fatto “l’universalità dei diritti umani”, ed è per questo importante – rimarca la Santa Sede – che “il termine diritti umani sia applicato in maniera esatta e prudente affinché non divenga una formulazione buona per tutte le stagioni che si espande senza fine per adeguarsi al tempo che passa”.

Tutto questo – sottolinea la Santa Sede – ha anche “una conseguenza nella cooperazione e la sicurezza degli Stati”, e per questo è importante “considerare un nuovo approccio”, con una comprensione comune sia del cosiddetto “terzo cesto” che sui principi universali dei diritti umani alla base della dimensione umana”.

La Santa Sede alla Conferenza Sulla Dimensione Umana, lo Stato di diritto

Il 9 ottobre, la Conferenza sulla Dimensione Umana di Varsavia ha avuto come oggetto della quarta sessione plenaria la questione dello Stato di diritto.

Nel suo intervento, monsignor Richard Gyhra, rappresentante della Santa Sede all’OSCE, ha sottolineato che “l’inalienabile dignità data da Dio di ogni essere umano è inviolabile” e per questo “la Santa Sede ha costantemente difeso il rispetto incondizionato della vita dal concepimento alla morte naturale” e ha condannato inequivocabilmente “qualunque cosa violi l’integrità della persona umana, come la mutilazione, i tormenti inflitti sulla mente e il corpo, i tentativi di costringere la volontà”, nonché la pratica della tortura”.

Secondo la Santa Sede, le “istituzioni che sono chiamate a stabilire una responsabilità criminale devono diligentemente cercare la verità, mentre assicurano che le loro procedure sono condotte nel pieno rispetto della dignità e dei diritti della persona umana”, e per questo le leggi che “proibiscono la tortura durante le indagini” devono essere “strettamente osservate”.

La Santa Sede ha ricordato anche che “il ricorso alla pena di morte è stato a lungo considerato una risposta appropriata alla gravità di alcuni crimini, e un mezzo accettabile, sebbene estremo, di salvaguardia del bene comune”, ma oggi “c’è una consapevolezza crescente che la dignità della persona umana non è persa nemmeno dopo che vengono commessi crimini molto gravi”. Anzi, è “emersa una nuova comprensione sul significato delle azioni penali imposte dallo Stato”, mentre “si sono sviluppati più efficaci sistemi di detenzione, che assicurano la protezione dei cittadini ma, allo stesso tempo, privano il colpevole della possibilità della redenzione”.

Per questo motivo, la Santa Sede considera la pena di morte “inammissibile”.

La Santa Sede a New York, le questioni sul tavolo

L’8 ottobre, l’80ª assemblea generale delle Nazioni Unite ha discusso nel terzo comitato di vari temi in agenda. L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha detto nel suo intervento, che nel contesto della crescente polarizzazione, gli obblighi finanziari, il conflitto, la povertà e la frammentazione sociale c’è bisogno di “un impegno rinnovato ai principi fondanti delle Nazioni Unite e ai valori condivisi della cooperazione multilaterale”.

La Santa Sede ha notato che i diritti umani sono un pilastro della Santa Sede, ma ha messo in luce come sia problematico “espandere la loro interpretazione oltre le cornici legali e consensuali”, e ha piuttosto sottolineato “l’importanza di bilanciare i diritti con responsabilità, particolarmente nella difesa della famiglia e della cura dei più vulnerabili della società”.

La Santa Sede a New York, l’agenda 2030

Il 10 ottobre, la Seconda Commissione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ha tenuto un dibattito su "Cinque anni al 2030 - Soluzioni multilaterali per lo sviluppo sostenibile”. L’Arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha esortato la comunità internazionale a porre lo sviluppo umano integrale e l'eliminazione della povertà, come imperativo morale, al centro del suo sforzo finale verso il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS).

L'Arcivescovo Caccia ha sottolineato che un autentico sviluppo sostenibile deve comprendere lo sviluppo di ogni persona e della persona nella sua interezza, economicamente, culturalmente e spiritualmente, e ha affermato che "le risorse che potrebbero essere utilizzate per costruire ospedali e scuole vengono invece dirottate verso armi che distruggono vite e mezzi di sussistenza".

L’Osservatore della Santa Sede ha poi affermato che "abbracciando il multilateralismo radicato nella solidarietà, la comunità internazionale può ancora proteggere la dignità umana, promuovere la speranza e raggiungere uno sviluppo integrale per tutti".

La Santa Sede a New York, i Paesi in situazioni speciali

Il 10 ottobre, la Seconda Commissione delle Nazioni Unite si è anche occupata dei Paesi in Situazioni Speciali. In un intervento all’assemblea, l’arcivescovo Caccia ha sottolineato la necessità di sostenere i Paesi Meno Sviluppati (LDC), i Paesi in Via di Sviluppo senza Sbocco sul Mare (LLDC) e i Piccoli Stati Insulari in Via di Sviluppo (SIDS) nel loro perseguimento di uno sviluppo sostenibile.

L'Osservatore Permanente ha affermato che ogni nazione, indipendentemente dalle dimensioni o dallo status economico, merita pari rispetto e partenariato. Ha invocato l'eliminazione della povertà, l'equo accesso al commercio e la resilienza climatica come priorità fondamentali. Ha sottolineato che la riduzione del debito, inclusa la cancellazione, è un imperativo morale, soprattutto in questo Anno Giubilare per la Chiesa cattolica.

In particolare, la Santa Sede chiede un riorientamento del sistema finanziario globale verso il bene comune, esortando le istituzioni internazionali a dare priorità alla dignità e allo sviluppo dei più bisognosi.

                                                           FOCUS CAUCASO

Armenia, un vescovo apostolico condannato a due anni di carcere

Il vescovo Mikael Adjapahian, della diocesi di Shirak della Chiesa Apostolica Armena, è stato condannato il 3 ottobre a due anni di carcere per “inviti pubblici alla presa del potere”. Secondo la Procura di Yerevan, le dichiarazioni dell’arcivescovo andavano oltre la critica politica ed erano piuttosto un invito a prendere il potere con mezzi incostituzionali.

La sentenza è stata contestata dalla Chiesa Apostolica Armena, che la ha definita “politicamente motivata” e come 2una forma di pressione politica parte di “una campagna ostile alla Chiesa” da parte delle autorità.

La Chiesa Apostolica Armena è stata in prima linea in occasione del conflitto in Nagorno Karabakh, che si è concluso con una pace dolorosa per l’Armenia. L’Azerbaijan, infatti, ha preso il controllo di una zona ad alta densità di tradizione cristiana, con monasteri antichissimi. L’Azerbaijan ha sempre sostenuto di lavorare per la ricostruzione degli edifici di culto, anche non musulmani, e di non voler cancellare l’eredità armena. Allo stesso tempo, ha cercato di “riscrivere” la storia della regione, portando evidenze della presenza di una Chiesa greco cattolica antica appartenente all’etnia “albaniana”.

La Chiesa Apostolica Armena ha anche stabilito un ufficio per monitorare il “genocidio culturale” che denuncia da tempo avere luogo in Nagorno Karabakh. Il catholicos Karekin II, nella sua visita A Leone XIV, ha messo in luce tutti questi problemi.

Ma lo scontro è ad alti livelli, e questo ha portato all’arresto Adjapahian. Secondo il tribunale, il prelato 61enne avrebbe sfruttato la sua posizione spirituale e l'influenza su migliaia di fedeli per chiedere il rovesciamento del governo. Ha espresso pubblicamente la sua opposizione alle scelte di politica interna ed estera delle autorità armene. È stato condannato per un'intervista rilasciata quasi due anni fa, in cui aveva parlato della necessità di un cambio di potere.

All'epoca, la procura non aveva aperto alcun caso. Solo di recente, dopo che il Primo Ministro Nikol Pashinyan aveva lanciato un'offensiva contro alti funzionari della Chiesa, tra cui il Catholicos – il capo della Chiesa Apostolica Armena – è stata avviata un'indagine.

L'arcivescovo Mikael Adjapahian, figura autorevole della Chiesa apostolica, si è distinto per i suoi discorsi regolari e spesso virulenti contro il governo. La sua influenza, rafforzata dal suo status ecclesiastico, gli ha conferito un peso considerevole nel dibattito pubblico, in particolare nella regione di Shirak, di cui è primate. Gli avvocati dell'arcivescovo respingono categoricamente le accuse a suo carico e denunciano il processo come una grave violazione della legge, affermando che il loro cliente ha semplicemente usato la sua libertà di espressione per criticare le politiche del governo.

Mentre alcuni ritengono che ciò rappresenti un attacco inaccettabile alla libertà di parola e al ruolo morale della Chiesa nella società, altri ritengono che un uomo di Chiesa non debba usare la propria autorità religiosa per invocare la caduta del governo.

A luglio, alcuni oppositori avevano proposto di candidarlo a primo ministro, ma l'arcivescovo aveva rifiutato l'offerta. Anche la Santa Sede di Etchmiadzin ha annunciato che guiderà la battaglia, anche sulla scena internazionale, denunciando "ulteriori prove di regolamento di conti politici, una flagrante violazione della libertà di espressione e di religione e una sfida diretta al sistema democratico".

Il caso fa parte di un conflitto più ampio tra la Chiesa apostolica armena e il governo del primo ministro Nikol Pashinyan, nel quale diversi importanti ecclesiastici sono già stati arrestati con l'accusa di aver incitato a violente rivolte.

Oltre all'arcivescovo Mikael Adjapahian, incarcerato da giugno, anche l'arcivescovo Bagrat Galstanyan, che lo scorso anno ha guidato le proteste di piazza criticando il governo, è in custodia cautelare ed è oggetto di un'indagine penale.

Il conflitto è profondamente radicato nel riorientamento politico dell'Armenia a seguito della guerra del Nagorno-Karabakh (Artsakh), che ha portato alla totale sconfitta della popolazione armena di questa regione autonoma situata in Azerbaigian. Per anni, la leadership della Chiesa ha criticato la volontà del governo di scendere a compromessi con l'Azerbaigian senza impegnarsi fermamente per i diritti e il ritorno degli armeni del Karabakh, cacciati dalle loro terre ancestrali.

Secondo la Chiesa Apostolica Armena, l'impegno insufficiente per la liberazione dei prigionieri di guerra armeni ancora detenuti a Baku e la mancanza di tutela del patrimonio culturale cristiano nella regione hanno portato anche a una crescente distanza tra Chiesa e Stato in Armenia.

                                                           FOCUS EUROPA

Ucraina, il Consiglio Pan-Ucraino delle Organizzazioni Religiose contro gli attacchi russi

Il 28 settembre, il Consiglio Pan-Ucraino delle Organizzazioni Religiose – che rappresenta il 95 per cento delle religioni in Ucraina – ha diramato una dichiarazione molto dura contro l’intensificare degli attacchi in Ucraina da parte della Federazione Russa.

Si legge nella Dichiarazione che “nella notte di domenica 28 settembre 2025, la Federazione Russa ha effettuato un altro massiccio attacco terroristico con decine di missili di vario tipo e oltre 600 droni su Kiev, Zaporizhia, Bila Cerkva e altre città e villaggi ucraini. A seguito degli attacchi terroristici russi, infrastrutture civili sono state distrutte, tra cui ospedali e numerosi edifici residenziali, e decine di civili sono rimasti uccisi e feriti”.

Secondo i rappresentanti delle religioni in Ucraina, “la Federazione Russa, in qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha dimostrato ancora una volta la sua natura criminale e misantropica e il suo totale disprezzo per tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, ad eccezione dei regimi dittatoriali. Dopotutto, questo attacco terroristico contro l'Ucraina è stato perpetrato dalla Federazione Russa nella settimana di apertura della nuova sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite”.

Il Consiglio condanna “fermamente i recenti attacchi terroristici della Federazione Russa contro città e villaggi ucraini, che confermano la sua natura di Stato terrorista. Sottolineiamo ancora una volta che qualsiasi sostegno alla Federazione Russa, compresi gli scambi commerciali con essa, equivale a sostenere assassini e terroristi, il che comporta non solo responsabilità morale, ma anche responsabilità davanti a Dio, che è il Giudice Giusto”.

Inoltre, il Consiglio invita “i principali paesi democratici a fornire all'Ucraina sistemi efficaci di difesa aerea e missilistica e ad aumentare la pressione economica e politica sulla Federazione Russa per costringerla a cessare l'aggressione militare, al fine di stabilire una pace giusta e sostenibile per l'Ucraina”.

La Slovacchia modifica la Costituzione, e riconosce solo i generi maschile e femminile

Il 26 settembre, la Slovacchia ha modificato la sua Costituzione, includendo un paragrafo che riconosce solo i generi maschile e femminile. Si legge nel testo, che ha avuto il sì di 90 membri del Consiglio Nazionale e il no di solo 7 di loro: "La Repubblica Slovacca riconosce solo due generi, maschile e femminile, che sono determinati biologicamente".

L'emendamento costituzionale è stato sostenuto da 90 membri del Consiglio Nazionale, con solo sette contrari. Non ci sono state astensioni. Il Primo Ministro Robert Fico aveva già presentato la bozza di emendamento costituzionale a gennaio. Ha accolto con favore la decisione del Consiglio Nazionale come un "passo storico" e "un importante baluardo contro il progressismo".

L'emendamento costituzionale entrerà in vigore il 1° novembre. Stabilisce inoltre che solo le coppie sposate possono adottare bambini. Ciò esclude le coppie dello stesso sesso dall'adozione, poiché in Slovacchia il matrimonio è possibile solo tra un uomo e una donna. Anche la maternità surrogata è vietata.

Un’altra disposizione dell’emendamento costituzionale stabilisce che il diritto nazionale slovacco prevale sul diritto dell’UE in “questioni culturali ed etiche”. 

"A nome dei vescovi slovacchi, vorrei ringraziare tutti i membri del Consiglio nazionale della Repubblica slovacca che hanno votato a favore dell'adozione degli emendamenti costituzionali", ha dichiarato l'arcivescovo Bernard Bober, presidente della Conferenza episcopale slovacca.

                                                           FOCUS ASIA

Cina, Xi Jinping spinge ancora per la sinicizzazione delle religioni

Mentre prosegue l’offensiva del governo di Pechino contro i rappresentanti della Chiesa sotterrane a Wenzhou, il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, intervenendo il 29 settembre ad una sessione di studio ad hoc da lui voluta del Politburo del Partito Comunista Cinese sul Tema della politica religiosa, ha chiesto alle religioni presenti in Cina di “accelerare” nel cammino della sinicizzazione.

Xi ha confermato in questo modo come il controllo delle attività e dei messaggi veicolati dalle cinque confessioni ufficialmente riconosciute dal governo (buddhismo, taoismo, islam, protestantesimo e cattolicesimo) sia centrale nella sua visione politica.
“Come dimostrano la storia e la pratica – ha detto Xi Jinping, riportato da Asia News - solo promuovendo continuamente la sinicizzazione della religione in Cina possiamo favorire la mitezza della religione, l’armonia etnica, l’armonia sociale e la stabilità nazionale a lungo termine. In quanto Stato socialista guidato dal Partito comunista cinese - ha aggiunto - è un requisito inevitabile guidare attivamente la religione ad adattarsi alla società socialista”.

Il presidente ha anche sottolineato la necessità di “rafforzare costantemente le cinque identità, in modo che partecipino volontariamente alla costruzione della modernizzazione in stile cinese”. 

Le “cinque identità” a cui Xi fa riferimento sono l’identificazione con la “grande madrepatria” (il cosiddetto patriottismo), con la nazione cinese, con la cultura cinese, con il Partito Comunista cinese e con il socialismo con caratteristiche cinesi.

Xi Jinping ha chiesto che  “dottrine, regole, sistemi di gestione, rituali e costumi, norme di comportamento” incarnino “le caratteristiche cinesi” e si adattino “alle esigenze dei tempi”. Di qui anche il moltiplicarsi di leggi e regolamenti sulle attività religiose da “applicare rigorosamente migliorando il livello di legalità nel lavoro religioso”. Il presidente cinese ha anche chiesto ai comitati di Partito di rafforzare “la loro leadership sul lavoro religioso”, formando “una forza congiunta per promuovere la sinicizzazione della religione nel nostro Paese”.

Non si sa ancora come la Santa Sede affronterà questa nuova politica. Per ora, prosegue il lavoro di dialogo, mentre monsignor Miroslaw Wachowski, che finora ha gestito come capo delegazione il dialogo con Pechino, è stato promosso a nunzio in Iraq. Il successore di monsignor Wachowski come sottosegretario per i Rapporti con gli Stati dovrà prendere in mano il dossier.

Leone XIV ha fatto sapere che per ora non intende cambiare l’accordo sino vaticano con la nomina dei vescovi, ma che allo stesso tempo sta incontrando persone diverse  per “comprendere meglio come la Chiesa possa continuare la sua missione, rispettando sia la cultura che le questioni politiche che hanno ovviamente grande importanza, ma anche rispettando un gruppo significativo di cattolici cinesi che per molti anni ha vissuto una qualche forma di oppressione o difficoltà nel vivere la propria fede liberamente”.

                                                           FOCUS AMERICA LATINA

Venezuela, Maudro chiede al Papa una mediazione diplomatica

Non è la mediazione che la Santa Sede provò a fare con Maduro e l’opposizione. Ma il presidente del Venezuela è arrivato comunque lo scorso 8 ottobre a chiedere alla Santa Sede una mediazione diplomatica nel conflitto con Trump e gli Stati Uniti, per de-escalare l’aumento delle tensioni nei Caraibi a causa delle operazioni navali statunitensi.

Maduro si è appellato direttamente a Leone XIV per un “abbraccio diplomatico di pace”, chiedendo aiuto a prevenire quella che ha descritto come una compagna di destabilizzazione orchestrata dagli Stati Uniti.

Maduro ha chiesto l’intervento vaticano per rispondere alle operazioni navali statunitensi nei Caraibi, che l’amministrazione Trump sottolinea avere il compito di smantellare le reti del narcotraffico e che Maduro ritiene invece preparativi per un “cambio di regime”.

Maduro ha detto di aver scritto direttamente al Papa durante il suo programma televisivo settimanale “Con Maduro +”, dicendo di avere “un grande fede che Papa Leone, come ho scritto nella mia lettera, aiuterà il Venezuela a preservare la pace”. Ha anche descritto il Papa come “un uomo equilibrato e di pace, degno successore di Francesco”.

Maduro ha anche elogiato ciò che ha definito “un discreto intervento vaticano nelle questioni umanitarie”, in particolare gli sforzi per rimpatriare i bambini venezuelani presuntamente deportati negli Stati Uniti.

Il presidente ha anche sottolineato che la sua chiamata al Papa nasce anche da un momento di orgoglio nazionale come la canonizzazione del medico dei poveri José Gregorio Herández Cisneros, canonizzazione che ha alleviato le sofferenze di quella che Maduro chiama “una nazione assediata”.

E intanto, centinaia di manifestanti pro-governativi sono scesi in strada in Venezuela per marciare contro gli uffici delle Nazioni Unite per chiedere all’organizzazione di difendere i principi di pace e sovranità internazionale che sono presenti nella sua Carta fondativa.

                                                           FOCUS AMBASCIATORI

L’ambasciatore di Honduras presso la Santa Sede presenta le sue credenziali

Gilliam Noemi Gómez Guifarro, ambasciatore di Honduras presso la Snata Sede, ha presentato lo scorso 7 ottobre le sue lettere credenziali a Leone XIV.

Gómez  nasce come architetto specializzato in architettura bio-ecologica e tecnologie sostenibili, con studi a Roma, a Lund in Svezia e a Milano, dove ha preso un diploma su “Sviluppo e Cooperazione Internazionale” presso l’ISPI.

Ha cominciato a ricoprire incarichi diplomatici nel 2008, come primo segretario dell’Ambasciata di Svezia, e poi come ministro consigliere dell’Ambasciata di Svezia. Dal 2012 al 2014 è stata ministro consigliere dell’ambasciata di Tegucigalpa in Italia, e dal 2014 al 2016 è stata primo Segretario della Missione permanente presso le istituzioni specializzate a Ginevra.

Dal 2016 lavora all’ambasciata di Honduras presso la Santa Sede, prima come ministro, quindi come incaricato di affari, e ora come ambasciatore.

Non ha mai finito la sua carriera di architetto, e tra il 2009 e il 2025 ha progetto varie opere architettoniche in Honduras, Città del Vaticano e Roma.

L’ambasciatore di Germania presso la Santa Sede presenta le credenziali

L’11 ottobre, Bruno Kahl, nuovo ambasciatore di Germania presso la Santa Sede, ha presentato le sue lettere credenziali a Leone XIV.

Ha un curriculum da esperto di diritto, e una serie di incarichi politici. È stato  Dipendente della

Federazione delle associazioni datoriali tedesche (1995); Funzionario presso la Cancelleria Federale (1995 – 1996); Esperto-Consulente presso il Gruppo parlamentare CDU/CSU al Bundestag (1996 – 2005); Capo di Gabinetto, dal 2006 anche Capo del Centro Politico Ministero Federale dell’Interno (2005 – 2009); Capo del Centro Politico e per la Comunicazione, Ministero Federale delle Finanze (2009 – 2010); Direttore per la privatizzazione, le partecipazioni e gli immobili federali, Ministero Federale delle Finanze (2010 – 2016).

Dal 2016 al 2025 è stato presidente del Servizio Federale delle Informazioni (BND).

                                                           FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Il sostituto della Segreteria di Stato sul tema del Sinodo

L’arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, è intervenuto l’8 ottobre alla Lyndwood Lecture, l’evento biennale sul Diritto Canonico organizzato quest’anno dalla Canon Law Society of Great Britain and Ireland, presso la St Aloysius Church di Londra.

Nella sua relazione, il sostituto ha sottolineato la rilevanza dei principi di sinodalità e sussidiarietà per la vita della Chiesa, i quali hanno svolto un ruolo particolare nella recente riforma della Curia Romana e continuano ad essere un riferimento criteriologico per il cammino della Chiesa universale.