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Cina, primo vescovo ordinato con il mandato del Papa dall’accordo sino-vaticano

Restano confidenziali i termini dell’accordo. La “elezione” del vescovo lo scorso 9 aprile. Ordinato anche il vescovo di Shanxxi

Ordinazione episcopale vescovo Yao | L'ordinazione episcopale del vescovo Yao a Jining, 25 agosto 2019 | AsiaNews Ordinazione episcopale vescovo Yao | L'ordinazione episcopale del vescovo Yao a Jining, 25 agosto 2019 | AsiaNews

Il nuovo vescovo di Jinjing è padre Antonio Yao Shun, esperto di liturgia che ha studiato a Roma. E la sua ordinazione, la prima dall’accordo confidenziale tra Cina e Santa Sede per la nomina dei vescovi, è avvenuta lo scorso 25 agosto nella cattedrale di Jining, dopo che il vescovo era stato “eletto” lo scorso 9 aprile. Il neo-vescovo Yao ha mandato pontificio.

Lo ha confermato Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, rispondendo alle domande dei giornalisti in una dichiarazione del 27 agosto.

“Posso confermare – recita la dichiarazione - che S.E. Mons. Antonio Yao Shun, consacrato Vescovo di Jining/Wulanchabu, in Mongolia Interna (Cina), ha ricevuto il Mandato Pontificio, come affermato anche dal Vescovo Consacrante nel corso della cerimonia di ieri, 26 agosto 2019. La consacrazione episcopale di S.E. Mons. Antonio Yao è la prima che avviene nella cornice dell’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, firmato a Pechino il 22 settembre 2018”.

Consacranti sono stati i vescovi Paolo Meng Oinglu di Hohhot, Mattia Du Diang di Bameng, Giuseppe Li Jing di Ningxia e Paolo Meng Nigyu di Taiyuan. Secondo le informazioni di AsiaNews, sono stati più di 120 venti i sacerdoti concelebranti.

Sempre l’agenzia dei missionari del PIME nota che è possibile che la nomina di monsignor Yao a vescovo da parte di Papa Francesco sia avvenuta molto tempo prima dell’accordo. Si tratta, ad ogni modo, della prima ordinazione episcopale dall’accordo confidenziale sulla nomina dei vescovi siglato lo scorso 22 settembre da Santa Sede e Cina. Non sono mai stati svelati i contenuti dell’accordo. Secondo le interpretazioni della Santa Sede, la Cina riconosce la necessità che un vescovo sia nominato dal pontefice.

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Tuttavia, l’accordo è stato criticato da molti, in testa il Cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong. Il Cardinale Zen ha anche criticato gli orientamenti pastorali pubblicati a seguito dell’accordo, in cui la Santa Sede sottolineava che non era parte dell’accordo la necessità per i sacerdoti di iscriversi all’Associazione Patriottica.

Il nuovo vescovo di Jinjing, nella Mongolia interna, è nato nel 1965 ed è sacerdote dal 1991. Fra il 1994 e il 1998 si è specializzato in liturgia negli Stati Uniti, si è dedicato agli studi biblici a Gerusalemme. Tra i suoi incarichi, quello di insegnante e direttore spirituale nel seminario nazionale di Pechino e di segretario (dal 1998 al 2004) e vice- direttore (dal 2004 ad oggi) della Commissione Liturgica, che dipende dall’Associazione Patriottica e dal Consiglio dei Vescovi Cinesi.

Non è una persona sgradita a Pechino, e va ad amministrare una diocesi di 70 mila fedeli, con 30 sacerdoti e 12 suore e un santuario mariano, quello di Mozishan. Il motto del nuovo vescovo è Misericordes Sicut Pater. La diocesi di Jinjin è rimasta vacante dal 2017, quando era morto il vescovo Giovannni Liu Shigong.

La nomina di Padre Yao a vescovo di Jinjing era stata anticipata dalle “elezioni” che si erano tenuti a Jinjing a Shaanxi.

Nel corso delle elezioni di Shaanxi, padre Stefano Xu Hongwei, 44 anni, era stato eletto vescovo coadiutore di Hanzhong. All’elezione aveva partecipato tutto il clero locale, incluso il vescovo Aloysius Yu Runshen, ma era stato presentato un solo candidato, molto caldeggiato dalle autorità.

Anche questo vescovo è stato ordinato con mandato pontificio, secondo quanto riferisce VaticanNews. Il sito del Dicastero della Comunicazione della Santa Sede nota che "la cerimonia si è svolta in un’atmosfera solenne e partecipata, alla presenza di tutti i vescovi della provincia di Shaanxi".

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Secondo alcune testimonianze raccolte dall’agenzia di stampa UCANews, l’elezione è avvenuta in un clima di pressione, con circa cento officiali governativi e di polizia. L’elezione è stata presieduta dal vescovo Antonio Dang Mingyan di Xian, e vi ha preso parte anche padre Yang Yu, portavoce dell’Associazione Patriottica e della Conferenza Episcopale della Chiesa Cattolica in Cina.

L’elezione del vescovo Yao Shun è avvenuta il 9 aprile. Anche in quel caso, padre Yao era l’unico candidato. L’elezione è stata presieduta dal vescovo Paolo Meng Oinglu di Hohhot, vice presidente dell’Associazione Patriottica. L’elezione è stata tenuta in un albergo e svolta solo da membri del clero, mentre i membri del Dipartimento del Fronte Unito, dipartimento deputato a sinicizzare ogni religione e ogni gruppo etnico, eliminandone la specificità.

La sinizzazione delle religioni voluta dal presidente Xi Jinping è uno dei temi spinosi nei rapporti Cina – Santa Sede dopo l’accordo, così come le continue persecuzioni, abbattimenti di croci e di chiese, tanto che nella provincia di Hebei, lo scorso 13 maggio, i cattolici hanno evitato che le autorità distruggero alcune statue del santuario di Shengdilang, mentre tra il 6 e 7 maggio è stata rimossa una croce posta all’esterno della Chiesa cattolica di Shenliuzhuang, nella diocesi di Handan.

Da parte della Santa Sede, ci sono criticità, ma anche approcci positivi e dialoganti. Come quello del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, il quale ha concesso una intervista al giornale di partito cinese in lingua inglese Global Times, tra l’altro mai tradotta in cinese perché in fondo non destinata ai cinesi, e poi ha continuato a lanciare segnali alla Cina da un convegno all’Università Cattolica  a maggio dove, per la prima volta dopo l’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, ha incontrato due vescovi cinesi, di cui uno rientrato da poco in comunione con Roma.

In questi due incontri, il Cardinale Parolin ha guardato con ottimismo all’accordo, ha provato a reinterpretare la sinizzazione alla luce dell’inculturazione, ha sottolineato che per la prima volta dopo tanto tempo non ci sono vescovi illegittimi in Cina.

Tra i segni di speranza, l’inaugurazione, lo scorso 2 maggio, di una nuova chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù nella diocesi di Tangshan.

La storia recente dei rapporti tra Santa Sede e Cina ha avuto alti e bassi. Benedetto XVI aveva scritto una lettera ai cattolici cinesi nel 2007 che è ancora punto di riferimento per il dialogo. Papa Francesco ha mantenuto le linee guida, ma ha cambiato l’approccio. Non si sono più tenute riunioni della “Commissione Cina” (che includeva anche il Segretario di Stato vaticano, nonché membri di dicasteri interessati), mentre la linea ai negoziati in corso dagli anni Novanta è stata data con alcuni spostamenti.

Nel 2017, la nomina dell’arcivescovo Savio Hon, segretario di Propaganda Fide, a nunzio in Grecia, ha fatto seguito a quella di monsignor Tadeusz Wojda, numero 3 dello stesso dicastero, ad arcivescovo di Bialystok, in Polonia, e in questo modo si è data una linea diversa ai negoziati in corso, che pure vedevano vedevano una certa rigidità da parte cinese.

Erano tutti passaggi preliminari che portavano all’accordo del 22 settembre. Rimasto confidenziale, l’accordo sulla nomina dei vescovi includeva anche la revoca della scomunica per sette vescovi sotterranei, cui venivano assegnate delle diocesi, a volte anche mandando in pensione i vescovi “sotterranei” che erano stati da sempre la guida delle loro diocesi. In particolare, Vincenzo Guo Xijin ha assunto l’ufficio di Vescovo Ausiliare di Funing/Mindong, e Pietro Zhuang Jianjian il titolo di Vescovo Emerito di Shantou.

L’accordo ha portato a una distensione formale con il governo, che però, come detto, ha mantenuto la sua politica, mentre missionari riportano che in molti casi sacerdoti sotterranei sono spinti ad entrare nell’Associazione Patriottica proprio in nome dell’accordo. Ma l’accordo non lo prevede, come ha notato il Cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha sottolineato in una intervista all’Osservatore Romano del 5 marzo scorso.

L’accordo, insomma, va messo in pratica e bene interpretato. Se, da una parte, corregge l’operato dell’Associazione Patriottica sulle nomine episcopali, non sembra chiarire il rapporto della Santa Sede con l’Associazione Patriottica, che è un organismo governativo che vuole organizzare una Chiesa “autosufficiente” e indipendente.

(articolo aggiornato alle 13.37 con le notizie della nomina del secondo vescovo con mandato pontificio)

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