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Diplomazia pontificia, nel segno di Cirillo e Metodio

Santi Cirillo e Metodio | La statua dei Santi Cirillo e Metodio sul fiume Vardar, a Skopje | AG / ACI Group Santi Cirillo e Metodio | La statua dei Santi Cirillo e Metodio sul fiume Vardar, a Skopje | AG / ACI Group

È storia che è sempre stato complicato per la Santa Sede instaurare rapporti diplomatici con Paesi di tradizione ortodossa. Ma non è il caso di Macedonia e Bulgaria, che con la Santa Sede hanno ottimi rapporti. E che da 33 anni inviano una delegazione governativa in Vaticano per celebrare i Santi Cirillo e Metodio, che secondo il calendario gregoriano si celebrano il 24 maggio.

Papa Francesco visiterà queste due nazioni dal 5 al 7 maggio. Ma nella settimana diplomatica della Santa Sede ci sono molti altri eventi: i vescovi dell’area Est della Francia hanno scritto una lettera in vista delle elezioni europee; alle Nazioni Unite di New York si è commemorata la strage di Pasqua dello Sri Lanka; i vescovi di Eritrea hanno lanciato un appello per la pace.

La Santa Sede e la Bulgaria

Kiril Topalov, ambasciatore di Bulgaria presso la Santa Sede, ha preso congedo da Papa Francesco lo scorso 29 aprile. Ha lavorato sei anni come rappresentante del suo governo in Vaticano, durante i quali ha cercato di cementare i rapporti. La visita del Cardinale Parolin in Bulgaria nel 2016 ha rappresentato uno dei picchi del suo servizio come ambasciatore. Vale la pena di ricordare che il Cardinale Parolin, al termine del viaggio, affermò che avrebbe accolto l’invito bulgaro al Santo Padre per una visita. È stato di parola.

Bulgaria e Santa Sede hanno stabilito relazioni diplomatiche già nel 1990, poco dopo la caduta del comunismo. Le relazioni sono andate in crescendo: Giovanni Paolo II ha visitato il Paese nel 2002, nel 2005 fu il Cardinale Angelo Sodano, allora segretario di Stato, a recarvisi in visita ufficiale, e infine nel 2016 c’è stata la già menzionata visita del Cardinale Parolin.

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Nel corso della storia, Santa Sede e Bulgaria hanno avuto relazioni distanti proprio a causa dello scisma ortodosso, e i contatti tra lo Stato Pontificio e la Bulgaria sono limitati. Nel 1925, monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII, fu inviato da Papa Pio XI in Bulgaria come visitatore apostolico nel 1925, e poi fu nominato delegato apostolico nel 1931. Prima, non c’erano mai state relazioni diplomatiche formali tra il Regno di Bulgaria e la Santa Sede, ma il governo accettò la presenza e il lavoro della Chiesa nello Stato. Nel 1949, con l’arrivo del comunismo, la Repubblica Popolare Bulgara tolse ogni riconoscimento legale alla Santa Sede, dopo aver inizialmente mostrato una certa apertura alla presenza della Santa Sede allo scopo di mostrare i valori democratici.

Durante l’era comunista, la Santa Sede lavorò a lungo per mantenere le relazioni diplomatiche, grazie anche agli sforzi di monsignor Agostino Casaroli. Tendenzialmente chiusa, la Bulgaria non fu interessata al fenomeno della Ostpolitik. Tuttavia, negli Anni Settanta ci fu una apertura: durante l’incontro dei ministri degli Esteri dei Paesi partecipanti alla Conferenza di Helsinki nel 1973, il ministro austriaco Rudolf Kirchschlager presentò il suo omologo bulgaro Peter Mladenov a monisgnor Casaroli, e questi ultimi concordarorono di migliorare i reciproci rapporti “senza fretta”. Nel 1975, monsignor Casaroli fu invitato in Bulgaria, e nello stesso anno il presidente della Repubblica Popolare di Bulgaria, Todor Zhivkov, è ricevuto da Paolo VI.

Dopo la caduta del comunismo, le relazioni migliorarono: nel 1989, come parte del processo di democratizzazione, la Bulgaria riconobbe pari diritti sotto la legge nel 1989, e le relazioni diplomatiche furono stabilite nel 1990.

L’ultimo ambasciatore di Bulgaria presso la Santa Sede è stato Kirill Topalov, e il suo ultimo impegno sarà proprio quello del viaggio di Papa Francesco. Il suo impegno è stato caratterizzato dalla volontà di far conoscere il più possibile la Bulgaria, con una serie di conferenze, con l’obiettivo di mostrare come la cultura bulgara ha contribuito allo sviluppo della cultura slava e come i cattolici bulgari hanno aiutato a costruire la coscienza civile dei bulgari.

In una intervista a Vatican News sezione bulgara, Topalov ha messo in luce l’interesse di Papa Francesco ne confronti dei Balcani, e infatti il primo Paese che aveva visitato come Papa è stata l’Albania, e di aspettarsi dal Papa messaggi di pace.

Un tema sarà sicuramente la fraternità, che è un po’ la linea guida della Santa Sede quest’anno, a partire dall’Urbi et Orbi di Natale e passando per la Dichiarazione di Abu Dhabi, firmata da Papa Francesco con il Grande Imam di al Azhar e donata da allora a tutti i capi di Stato. Il 24 maggio 2015, giorno dei Santi Cirillo e Metodio secondo il calendario gregoriano, Papa Francesco ha ricordato i 25 anni dei rapporti diplomatici con la Bulgaria e ha sottolineato che questa è la stagione “della testimonianza della fraternità”.

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La Santa Sede e Macedonia del Nord

Santa Sede e Macedonia del Nord festeggiano invece quest’anno i 25 anni di relazioni diplomatiche. Stabilite il 21 dicembre 1994, tre anni dopo la proclamazione dell’indipendenza, le relazioni sono sempre state buone e la Santa Sede ha sempre supportato le aspirazioni europee di Skopje.

Fino al 2002, l’ambasciatore di Macedonia presso la Santa Sede era accreditato anche presso la Slovenia, ma dal 2002 la Macedonia ha aperto una ambasciata presso la Santa Sede. La Santa Sede ha invece una nunziatura in Slovenia, a Lubiana, che è anche responsabile per la Macedonia del Nord.

La Santa Sede ha anche relazioni molto buone con la Chiesa Ortodossa Macedone, e ha aiutato in molti modi il funzionamento della Chiesa, considerata però scismatica dalla comunione ortodossa.

Le relazioni diplomatiche anche sono molto buone. Lo scorso 8 aprile, Edmond Ademi, ministro della diaspora della Macedonia del Nord, è stato in visita in Vaticano, dove ha incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

Al termine dell’incontro, un comunicato ha sottolineato che durante l’incontro si è parlato di intensificare la collaborazione tra i due Stati, in particolare su temi di interesse comune.

Nel 2015, durante la visita ufficiale del presidente macedone Gjorge Ivanov in Vaticano, è stata collocata una targa in onore dei Santi Cirillo e Metodio nella Basilica di Santa Maria Maggiore.

La targa era stata fortemente voluta dal presidente Ivanov, che già nel 2013 aveva inviato una lettera a Benedetto XVI chiedendo sostegno per celebrare l’anniversario del 1150esimo anno della missione slovena dei Santi Cirillo e Metodio e collocare appunto una targa in Santa Maria Maggiore in ricordo della missione. L’idea era venuta ad Ivanov nel 2011, durante la cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II.

Ivanov aveva fatto d nuovo la proposta a Papa Francesco nel 2013, in un primo breve incontro, e poi nel 2014. È stato chiesto anche il sostegno del Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin.

La Santa Sede alle Nazioni Unite di New York: la situazione in Medio Oriente

Periodicamente, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tiene una riunione sulla situazione in Medio Oriente, inclusa la situazione palestinese. L’ultima si è tenuta il 29 aprile, e la Santa Sede ha fatto una dichiarazione, letta in Consiglio di Sicurezza del primo consigliere della missione, monsignor Tomasz Grysa.

La Santa Sede ha notato che “la disastrosa situazione umanitaria della popolazione palestinese alimenta una disperazione che può essere manipolata da gruppi estremisti e portare a violenza e rappresaglie”.

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La Santa Sede si è poi riferita alla recente formazione di un nuovo governo palestinese, guidato dal premier Mohammad Shtaye. Il governo esclude la presenza d esponenti di Hamas. La Santa Sede lo ritiene un barlume di speranza, e allo stesso tempo ha lodato gli sforzi delle città vicine nel facilitare il dialogo tra le fazioni palestinesi.

La Santa Sede ha poi messo in luce che “la terra palestinese è sempre più frammentata da insediamenti”, e questo “rende la soluzione dei due Stati più difficile da realizzare”. Apprezzamento è stato dimostrato per il lavoro dell’UNRWA (la UN Relief and Works Agency for Palestine Refugess in the Near East).

Nel suo intervento, la Santa Sede ha anche ricordato la dichiarazione congiunta di Papa Francesco e del Re del Marocco Mohammed VI sulla necessità di preservare Gerusalemme come comune patrimonio dell’umanità, assicurando pieno accesso a tutti seguaci delle tre grandi religioni monoteistiche.

La Santa Sede alle Nazioni Unite di New York: verso il Trattato di Non Proliferazione Nucleare

Sempre alle Nazioni Unite a New York, si sta lavorando alla Conferenza di Revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, che avrà luogo nel 2020. Lo scorso 30 aprile, si è tenuto un incontro del comitato preparatore.

L’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di New York, ha notato che nel 2020 ricorrerà il 50esimo anniversario dell’entrata in vigore del Trattato di Non Proliferazione Nucleare, e che questo è “la pietra miliare degli sforzi globali per eliminare le armi globali”.

Sono quattro i temi su cui concentrarsi, secondo la Santa Sede: il trattato deve essere rafforzato nell’area delle verifiche e ha bisogno di una autorità internazionale competente perché i programmi di armi nucleari vengano irreversibilmente eliminati; secondo, il trattato Intermedio tra Forze Nucleari ha bisogno che vengono compiute azioni dai due attori principali del trattato, così che questo non venga a scadere il 2 agosto; terzo, gli Stati nel Medio Oriente dovrebbero velocemente ratificare il Trattato di Bando Globale dei Testi Nucleari, negoziando una zona libera da armi nucleari, missili e altre armi di distruzioni di massa; quarto, si deve denuclearizzare la penisola coreana.

L’arcivescovo Auza ha infine notato che il possesso e il mantenimento delle armi nucleari destabilizza il mondo in un clima di “sfiducia reciproca basata sulla minaccia deterrente della distruzione mutua assicurata”, e questo dovrebbe essere superato dal trattato.

La Santa Sede all’ONU di New York: rafforzare i rapporti con la comunità musulmana

Le Nazioni Unite hanno ospitato un ricevimento della Organizzazione della Cooperazone Islamica lo scorso 2 maggio. Il ricevimento era dedicato al tema “Rafforzare i legami con la comunità islamica: promuovere il dialogo, la comprensione, la tolleranza e l’accettazione”.

A tenere il discorso di aperetura, oltre al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, c’era l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore della Santa Sede.

L’arcivescovo Auza ha sottolineato che la fiducia è “fondamentale per sviluppare dialogo, comprensione, tolleranza e accettazione” e ha messo in luce come i rapporti Islam – Santa Sede si sono moltiplicati.

In particolare, l’arcivescovo Auza ha ricordato la visita di Papa Francesco in Egitto, la visita del Segretario generale della Organizzazione per la Cooperazione Islamica in Vaticano nel marzo 2018, le visite di Papa Francesco negli Emirati Arabi e in Marocco.

Sono state tutte – dice l’arcivescovo Auza – “opportunità per rafforzare la mutua fiducia attraverso un cammino insieme in dialogo”. I

n particolare, l’arcivescovo Auza si è concentrato sul documento sulla Fraternità Umana firmata da Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyib ad Abu Dhabi lo scorso 4 febbraio.

Secondo l’arcivescovo Auza, sono quattro i grandi temi del documento: che la fede in Dio deve portare a vedere gli altri come fratelli e sorelle; che i leader religiosi, politici, culturali sono chiamati a promuovere il dialogo; che la libertà religiosa è un prerequisito per una culura di accettazione; e che il dialogo interreligioso può catalizzare il dialogo, la tolleranza e l’accettazione anche in ambito culturale e sociale.

La Santa Sede alle Nazioni Unite di New York: ricordo dello Sri Lanka

Il 3 maggio, si è tenuto al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite una commemorazione delle vittime dell’attentato di Pasqua in Sri Lanka, organizzato dalla missione permanente dello Sri Lanka e dal presidente dell’Assemblea Generale.

La Santa Sede ha partecipato alla commemorazione. L’arcivescovo Auza ha sottolineato che le parole non sono abbastanza per rispondere a questo crimine “inumano e ingiustificabile” e che la piaga del terrorismo “deve essere attaccata dalle radici”.

Il rappresentante della Santa Sede ha notato che “una delle azioni necessarie nella lotta contro il terrorismo è di descrivere gli attacchi con il loro nome proprio, e questo è il caso degli attacchi di Pasqua, dei quali deve essere riconosciuta la natura anti cristiana”. Questi sono un esempio di quello che l’Assemblea generale ha recentemente descritto come “cristianofobia”.

L’arcivescovo Auza ha poi notato che gli attacchi terroristi sono “deplorevoli sempre ed ovunque, ma gli attacchi contro i credenti mentre pregano, come successo in Sri Lanka, sono i più vergognosi e codardi”.

La Santa Sede alle Nazioni Unite di Ginevra: il diritto allo sviluppo

Alle Nazioni Unite di Ginevra, si è tenuta il 29 aprile una riunione del Gruppo di Lavoro Intergovernativo sul diritto allo sviluppo. È intervenuta anche la Santa Sede.

L’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra, ha sottolineato nel suo intervento la necessità di trovare interventi “realmente efficaci” per garantire un diritto allo sviluppo per tutti, mettendo in luce come “lo sviluppo umano non è solo una questione economica che riguarda gli esperti”, ma è piuttosto “una vocazione, una chiamata che richiede una risposta libera e indispensabile”.

L’arcivescovo Jurkovic ha notato che, “con la graduale evoluzione del concetto di sviluppo, alcuni principi di valore sono stati enfatizzati”, e questi non vengono solo dalla Dichiarazione per il Diritto allo Sviluppo, ma sono parte della cornice legale internazionale.

Per la Santa Sede, ogni definizione di sviluppo deve “riguardare i bisogni materiali e immateriali”, essendo di grande importanza “che la persona umana giochi un ruolo attivo e partecipi attivamente nel definire la sua realtà”.

La Santa Sede sottolinea che essenziali allo sviluppo sono “il raggiungimento di un grado di fiducia in se stessi, come i principi di eguaglianza e non discriminazione”.

Si tratta di un approccio che “può rappresentare una efficace risposta alla natura dinamica” del diritto allo sviluppo, secondo un approccio inclusivo chiamato a “focalizzarsi su tutti gli aspetti della dignità umana”, perché il rispetto della dignità umana “è la precondizione per promuovere il diritto umano integrale”.

La Santa Sede chiede che “la dignità umana e la garanzia dello sviluppo umano integrale” siano sviluppate portando avanti politiche di buon governo e facilitando un uguale accesso a servizi indispensabili e risorse vitali, incluse “educazioni, acqua potabile, energia pulita”.

Ci vuole, insomma, un approccio “non tecnocratico”, e le delegazioni sono chiamate ad impegnarsi nello sviluppare “uno sviluppo umano che è radicato nei valori etici fondamentali, includa un dovere internazionale alla solidarietà e consideri una dovere morale a riparare ai propri errori.

La Santa Sede alle Nazioni Unite di Ginevra: non lasciamo nessuno indietro

La discussione sul tema dello sviluppo si è prolungata anche l’1 maggio, con un dibattito sugli strumenti legali possibili per favorirlo. La Santa Sede ha chiesto, come al solito, di avere un approccio olistico al tema dello sviluppo, perché questo “assicura rispetto per la dignità umana e per la promozione dello sviluppo per tutti i popoli”. Lo sviluppo, insomma, deve essere centrato sulla persona umana e deve prendere in considerazione tutti gli aspetti della vita umana.

L’arcivescovo Ivan Jurkovic ha notato che “dato che lo sviluppo umano integrale dovrebbe garantire una vita salutare e degna”, si deve riconoscere che “un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale”, e che “una ecologia integrale è strettamente legata alla nozione di bene comune”.

La Santa Sede sottolinea che “un cambio di atteggiamento” è di fondamentale importanza per “affrontare effettivamente le sfide di fronte alla comunità internazionale”, e che ci sia bisogno di una cornice “di forti politiche e strumenti, sia a livello nazionale che internazionale”, basate sull’approccio dello sviluppo umano integrale che “offre modelli possibili di integrazione sociale, che riconosce che tutti, senza considerare la propria situazione personale, ha sia un diritto che un dovere di contribuire a società trasparenti e giuste”. Attraverso queste nuove politiche, conclude la Santa Sede, si deve lavorare per “non lasciare nessuno indietro”.

In vista delle elezioni europee: la lettera pastorale dei vescovi dell’Euroregione

Al termine dell’udienza generale dell’1 maggio, il vescovo Marc Stenger di Troyes ha consegnato a Papa Francesco la lettera pastorale scritta dai vescovi delle Euroregione. .Ricevendola, Papa Francesco ha accennato ai “populismi egoisti” che ci sono in Europa.

La lettera è stata presentata il 29 aprile in Lussemburgo. I vescovi firmatari sono quelli di Lussemburgo, Aquisgrana, Liegi, Nancy, Namur, Trier, Troyes, Verdun.

Nella lettera, i vescovi hanno sottolineato che l’Europa ha la particolare missione di “preservare, nello scontro di culture, ideologie e rivoluzioni scientifiche, l’uomo aperto agli altri, ansioso di dialogare e condividere, impegnato al servizio del bene comune”.

I vescovi hanno ammesso una crisi dell’Europa, ma hanno sottolineato che la stessa Europa ha “importanti risorse per affrontarla”, proprio considerando la storia dell’Europa, nata dalla fusione della cultura latina e quella germanica e cementata spiritualmente dal cristianesimo.

Secondo i vescovi, l’Europa ha sei sfide da affrontare: quella della solidarietà, della cooperazione diplomatica, del rispetto per la via umana in tutte le sue fasi, della preoccupazione per l’ambiente nella prospettiva di una ecologia integrale, delle migrazioni, e infine l’occupazione.

Sono temi per i quali i Paesi dell’Unione Europea sono chiamati a “rimanere aperti e dialogare gli un con gli altri nella loro grande diversità”, che non significa perdere identità, ma piuttosto “arricchire la propria cultura”.

Burkina Faso, ancora attacchi alle chiese cristiane

Non solo lo Sri Lanka. Se gli attacchi terroristici di Pasqua hanno causato terrore e centinaia di vittime, ci sono attacchi che vengono perpetuati contro chiese cristiane continuamente. L’ultimo caso è quello del Burkina Faso, colpito da un attacco jihadista a una chiesa del Nord del Paese domenica 28 aprile, la domenica della Divina Misericordia.

Si trattava della chiese protestante di Silgadi, ed è il primo attacco contro una chiesa dal 2015, data dei primi attacchi jihadisti in Burkina Faso. L’attacco ha provocato 6 vittime.

L’attacco è parte di una escalation, perché negli ultimi anni sono stati sempre di più gli attacchi contro i cristiani attribuiti a varie sigle jihadiste. Gli attacchi avvengono contro leader religiosi, specialmente nel Nord del Paese. Dal 2015, questi attacchi continui hanno causato circa 350 morti.

Tra questi, i casi di due sacerdoti cattolici. Padre Joel Youngbare, sacerdote di Djibo, rapito a marzo da individui armati. La Chiesa non conferma il ritrovamento del corpo, segnalato invece da molti locali. Il 15 febbraio, don Cesar Fernandez, missionario salesiano di origine spagnola, è stato ucciso in un attacco armato dei jihadisti a Nohan, nel centro- Est del Paese.

Gli attacchi non hanno nemmeno risparmiato imam considerati non abbastanza radicali.

Gli sviluppi della situazione in Nicaragua

Il vescovo José Silvio Baez, ausiliare di Managua, è sbarcato a Roma. Il vescovo è stato richiamato a Roma nel mezzo di un difficile dialogo tra forze di opposizione e governo in Nicaragua, in cui la Chiesa ha lavorato da mediatore. Il vescovo Baez è stato uno dei più forti oppositori del governo Ortega, e la Santa Sede ha prudentemente scelto di tirarlo fuori dalla mischia, in una situazione in cui anche gli ecclesiastici sono stati attaccati dai paramilitari.

Non si sa ancora dove il vescovo Baez sarà alloggiato, se in Vaticano o in Italia, e si pensa che presto avrà un incontro con Papa Francesco, il terzo dopo quelli del 30 giugno 2018 e il 4 aprile 2019. Papa Francesco gli spiegherà eventualmente cosa fare nel periodo in cui è a Roma.

Il Papa ha fatto sapere a Baez della sua decisione di farlo uscire dal Paese nell’udienza del 4 aprile, e lo stesso vescovo ha escluso che questo sia dovuto a pressioni esterne.

Al momento, secondo la Commissione Interamericana dei Diritti Umani dell’Organizzazione degli Stati americani ci sono almeno 700 dissidenti politici in prigione in Nicaragua. Sempre secondo la commissione, ci sarebbero stati 325 morti, 2 mila feriti e 50 mila feriti a seguito delle proteste, iniziate il 18 aprile 2018, scoppiate sulla riforma delle pensioni.

Al momento, i vescovi del Paese centroamericano non prendono parte ai negoziati, ai quali inizialmente erano stati invitati come mediatori. Ora, invece, partecipano al dialogo come “testimoni e accompagnanti il nunzio Waldemar Stanislaw Sommertag e Angel Rosadilla, inviato dell’OSA.

Il Cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, ha più volte ripetuto che la situazione è “grave”. Tutti i vescovi sono concordi sula necessità di una uscita democratica dalla crisi, con elezioni e un nuovo governo.

Verso la pace in Eritrea ed Etiopia

Il 28 aprile, la Conferenza Episcopale Eritrea ha diffuso una lettera pastorale in occasione della Pasqua Orientale del rito copto alessandrino cattolico. Il tema centrale del documento è quello della pace.

In 30 pagine, i vescovi dipanano il sostegno al processo di pace in corso tra Eritrea ed Etiopia dopo 20 anni di guerra.

I vescovi pregano “affinché la demarcazione delle frontiere avvenga in maniera soddisfacente per il bene di ambedue i popoli, perché possano continuare le loro normali relazioni di ogni giorno”.

Pronti a collaborare con le forze civili perché questa pace si realizzi, i vescovi di Eritrea hanno sottolineato l’impegno ad “eliminare ogni separazione”, per “costruire una nazione caratterizzata da unità e armonia”.

I vescovi eritrei hanno anche affrontato il tema della “marginalizzazione” internazionale del Paese a causa della guerra, che ha creato una diaspora di giovani.

Ora, i vescovi chiedono un dialogo che coinvolga sia chi sta in Eritrea, sia chi fa parte della diaspora, e invitano a pregare perché il Signore doni il suo aiuto.

Due giorni dopo, il Cardinale Berheyesus Demerew Souraphiel, che è alla guida della Commissione per la Riconciliazione Etiope, ha sottolineato che la commissione lavorerà nei prossimi tre anni per identificare le radici dei conflitti e proporre soluzioni.

“Dobbiamo focalizzarci – ha detto il Cardinale – nell’affrontare tutte le differenze guardando dal basso verso l’alto, cercando di risolverle attraverso la negoziazione ed evitando che mettano a rischio lo sviluppo del Paese”.

Il Cardinale ha anche sottolineato che “se non rimuoviamo le cause di discrepanze e disaccordi di tutti i tipi, allora non potremo trovare soluzioni sostenibili basati sulle prove concrete che ci possano porare avanti come nazione”

Dagli Stati Uniti, un rapporto sulla libertà religiosa

La commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha diramato lo scorso 29 aprile il suo rapporto annuale, con una case history sugli abusi della Cina contro minoranza musulmana degli uiguri.

Si tratta del 20esimo rapporto annuale dell’USCIRF, che ogni anno identifica “nazioni che destano particolare preoccupazione” nelle qual avvengono “sistematiche continue, grandi violenze di libertà religiosa”, mentre gli attori non statali sono definiti “entità di particolare preoccupazione”.

Le 16 nazioni considerate “preoccupanti” dal rapporto sono Myanmar, Cina, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Pakistan, Arabia Saudita, Sudn, Takistin, Turkmenistan, Repubblica Centrafricana, Nigeria, Russia, Siria, Uzbekistan e Vietnam.

Oltre a queste, ci sono 12 nazioni considerate preoccupanti, ma ad un livello leggermente inferiore. Sono: Afghanistan, Azerbaijan, Bahrein, Cuba, Egitto, India, Indonesia, Iraq, Kazakhstan, Laos, Malesia e Turchia.

Tra le entità non statali che destnao preoccupazione, ci sono il sedicente Stato Islamico,i taleban afghani, al-Shabaah n Somalia, gli Houthis nello Yemen e la sigla islamista siriana Hayat Tahrir al-Sham: questi ultimi due compaiono nella lista per la prima volta.

Il rapporto si concentra molto sulla situazione cinese, e in particolare sulla persecuzione degli uiguri, e nota che, nonostante la Santa Sede abbia raggiunto un accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi con lo Stato cinese, le repressioni contro “la Chiesa cattolica sotterranea è cresciuta nel’ultima metà dell’anno”.

Il Patriarca caldeo Sako ha incontrato il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I

Il Cardinale Rafael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, ha incontrato il Patriarca ecumenico Bartolomeo I in Turchia, dove si trova per la cerimonia del neo vescovo caldeo di Diyarbakir, Ramzi Garmou, che era prima vescovo caldeo di Teheran.

I due si sono incontrati al Fanar, e hanno parlato in particolare della situazione dei cristiani in Medio Oriente.

Il Patriarca Sako ha sottolineato che la situazione in Iraq è migliorata, e ha detto che è fondamentale rileggere il pensiero religioso e “presentarlo in chiave moderna, moderata”, perché “il fondamentalismo non ha futuro”.

Bartolomeo I si è detto orgoglioso dell’amicizia che ha instaurato con Papa Francesco, ha parlato della possibilità di unificare la Pasqua, e ha detto che uno dei principali ostacolo all’ecumenismo è appunto l’opposizione di alcune chiese ortodosse”. Il Patriarca ha chiesto almeno di unificare le celebrazioni per le Chiese cattoliche e ortodosse in Medio Oriente, in modo da dare un rinnovato impulso “alla loro presenza unitaria nella regione”. Infine, il porporato ha espresso la speranza per l’istituzione di un comitato congiunto cattolico-ortodosso “sull’ecumenismo e le sfide che affrontano i cristiani nella regione”.

Il cardinale Parolin a sorpresa a Spalato

Monsignor Ante Jozic, per dieci anni membro della Missione di Studio della Santa Sede per la Cina ad Hong Kong, doveva essere ordinato vescovo dal Cardinale Pietro Parolin l’1 maggio, prima di essere inviato nunzio in Costa d’Avorio. Un incidente stradale lo scorso 7 aprile lo ha costretto in ospedale a Spalato, e il segretario di Stato vaticano è andato a sorpresa a trovarlo.

I due hanno stretto ottime relazioni proprio perché il Cardinale Parolin, quando era sottosegretario alle relazioni con gli Stati, lavorava sul dossier Cina mentre monsignor Jozic era a Hong Kong.

Insieme al Cardinale Parolin, erano presenti il Cardinale John Tong, ammnistratore apostolico di Hong Kong, l’arcivescovo Giuseppe Pnto, nunzio in Croazia, l’arcivescovo Giordano Caccia, nunzio apostolico nelle Fiippine, l’arcivescovo Zelimir Puljic di Zara, e monsignor Janusz Blachowak, prmo segretario della nunziatura croata.

Il Cardinale Parolin ha incontrato il nuovo ambasciatore di Iraq

L’ambasciatore Amal Musa Hussein, dopo la presentazione delle lettere credenziali, ha incontrato il Segretario di Stato Pietro Parolin. Questi ha dato il benvenuto all’ambasciatore e dato la sua disponibilità ad aiutare l’ambasciatore nella sua missone. L’ambasciatore da parte sua si è detta felice della sua nuova missione di rafforzare le relazioni esistenti tra Iraq e Vaicano. I due hanno anche parlato della possbilità di una visita di Papa Francesco nella nazione.