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Diplomazia pontificia, un nuovo ambasciatore di Europa presso la Santa Sede

Il nuovo ambasciatore UE presso la Santa Sede è nominato mentre la stessa Europa sembra mettere ai margini la libertà religiosa. Il no al razzismo della Santa Sede

Bandiera Santa Sede | La bandiera della Santa Sede  | Council of Europe Bandiera Santa Sede | La bandiera della Santa Sede | Council of Europe

La nomina del nuovo ambasciatore dell’Unione Europea presso la Santa Sede è arrivata nella stessa settimana in cui la Commissione Europea ha deciso di chiudere l’ufficio dell’Inviato Speciale per la Libertà Religiosa fuori dall’Unione, raccogliendo le proteste di molti.

Nel multilaterale, la Santa Sede è intervenuta ad un dibattito sul razzismo presso il Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra, mentre a Vienna si è parlato di come la crisi della pandemia lasci spazi aperti alla corruzione.

                                                FOCUS EUROPA

Ecco chi è il nuovo ambasciatore UE presso la Santa Sede

È la diplomatica olandese Alexandra Valkenburg il nuovo ambasciatore dell’Unione Europea presso la Santa Sede, l’Ordine di Malta e le organizzazioni delle Nazioni Unite a Roma, nonché presso la Repubblica di San Marino. Viene dal ruolo di ambasciatore dei Paesi Bassi a Cuba e in Giamaica.

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Valkeburg prende il posto di Jan Tombinski, che è stato la scorsa settimana in visita di congedo.

Valkenburg è entrata nel ministero degli Affari Esteri dei Paesi Bassi nel 1996. Ha lavorato nel multilaterale a New York e a Paramaribo. Dal 2009 al 2012 è stato capo della cooperazione allo sviluppo in Guatemala; dal 2012 al 2016 è stato capo del dipartimento dei Diritti Umani e affari politici e giuridici, nella direzione delle istituzioni multilaterali e dei diritti umani. Dal 2016, è stata ambasciatore dei Paesi Bassi a Cuba e l’Avana.

La libertà religiosa in Europa

La scelta del nuovo ambasciatore arriva nella settimana in cui la Commissione Europea ha deciso di terminare il mandato dell’Inviato Speciale per la Promozione della Libertà di Religione e di Credo al di fuori dell’Unione Europea. Creato nel 2016, nel giorno in cui Papa Francesco riceveva il Premio Carlo Magno, l’ufficio è stato guidato da Jan Figel. Durante il suo mandato, Figel ha ottenuto alcuni grandi successi, come la liberazione di Asia Bibi.

Il suo mandato non era stato rinnovato, e si attendeva una decisione della Commissione Europea, che ha deciso alla fine di chiudere l’ufficio, pur dichiarando tra le sue priorità quella della libertà religiosa o di credo.

Una decisione difficile da comprendere, perché l’ufficio dell’inviato speciale per la libertà religiosa è stato anche replicato in diversi Paesi del mondo. Adina Portaru, consigliere legale per ADF International a Brussels, ha voluto sottolineare che “in tutto il mondo, le persone sono ostracizzate, imprigionate, torturate e uccise per la loro fede. In un tempo di crescenti restrizioni sulla libertà religiosa, siamo speranzosi che l’Unione Europea renderà prioritario questo diritto fondamentale attraverso altri mezzi”.

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ADF International è stato solo una delle molte organizzazioni che hanno sostenuto la necessità di mantenere l’ufficio. L’Inviato Speciale è stato difeso dall’Intergruppo del Parlamento Europeo sulla libertà di Religione o Credo e sull’Intolleranza religiosa, nonché dalla società civile, ed esperti internazionali di libertà religiosa, e dall’Osservatorio sull’Intolleranza e la Discriminazione contro i cristiani.

Rispondendo ad una lettera degli esperti, la Commissione ha comunque concordato che “insieme con altri diritti fondamentali, la libertà di religione o di fede è messa in discussione in tutto il mondo”.

                                               FOCUS MULTILATERALE

Lo scorso 18 giugno, si è tenuto al Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra un dibattito urgente sulle “Attuali violazioni dei diritti umani ispirate dal razzismo, il razzismo sistematico, la brutalità della polizia e la violenza contro le proteste pacifiche”. Il dibattito fa seguito all’uccisione di George Floyd negli Stati Uniti, le proteste che vi hanno fatto seguito, e la risposta federale negli Stati Uniti.

Intervenendo per bocca dell’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, la Santa Sede ha ribadito la sua “forte e forma convinzione che la discriminazione razziale in tutte le sue forme è assolutamente intollerabile”.

“Tutti i membri della famiglia umana – ha aggiunto l’arcivecovo Jurkovic – fatti ad immagine e somiglianza di Dio sono uguali nella loro dignità inerente, senza distinzione di razza, nazione, sesso, origine, cultura o religione”.

Per questo, “gli Stati sono chiamati a riconoscere, difendere e promuovere i diritti umani fondamentali di ciascuna persona”.

La Santa Sede ha notato che “calpestare l’inviolabile dignità degli altri è anche calpestare la nostra”, e per questo “non possiamo tollerare e rimanere ciechi di fronte al razzismo o l’esclusione di qualunque forma e allo stesso tempo pretendere di difendere la sacralità di ciascuna vita umana”.

La Santa Sede ha voluto però sottolineare anche che “la violenza è autodistruttiva e che si sconfigge da sola. Niente si conquista con la violenza, e molto si perde”.

La Santa Sede aderisce all’emendamento di Kigali

Presentando lo scorso 18 giugno il documento interdicasteriale per i cinque anni della Laudato Si, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, ha annunciato che la Santa Sede aderirà prossimamente all’Emendamento di Kigali al Protocollo di Montreal sulle sostanze che impoveriscono lo strato di ozono.

Si tratta – ha detto l’arcivescovo Gallagher – di uno “strumento finalizzato a contrastare sia il problema del cosiddetto ‘buco dell’ozono’, sia il fenomeno dei cambiamenti climatici”, e che va nella direzione auspicata da Papa Francesco nella Laudato Si.

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L’emendamento del Protocollo di Montreal è stato approvato il 15 ottobre 2016 a Kigali, e per questo è noto come emendamento di Kigali. L’emendamento fa rientrare anche gli idrofluorocarburi (HFC) nel gruppo di sostanze controllate dal Protocollo. Prima, gli HFC erano esclusi perché non lesivi dello strato di ozono, e fino all’emendamento di Kigali il Protocollo di Montreal si occupava solo del controllo di sostanze dannose per lo strato di ozono.

Gli HFC sono invece considerati concausa del cambiamento climatico. L’emendamento di Kigali prevede una riduzione di HFC che si calcola possa diminuire l’aumento di temperatura di oltre 0,4 ° C entro la fine del secolo.

L’emendamento divide i Paesi in tre gruppi in funzione della data rispetto alla quale devono congelare e iniziare a ridurre l’uso di HFC.

La riduzione nell’uso di HFC è iniziata ufficialmente il 1° gennaio 2019 per i Paesi industrializzati; gran parte dei Paesi in via di sviluppo, tra cui Cina, Brasile e Sud Africa, dovranno congelare i consumi dal 2024; un terzo gruppo di paesi, tra cui l’India e i Paesi del Golfo, dovrà iniziare dal 2028.

Alla fine del 2047 tutti i Paesi sono tenuti a consumare non più del 15-20% delle loro rispettive quote base. Arriveranno al traguardo in tempi diversi. L’emendamento di Kigali è un tassello sull’accordo di Parigi sul clima dell’aprile 2015. Alle discussioni, partecipò anche la Santa Sede, inviando una delegazione di altissimo livello guidata dal Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano.

La Santa Sede all’OSCE: la lotta alla corruzione per la stabilità economica dell’area

Lo scorso 15 giugno, l’Osservatore della Santa Sede presso l’OSCE ha tenuto un intervento al secondo incontro preparatorio del 28esimo Forum Economico e Ambientale dell’OSCE. L’incontro si è tenuto in teleconferenza, e il tema dell’intervento era “Promuovere la sicurezza, la stabilità e la crescita economica nell’area OSCE prevenendo e combattendo la corruzione attraverso l’innovazione, una crescente trasparenza e la digitalizzazione”.

La Santa Sede ha messo in luce che l’impatto della pandemia del COVID 19 sulle nostre vite richiede “una maggiore attenzione nella lotta alla corruzione”, e per questo apprezza che il Forum si focalizzi quest’anno sulla corruzione, ricordando che la Carta per la Sicurezza Europea del 1999 riconosce che “la corruzione pone una grande minaccia ai valori condivisi dell’area OSCE.. Genera instabilità e colpisce molti aspetti delle dimensioni umane, economiche e di sicurezza”.

La Santa Sede ha messo in luce come sia “innegabile che la corruzione crei danni sia da un punto di vista etico ed economico”, perché “dà l’illusione di guadagni veloci e facili”, ma “in realtà, ferisce tutti, mina la fiducia, fa ombra alla trasparenza e porta a mettere in dubbio l’affidabilità dell’intero sistema legale e sociale”.

Per questo, nota la Santa Sede, quanti sono nella pubblica amministrazione “hanno il dovere cruciale di operare con trasparenza e onestà, così portando avanti la relazione di fiducia tra cittadini e istituzioni”, dato che “la dissoluzione di questa fiducia è una delle più serie manifestazioni di una crisi della democrazia”.

La Santa Sede ha poi notato che “mentre affrontiamo una crisi sanitaria senza precedenti, la priorità dei governi è ovviamente la protezione della salute e della sicurezza”, e che però “le risposte al Covid 19 possono esporre a potenziali rischi e opportunità per la corruzione e per la rottura di standard anti corruzione come le pietre angolari delle procedure di appalto”.

Per questo “è necessario stare in guardia nella lotta contro le pratiche di corruzione durante il processo di risposta alla pandemia”, in quanto il COVID 19 può anche “fornire una vera opportunità di cercare nuove e innovative soluzione, anche nel contrastare la corruzione, che non siano divisive, politicizzate e parziali, ma che cerchino realmente il bene comune e lo sviluppo umano integrale per tutti”.

                                                FOCUS NUNZIATURE

Un nuovo nunzio in Sri Lanka

Lo scorso 13 giugno, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Brian Udaigwe come nunzio apostolico in Sri Lanka. L’arcivescovo Udaigwe sostituisce l’arcivescovo Pierre Nguyen Van Tot, che aveva presentato le sue dimissioni lo scorso 2 gennaio, nonostante non avesse ancora raggiunto il limite dei 75 anni di età.

Camerunense, nato nel 1964, l’arcivescovo Udaigwe è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede dall’1 luglio 1994, e ha servito nelle nunziature di Zimbabwe, Costa d’Avorio, Bulgaria, Thailandia e Regno Unito.

Il 22 febbraio 2013, con una delle sue ultime nomine, Benedetto XVI lo ha scelto come nunzio apostolico, e l’8 aprile 2013 Papa Francesco lo ha nominato suo “ambasciatore” in Benin, incarico cui si è aggiunto quello di nunzio in Togo. Le due rappresentanze sono collegate, e la sede del nunzio è Cotonou, capitale del Benin.

Anche l’arcivescovo Van Tot era arrivato alla nunziatura in Sri Lanka dall’incarico di ambasciatore del Papa in Benin,

L’arcivescovo Udaigwe va a servire in una Chiesa ancora scossa dagli attentati di Pasqua 2019, che hanno colpito tre chiese cristiane causando centinaia di morti. La Chiesa si è battuta con forza per una commissione indipendente.

                                                FOCUS AMBASCIATORI

Nove ambasciatori presso la Santa Sede insigniti dell’Ordine Piano

Lo scorso 18 giugno, l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato vaticana, ha insignito gli ambasciatori residenti presso la Santa Sede dell’Ordine Piano. L’Ordine Piano è il primo Ordine Cavalleresco conferito dalla Sede Apostolica, e fu fondato il 17 giugno 1847 da Papa Pio IX con il breve Romanis Pontificibus, per ricordare il suo primo anniversario di Regno. L’ordine si poneva in continuazione con gli antichi “Cavalieri Pii” o “Piani” che furono istituiti da Pio IV e e che formavano la corte laica del Papa.

Gli ambasciatori insigniti dell’onorificenza sono: Baek Man Lee, ambasciatore di Corea presso la Santa Sede; Calista Gingrich, ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede; Pietro Sebastiani, ambasciatore di Italia presso la Santa Sede; Petras Zapolskas, ambasciatore di Lituania presso la Santa Sede; George Johannes, ambasciatore del Sudafrica presso la Santa Sede; Dejan Sahovic, ambasciatore di Serbia presso la Santa Sede; Miodrag Vlahovic, ambasciatore del Montenegro presso la Santa Sede; Mahmoud Ahmed Samir Samy, ambasciatore di Egitto presso la Santa Sede.

Il 18 giugno, il conte John Cornet d’Elzius, ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede, è stato in visita da Papa Francesco in udienza di congedo. Sarà sostituito dall’ambasciatore Patrick Renault.

Il 20 giugno, sono stati in visita di congedo Godwin George Umo, ambasciatore di Nigeria presso la Santa Sede, e George Sibi, ambasciatore di India presso la Santa Sede.

L’ambasciata del Regno Unito presso la Santa Sede celebra il compleanno della regina

Lo scorso 16 giugno, in luogo della consueta festa per il compleanno della Regina che non si è potuta svolgere per via delle restrizioni da corona virus, l’Ambasciata del Regno Unito presso la Santa Sede ha organizzato una “tea party” virtuale, per onorare il contributo della Chiesa nell’affrontare la pandemia.

Ospite d’onore era l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per le Relazioni con gli Stati.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha messo in luce i molti campi in cui la Chiesa e il commonwealth inglese possono collaborare, ricordato che la Regina ha potuto incontrare cinque Papi nella storia, ha parlato dell’impegno del Papa nell’affrontare questa pandemia e le sue conseguenze, in particolare con l’istituzione della Commissione vaticana anti COVID 19,

L’arcivescovo Gallagher ha anche sottolineato come “le false sicurezze sembrano cadere via in questo tempo tragico, aiutandoci a riscoprire cosa è realmente importante nella vita”, mettendo in luce come il Papa “stia cercando in vari modi di portare il suo ospedale da campo a tutti quelli che ne hanno bisogno”.
Tra gli interventi, quello di Padre Arturo Sosa Abascal, generale dei Gesuiti e presidente dell’Unione dei Superiori Generali, che si è concentrato sui nuovi tipi di attenzione pastorale imparate dai sacerdoti durante il lockdown. Marta Petrosillo, portavoce di Caritas Internationalis, ha ricordato che Caritas Internationalis, con le varie strutture della federazione, ha potuto assistere 9 milioni di persone in tutto il mondo, nonostante i fondi limitati.