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Diplomazia pontificia, verso una ambasciata di Azerbaijan presso la Santa Sede

L’ambasciata di Azerbaijan presso la Santa Sede verso l’apertura di una ambasciata residenziale. Macron da Papa Francesco il 26. La visita di Gallagher in Finlandia

Mustafayev, Ayuso | L'ambasciatore Mustafayev a colloquio con il Cardinale Ayuso | Twitter @rahman2609m Mustafayev, Ayuso | L'ambasciatore Mustafayev a colloquio con il Cardinale Ayuso | Twitter @rahman2609m

Mentre nuove schermaglie al confine provocavano sei morti armeni, l’ambasciatore di Azerbaijan presso la Santa Sede Rahman Mustafayev è stato in Vaticano per una serie di incontri con l’intenzione di rafforzare il rapporto bilaterale tra i due Stati, e ha annunciato la prossima apertura di una ambasciata azera residente a Roma.

Il 12 novembre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, è stato in Finlandia, mentre il 18 novembre ha incontrato in Vaticano Miroslav Lajčák, rappresentate speciale dell’UE per il dialogo Belgrado – Pristina. La visita anticipa il viaggio dell’arcivescovo Gallagher in Serbia il prossimo 22 novembre.

                                                FOCUS CAUCASO

Azerbaijan – Santa Sede, prove di rafforzamento di relazioni

Santa Sede e Azerbaijan hanno stabilito relazioni diplomatiche nel 1992. Per il trentennale, l’Azerbaijan potrebbe aprire una ambasciata residente presso la Santa Sede. Lo ha annunciato Rahman Mustafayev, ambasciatore di Azerbaijan presso la Santa Sede, che risiede a Parigi e rappresenta il suo Paese anche in Francia, in una conferenza stampa che si è tenuta a Roma il 15 novembre.

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Mustafayev era in Vaticano per una serie di incontri, tra cui anche l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato, e il Cardinale Miguel Ayuso Guixot, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo Interreligioso.

Nell’agenda, anche una visita nella sede dell’Ordine del Santo Sepolcro, dove ha discusso con il governatore Visconti di Modrone di possibili iniziative umanitarie congiunte.

Nella conferenza stampa, l’ambasciatore Mustafayev ha sottolineato di voler rafforzare la cooperazione con la Santa Sede, e per questo la nomina di un ambasciatore residente è un passo avanti nel dialogo. In particolare, l’ambasciatore spera in una mediazione della Santa Sede con l’Armenia, perché – spiega – “un trattato di pace tra Armenia e Azerbaijan potrebbe risolvere tutti i conflitti nella regione”.

La conferenza stampa dell’ambasciatore voleva, appunto, fare il punto sulla situazione post-conflitto in Nagorno Karabakh. Dopo una guerra di 44 giorni, si è giunti ad un accordo di pace definito “doloroso” dall’Armenia. Il Nagorno Karabakh è una regione sotto amministrazione azera dagli anni Venti.

Dopo lo sfaldamento dell’Unione Sovietica, la regione si è proclamata indipendente, ricollegandosi alle sue radici armene. Ne sono seguiti diversi conflitti. Gli armeni hanno lamentato sempre la distruzione del loro patrimonio culturale da parte dell’amministrazione azera, e sono arrivati a parlare di un genocidio culturale che ha avuto luogo nell’ultimo secolo. Gli azeri hanno invece sempre ricollegato le radici della regione alla Albania Caucasica, e lamentato che gli armeni volevano spazzare via queste radici.

L’ultimo conflitto, nell’ottobre 2020, si è concluso con un accordo di pace che ha riportato gli azeri a prendere il controllo della regione. Non sono mancate situazioni controverse, come l’attacco azero alla cattedrale di Shushi, la difficile situazione dei monasteri armeni ora in territorio azero, persino la vicenda di una chiesa scomparsa, lamentata dagli armeni ma che gli azeri sottolineano non essere parte della tradizione culturale del Paese.
Una vicenda complessa, difficile da descrivere in maniera neutrale. Mustafayev ha sottolineato che “dal nostro punto di vista, il conflitto è finito”, perché “la causa principale del conflitto era la presenza armena nel nostro territorio”, tra l’altro – afferma – stigmatizzata da “quattro risoluzioni delle Nazioni Unite”.

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Mustafayev ha detto che ora che tutte le truppe armene sono state rimosse “non usiamo più frasi come ‘territori occupati’ e nemmeno ‘regime separazionista illegale’, ma definiamo i territori come ‘territori liberati’.”

L’ambasciatore ha notato che restano comunque dei problemi aperti, derubricati a “problematiche del post guerra”, e mette in particolare in luce le attività di sminamento, perché “abbiamo disattivato 47 mila mine, ma ci sono ancora circa 100 mila mine nella nostra terra”, e lamenta che “dopo la firma dell’accordo trilaterale, ci sono stati circa 160 morti civili, anche perché l’Armenia “non ci ha dato mappe per poter sminare il territorio”, ma piuttosto hanno fornito “mappe che sono accurate solo al 25 per cento”.

Mustatfayev ha sottolineato che è anche importante che l’Armenia dia informazione sulle persone scomparse, perché ci sono “3860 cittadini di cui non abbiamo informazioni”.

Entra qui in gioco la Santa Sede, uno dei partner coinvolti dall’Azerbaijan per fare da ponte per avere maggiori informazioni.

Ma l’Azerbaijan chiede anche sostegno ai partner internazionali, specialmente per un appoggio economico considerando la necessità di ricostruire “le aree precedentemente occupate dagli armeni, chiamati ‘Hiroshima del Caucaso’, e per questo abbiamo destinato un budget di 1 miliardo l’anno per la ricostruzione”.

L’obiettivo, sostiene Mustafayev, è quello di fare del Nagorno Karabakh uno Stato moderno, con città ‘smart’ e non sul modello sovietico, ma soprattutto di farne un società multiconfessionle, come era “nel 1987, quando c’erano 48 confessioni religiose registrate”.

Da un lato, l’ambasciatore sottolinea la volontà di “reintegrare i cittadini di origine armena nel nostro territorio”, dall’altro c’è la necessità di demarcare i confini, e anche qui entra in gioco la mediazione vaticana, magari per un accordo di pace.

Ad ottobre, una delegazione armena guidata dal Catholicos Karekin II è stata in Vaticano e ha sollevato il problema della restituzione dei prigionieri di guerra, portando dati, evidenze, problemi. Ma per Mustafayev quello è un falso problema, dato che “non ci sono prigionieri di guerra, perché quelli sono stati restituiti. I nostri prigionieri sono un gruppo di sabotaggio entrato nel nostro territorio dopo la guerra, e che hanno rallentato la nostra ricostruzione”.

Mustafayev dice che ha chiesto alla Santa Sede di “portare questo messaggio all’Armenia: non possiamo andare per due strade diverse, dobbiamo trovare il modo per supportare ogni sforzo per la pace, abbiamo bisogno di pace. Sono cero che raggiungeremo la stabilità nella regione”.

La reazione dell'ambasciatore armeno presso la Santa Sede

Le parole di Mustafayev non potevano non causare la reazione di Garen Nazarian, ambasciatore armeno presso la Santa Sede. 

Nelle sue dichiarazioni, Nazarian mette in luce che la situazione dei prigionieri di guerra armeni e degli ostaggi civili detenuti dall'Azerbaijan è stata "ripetutamente sollevata" sia dall'Armenia che dalla co-presidenza del Gruppo Minsk dell'OSCE.

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L'ambasciatore sottolinea che i prigionieri di guerra sono detenuti dall'Azerbaijan "contrariamente e in violazione dei requisiti del diritto umanitario internazionale e della dichiarazione trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020", e che si tratta della questione più urgente della dichiarazione trilaterale.

L'ambasciatore Nazarian ha aggiunto: “Riconosciamo e ringraziamo quelli dei nostri partner internazionali che continuano a sollevare questo problema a livello bilaterale e in sedi multilaterali, inclusa la Santa Sede che invita l'Azerbaigian a rispettare i suoi obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale e della dichiarazione trilaterale e a rilasciare tutti i prigionieri di guerra e ostaggi civili in sua custodia”.

Nazarian ha dunque sottolineato che “l'Azerbaigian continua a nascondere il numero reale dei prigionieri di guerra armeni. Inoltre, i processi simulati e l'emissione di lunghe condanne per false accuse contro prigionieri di guerra illustrano la politica di odio anti-armena e la campagna diffamatoria adottata e promossa in Azerbaigian ai massimi livelli".

L'ambasciatore ha sottolineato che "qquesto atteggiamento o, meglio, la politica di discriminazione razziale che persiste in Azerbaigian da decenni si è manifestata più chiaramente durante la guerra dello scorso anno, che nel corso di 44 giorni ha portato a violazioni diffuse e sistematiche del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani”.

“Abbiamo prevedibilmente assistito a energici tentativi da parte dell'Azerbaigian di distorcere e manipolare il diritto internazionale, compreso il diritto umanitario internazionale, con l'obiettivo di coprire le atrocità e i crimini di guerra commessi durante i 44 giorni di guerra di aggressione”, ha concluso l’ambasciatore Nazarian.

                                                FOCUS PALAZZO APOSTOLICO

Il presidente francese Macron da Papa Francesco

Un appuntamento si aggiunge all’agenda diplomatica del Papa: La Croix ha rivelato che il 26 novembre il presidente francese Emmanuel Macron sarà in visita da Papa Francesco. La notizia è stata poi confermata dall’Eliseo.

Macron ha incluso la visita in Vaticano nell’agenda di un viaggio in Croazia e poi Italia. Il presidente francese era già stato a Roma per il G20 a fine ottobre, ma la visita non ha incluso un incontro con Papa Francesco, che nell’occasione aveva invece incontrato il presidente USA Joe Biden, il presidente coreano Moon e il Primo Ministro indiano Narendra Modi.

L’asse Francia – Santa Sede è particolarmente caldo. Il 18 ottobre, era stato il primo ministro francese Jean Castex a visitare il Vaticano, mentre, dopo la pubblicazione del rapporto CIASE sugli abusi in Francia, il ministro dell’Interno Darmanin aveva convocato il presidente dei vescovi francesi, l’arcivescovo Moulins de Beaufort, per “riprenderlo” dopo alcune dichiarazioni relative al segreto della confessione.

La Santa Sede non sembra comunque considerare che le udienze possano essere interpretate come un sostegno implicito all’esecutivo Macron, nonostante queste abbiano luogo a pochi mesi dalle elezioni.

Macron vedrà il Papa per la seconda volta. La sua prima visita aveva avuto luogo il 26 giugno 2018, quando il presidente francese aveva anche ricevuto il titolo di Canonico Onorario della Basilica di San Giovanni in Laterano. La conversazione con Papa Francesco era durata circa 57 minuti.

Papa Francesco e Macron hanno avuto diverse conversazioni telefoniche da allora. Una conversazione ha avuto luogo il 17 aprile 2018, il giorno dopo l’incendio della cattedrale di Notre-Dame, e poi ancora una volta il 30 ottobre 2020, dopo l’attacco alla cattedrale di Nizza. Un’altra conversazione telefonica ha avuto luogo il 21 aprile 2020, su richiesta del presidente francese. Tema del colloquio, durato 45 minuti, era la risposta alla pandemia.

La pandemia e le sue conseguenze era stato infine il tema dell’ultima conversazione telefonica tra Papa Francesco e Macron avvenuta nel marzo 2021, poco dopo il viaggio di Papa Francesco in Iraq.

L’arcivescovo Gallagher, in preparazione il viaggio in Serbia di Papa Francesco?

Il 18 novembre, Miroslav Lajčák, rappresentante speciale UE per il Dialogo Belgrado-Pristina e altre situazioni regionali balcaniche, ha incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati. In un tweet, Lajčák ha definito l’arcivescovo Gallagher “un caro amico”, ed ha poi affermato di apprezzare il ruolo della Santa Sede nel promuovere la pace e la riconciliazione nel mondo.

L’incontro è arrivato alla vigilia del viaggio in Serbia dell’arcivescovo Gallagher, che comincerà il prossimo 22 novembre, come annunciato da Nikola Selaković, ministro degli Esteri serbo. Si parla insistentemente anche di una intenzione papale di andare nello Stato, dove nessuno è mai stato.

La situazione è complicata soprattutto per la presenza degli ortodossi, e, come disse il Patriarca ortodossso Irenej “a causa di quanto è accaduto nel passato e dell’enorme numero di rifugiati serbi espulsi dalla Croazia durante le guerre degli anni Novanta, la gran parte della nazione è contraria alla visita”.

Secondo il ministro Selaković, “la realizzazione di una possibile visita del Papa in Serbia è strettamente legata ai rapporti con la Chiesa ortodossa serba”, ma è convinto “che le due chiese comunicheranno e parleranno su questo tema”. Il dossier su un possibile viaggio di Francesco è dunque ora nelle mani di Porfirio, quarantaseiesimo patriarca di Serbia, succeduto ad Irinej morto per COVID a novembre dello scorso anno.

L’arcivescovo Gallagher in Finlandia

Lo scorso 12 novembre, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher è stato in Finlandia, dove ha incontrato, tra gli altri, Pekka Haavisto, ministro finlandese per gli Affari Esteri. Secondo un comunicato del ministero degli Esteri, i due hanno discusso temi di politica esterna, focalizzandosi in particolare su questioni riguardanti il Medio Oriente e il Corno d’Africa, nonché le mediazioni di pace e l’azione climatica.

L’arcivescovo Gallagher ha anche visitato il Parlamento, dove ha incontrato membri del Comitato Affari Esteri, e ha celebrato messa nella cattedrale di Sant’Enrico a Helsinki per la piccola (circa 15 mila membri) comunità locale.

Tra le altre attività, una tavola rotonda che portasse insieme esperti di alto livello sulla mediazione per la pace e il dialogo interreligioso.

                                                FOCUS EUROPA

Ucraina, incontro tra il nunzio e il Primo Ministro Shmyhal

Il 9 novembre, Denys Shmyahl, primo ministro ucraino, ha ricevuto l’arcivescovo Visvaldas Kulboks, nunzio apostolico presso l’Ucraina.

Secondo un comunicato del governo, il Primo Ministro si è congratulato con l’arcivescovo per la nomina, e ha detto di sperare che questa porterà a “rafforzare la nostra cooperazione culturale”, e dia “maggiore comprensione sull’Ucraina e sugli ucraini “riguardo l’aggressione della Federazione russa e i problemi causati dall’occupazione dei territori ucraini. È importante per noi mostrare l’Ucraina e dimostrare che siamo aperti alla cooperazione in varie aree”.

Il Primo Ministro ha ricordato anche l’incontro con Papa Francesco dello scorso 25 marzo, e ha detto che spera che la coo’perazione tra Santa Sede e Ucraina si sviluppi.

Una speranza che coltiva anche il presidente ucraino Volodymir Zelensky, che ha ricevuto dall’arcivescovo Kulbokas le lettere credenziali lo scorso 1 ottobre, ha anche sottolineato nell’occasione che “abbiamo un rapporto speciale con la Santa Sede. Siamo grati al Papa per il suo costante sostegno nei discorsi, nelle preghiere, nei riferimenti all’Ucraina e alla difficile situazione delle persone nei territori temporaneamente occupati. Lo apprezziamo”.

Il presidente aveva anche fatto un cenno ad una possibile visita di Papa Francesco in Ucraina, sottolineando che si sarebbe trattato di un evento “particolarmente importante nel contesto del rafforzamento delle relazioni con la Santa Sede”.

Come già aveva fatto in un colloquio telefonico con il Papa lo scorso 30 giugno, il presidente Zelensky ha anche ribadito che il popolo ucraino attende la beatificazione del metropolita Andriy Sheptytsky.

La scorsa settimana, l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, è stato in Vaticano per un viaggio concluso lo scorso lunedì con dei colloqui in Segreteria di Stato. Non ci sono comunicati ufficiali della visita, ma è presumibile che tra i temi dell’incontro ci sia anche stato quello di un viaggio di Papa Francesco in Ucraina il prossimo anno.

Bielorussia, il nunzio incontra il viceministro degli Esteri

Lo scorso 5 novembre, l’arcivescovo Ante Jozic, nunzio apostolico in Bielorussia, ha incontrato Sergej Aleinik, viceministro degli esteri bielorusso. Una nota diffusa dal ministero degli Esteri di Minsk sottolinea che “le parti hanno discusso di temi di attualità dell’agenda bilaterale, nonché dello sviluppo del dialogo interreligioso”, e si è parlato anche dell’interesse reciproco “per l’ulteriore sviluppo della cooperazione tra Bielorussia e Vaticano”.

Crisi dei migranti, la posizione dei leader bielorussi

Nel mezzo di una crisi di migranti spinti verso il confine della Polonia dal lato bielorusso, i leader della principali confessioni religiose di Bielorussia hanno rilasciato una dichiarazione lo scorso 12 novembre rivolgendosi ai politici degli Stati Europei e ai credenti.

Il documento è stato firmato dal metropolita ortodosso Benjamin di Minsk, dall’arcivescovo cattolico Jozef Saniewski di Minsk, dal muftì Abu-Bekir Shabanovich, dal rabbino capo dell’Associazioni delle Comunità Progressiste Ebree di Bielorussia Grigory Abramovich.

Nel documento si legge che i leader si sono sentiti in dovere di rivolgere questo appello a seguito della crisi dei migranti che si sta sviluppando, e che mostra “il dolore di migliaia di persone che congelano al confine dei nostri Stati”.

I religiosi “fanno appello ai politici degli Stati europei economicamente sviluppai e prosperi”, notano che “non è colpa di queste persone di aver lasciato le loro terre per cercare un miglior futuro per loro e per i loro figli”, e che queste persone “stanno cercando la strada di un miglior futuro in Europa attraverso la Bielorussia”.

I religiosi ricordano che presto si celebrerà Natale, ed è un periodo in cui in tute le religioni tradizionali “i credenti fanno più buone opere di carità, misericordia e assistenza di quelli che hanno bisogno”. Allora, “cosa daremo a Dio quest’anno? Dopo tutto, ogni rifugiato che attende una decisione sul suo destino al confine europeo ha la sua tragedia personale. Le loro lacrime, scaturite dal dolore nella loro terra natia, continua a crescere”.

Ogni persona, aggiungono, è creata a “immagine di Dio”, e per questo, in anticipazione del Natale, chiedono “a politici, credenti e persone che si interessano di mostrare saggezza, misericordia e compassione per salvare persone che sono senza casa e in uno stato di disperazione”.

                                    FOCUS NUNZIATURE E AMBASCIATORI

L’arcivescovo Coppola nuovo nunzio apostolico in Belgio

Il 15 novembre, l’arcivescovo Franco Coppola è stato nominato nunzio apostolico in Belgio. Sostituisce a Bruxelles l’arcivescovo Augustine Kasuja, che era andato in pensione al compimento dei 75 anni di età.

Sacerdote dal 1981, l’arcivescovo Coppola ha avuto il suo primo incarico come “ambasciatore del Papa” nel 2009, quando Benedetto XVI o inviò in Burundi. Nel 2014, è stato nominato nunzio apostolico in Repubblica Centrafricana, incarico cui ha aggiunto quello di nunzio apostolico in Ciad nello stesso anno.

Era nunzio apostolico in Messico dal 2016, e come tale ha anche ospitato la visita del Cardinale Pietro Parolin la scorsa estate.

Il 18 novembre, Papa Francesco ha ricevuto le lettere credenziali di Angelina Baiden-Amissah, ambasciatore del Ghana presso la Santa Sede. Laureata in economia domestica, con diplomi in pedagogia e una vasta esperienza nel campo dell’educazione, è stata dal 2001 al 2009 membro del Parlamento e di vari comitati parlamentari, e dal 2005 al 2009 è stata viceministro del Ministero dell’Educazione, delle Scienze e degli Sport.

Il 19 novembre, Papa Francesco ha invece ricevuto le lettere credenziali di Raphale Schutz, nuovo ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, con una rimarchevole carriera nel Ministero degli Affari Esteri di Gerusalemme dove è entrato nel 1983. Tra i suoi vari incarichi, quello di ambasciatore in Colombia, Ambasciatore in Spagna e Andorra e ambasciatore in Norvegia e Islanda.

Il 20 novembre, è stata la volta del nuovo ambasciatore delle Filippine presso la Santa Sede a presentare le lettere credenziali. Come già il precedente, il nuovo ambasciatore filippino è una donna, Myla Grace Ragenia Catalbas Macahiling. Classe 1967, ha un vasto curriculum nel campo delle scienze e della tecnologia legate alla pesca, per poi arrivare al ministero degli esteri dopo un passaggio all'ufficio prestiti dalla Land Bank of the Philippines. Dal 1999, ha lavorato all'Ufficio di Gestione Fiscale del Ministero degli Affari Esteri, per poi comincire gli incarichi diplomatici nel 2002, come viceconsole in Nuova Zelanda, e poi nel Regno Unito dal 2012 al 2018 come  Primo Segretario e Console e quindi come viceconsole. Nel 2018 è stato direttore della divsione Europa Meridionale del Ministero degli Affari Esteri, ed è quindi tornata alla gestione fiscale con vari incarichi fino alla nomina da ambasciatore presso la Santa Sede. 

L'ambasciatore di Italia presso la Santa Sede proclamato Magister della Cooperazione

La Pontificia Università Lateranense, il cosiddetto ateneo del Papa, ha deciso di proclamare Pietro Sebastiani, ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, 'Magister in Cooperazione Internazionale'.

La cerimonia del conferimento del titolo avverrà nella stessa Lateranense martedì 30 novembre alla presenza del cardinale Piero Parolin, segretario di Stato vaticano.

Si tratta di un bel riconoscimento per l'ambasciatore Sebastiani, che sta per concludere il suo incarico come ambasciatore e la sua carriera diplomatica, e il cui ultimo incarico, prima della nomina ad ambasciatore presso la Santa Sede, era stato proprio quello di Direttore Generale della Cooperazione alla Farnesina. 

Nato a  Capannori (Lucca) nel 1957, Pietro Sebastiani è entrato in diplomazia nel 1984. Nel corso della sua carriera ha prestato servizio a Mosca, New York, Parigi e Bruxelles. E' stato Rappresentante Permanente d'Italia presso le Organizzazioni delle Nazioni Unite in Italia e Ambasciatore d'Italia in Spagna tra il 2013 e il 2016. Ha fatto parte del Gabinetto dei Ministri degli Esteri Andreatta, Elia, Martino, Agnelli e Dini negli anni 1993-96. E’ stato Consigliere diplomatico del Presidente della Camera dei deputati nel corso della XIV legislatura e dal 2005 al 2008 Consigliere diplomatico del Presidente dell’Unione Inter Parlamentare a Ginevra.

                                                 FOCUS MULTILATERALE

Il Cardinale Pietro Parolin al convegno di Assisi sulle armi nucleari

Si intitola “La conversione delle armi nucleari? Conviene!” il convegno organizzato ad Assisi dal Comitato per una Civiltà dell’Amore, che riunisce diverse realtà nell’impegno e nell’eliminazione effettiva degli arsenali nucleari e la loro conversione in iniziative di pace. Il convegno è stato aperto da un videomessaggio del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.

Questi ha plaudito all’impegno del comitato centrato sulla dignità della persona umana e sul multilateralismo, e ha detto che “la Santa Sede ritiene che questi elementi siano particolarmente importanti per sviluppare e rafforzare una fiducia reale e duratura a livello internazionale, elemento indispensabile se si vuole garantire la sicurezza e la pace”.

Il Segretario di Stato vaticano notta che “è necessario riconsiderare il concetto di sicurezza”, che non si può basare “sulla minaccia della distruzione reciproca e della paura”, ma deve piuttosto trovare “il proprio fondamento nella giustizia, nello sviluppo umano integrale, nel rispetto dei diritti umani, nella cura del Creato, nella promozione di strutture educative e sanitarie, nel dialogo e nella solidarietà, in sintesi: nel bene comune ricercato con volontà sincera e attuato con determinazione”. 

Il Cardinale Parolin parla della urgenza di “adottare strategie lungimiranti, rifuggendo da approcci miopi e limitati nell’affrontare i problemi e le questioni relative al disarmo”.

Il Cardinale ricorda poi i vari incontri internazionali sul tema che si terranno nei prossimi mesi, dalla decima Conferenza di revisione del Trattato di non-proliferazione nucleare (TNP), al primo meeting delle parti del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW), che si terrà a marzo 2022 e che “costituirà un momento significativo per la famiglia delle Nazioni”.

Su quest’ultimo trattato, la Santa Sede si è particolarmente impegnata, fino a votare in favore del trattato e comportandosi nel caso, eccezionalmente, come Stato membro, e non secondo il suo status di osservatore. Il Cardinale Parolin ricorda che “la sua entrata in vigore, il 22 gennaio dell’anno in corso, ha segnato un passo avanti decisivo ed è legato alla piena attuazione degli impegni del Trattato di non proliferazione nucleare in vista del completo disarmo”.

Si tratta di un “un successo della diplomazia multilaterale, ma sappiamo bene che la sua negoziazione ed entrata in vigore non sarebbero state possibili senza l’azione delle tante associazioni della società civile impegnate nella promozione continua del disarmo e della pace”. 

Il Cardinale conclude ricordando che “l’obiettivo ultimo dell’eliminazione totale delle armi nucleari è al tempo stesso una sfida e un imperativo morale e umanitario. Un approccio concreto dovrebbe promuovere una riflessione su un’etica della pace e della sicurezza multilaterale e cooperativa che vada al di là della paura e dell’isolazionismo che permeano molti dibattiti attuali”. 

Già Paolo VI aveva una volta proposto di sostituire i soldi che s’impiegano nelle armi e in altre spese militari in un “Fondo Mondiale per lo sviluppo”, ed è un appello che anche Papa Francesco ha fatto proprio. E Parolin invita a fare “nostro questo auspicio del Papa, trovando insieme - con generosità e creatività - modi concreti per tradurlo nella realtà, coinvolgendo specialmente i giovani in questa unica volontà di pace”.

La Santa Sede all’OSCE, la lotta alle violenze contro le donne

Il 17 novembre, a Varsavia, si è tenuta la sessione plenaria di chiusura del Seminario di Dimensione Umana su “Prevenire e combattere la violenza contro le donne e le ragazze”, legato all’OSCE.

In un suo intervento, la Santa Sede ha sottolineato che è chiaro che “concordiamo tutti che la violenza contro le donne e le ragazze è ancora una ferita aperta nelle nostre società”, ed è un fenomeno che, qualunque sia la sua natura, “non può essere ignorato”.

Dovrebbe – ha sottolineato la Santa Sede – “essere evidente che ogni persona e tutta la società è a rischio quando la dignità inerente di una donna o di una ragazza non è rispettata e protetta”, perché in questo senso “c’è bisogno di misure legali, giudiziali e pratiche” per affrontare la violenza contro le donne e per rimediare a quelle ingiustizie.

Per la Santa Sede questo non basta. Ci vuole “un cambiamento di attitudine da parte di quanti ignorano e violano la dignità umana inerente della donna”, un problema che spesso trova alla radice l’idea sbagliata che “le donne sono inferiori agli uomini e pertanto è normale per un uomo sottomettere una donna alla sua volontà o averla per il suo piacere”.

La Santa Sede ha detto di considerare “l’eguale dignità e diritti di donne e uomini” come proveniente “dalla origine e naura della persona umana”, e per questo “donne e uomini sono uguali come persone, uguali in dignità, uguali nei loro diritti”, e questa eguaglianza “va realizzata a diversi livelli”, sia in pubblico che in privato.

Stella Maris, Santa Sede e FAO lavorano ad una conferenza internazionale sulla pesca

Il prossimo 22 novembre Stella Maris, la sezione dedicata ai marittimi presso il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, la FAO e la Missione permanente di Osservazione della Santa Sede presso la FAO, l’IFAD e il PAM, promuovono una Conferenza sul tema: “Stemming the tide: together we can stop human rights violations at sea” (Fermare la marea: insieme possiamo fermare le violazioni dei diritti umani in mare). 

"Un richiamo - spiega il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale -  necessario anche a fronte dell’inasprirsi delle condizioni di lavoro al tempo della
pandemia da COVID-19, che colpisce in maniera diretta il settore della pesca e dell'acquacoltura, incidendo sulla salute dei lavoratori e ostacolando lo sviluppo socio-economico".

Le misure anti-COVID hanno profondamenet mutato il mercato della pesca, e hanno anche limitato la disponibilità di lavoratori migranti, così che - spiega il dicastero - il reddito dei lavoratori del settore e delle comunità che dipendono dalla pesca viene ridotto, e porta anche a "favorire la riduzione del budget destinato al cibo - con un impatto sulla insicurezza alimentare e la malnutrizione - l’incremento del lavoro minorile e il disempowering delle donne per la perdita o riduzione del reddito".

Si parlerà di questo all'evento virtuale che si terrà il 22 novembre dalle 10.00 -12.00 (GMT+1). È previsto il saluto introduttivo del Cardinale Peter Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, e di Qu Dongyu, Direttore Generale della FAO. Le conclusioni sono affidate a Mons. Fernando Chica Arellano, Osservatore permanente della Santa Sede presso la FAO, l’IFAD e il PAM.

                                                FOCUS AMERICA

Plenaria dei vescovi USA, le parole del nunzio

L’arcivescovo Christophe Pierre, nunzio apostolico negli Stati Uniti, ha tenuto come di consueto un discorso alla plenaria dei vescovi USA che si è tenuta a Baltimora dal 15 al 18 novembre.

Al centro del suo discorso, quello della sinodalità, che “aiuta a dare risposte alle sfide e ai litigi che minacciano di dividere gli Stati Uniti, i cuoi echi sono sentiti anche nella Chiesa”. Un confronto, ha aggiunto, in cui molti sono coinvolti “inavvertitamente”.

Tra le sfide, quella della vita. Il nunzio ha sottolineato che “la Chiesa deve essere non apologeticamente pro-vita”, difendendo la vita umana e le persone vulnerabili. Per quanto riguarda il tema dell’Eucarestia, centrale nel dibattito USA, il nunzio ha detto che “possiamo avere tutte le idee teologiche sull’Eucarestia, ma nessuna di queste idee si compara con la realtà del mistero eucaristico, che ha bisogno di essere scoperto e riscoperto attraverso l’esperienza pratica della Chiesa, vivendo in comunione in particolare in questo tempo di pandemia”. Il nunzio ha anche sottolineato il rischio di diventare “così concentrati sulla sacralità delle forme della liturgia che manchiamo l’incontro con la sua vera presenza”.

L’arcivescovo ha anche parlato della ingiustizia razziale negli Stati Uniti, e ha affermato che “la sinodalità include l’ascolto”, ma ha anche sottolineato che “il vero cammino sinodale deve essere radicato nella tradizione, con i vescovi locali che servono come garanti della Verità”.

Per il nunzio, “il processo sinodale dovrebbe portare a un discepolato missionario”, e ha chiesto un discernimento apostolico oggi, che richiede di “integrare le nostre opinione con quelle della nostra comunità e dei vescovi”.