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Papa Francesco e il presidente dell’Iraq, i cristiani cooperatori della riconciliazione

Papa Francesco e il presidente iracheno Salih | Papa Francesco e il presidente Salih, Palazzo Apostolico Vaticano, 24 novembre 2018 | Pool Media / Holy See Press Office Papa Francesco e il presidente iracheno Salih | Papa Francesco e il presidente Salih, Palazzo Apostolico Vaticano, 24 novembre 2018 | Pool Media / Holy See Press Office

La prima visita del nuovo presidente dell’Iraq Barham Salih a Papa Francesco dura 23 minuti, molto cordiali, a testimoniare l’impegno comune per la ricostruzione del Paese dopo la guerra e sottolineare la presenza storica dei cristiani nel Paese.

Il presidente Salih, eletto ad ottobre dal Parlamento iracheno, è in Occidente per un giro di incontri che ovviamente vanno a toccare la Santa Sede: l’impegno della Chiesa nell’Iraq messo sotto attacco dal Daesh è stato grandissimo, così come ora l’impegno delle associazioni umanitarie della Santa Sede per ricostruire il territorio è imponente, come ha notato anche recentemente il rapporto sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Il presidente Salih ha successivamente incontrato il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, e il “ministro degli esteri” vaticano, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.

Si legge nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede che “durante i cordiali colloqui, sono stati evocati i buoni rapporti tra la Santa Sede e l’Iraq e i positivi sviluppi della situazione politica, rilevando l’importanza degli sforzi congiunti, con il sostegno della comunità internazionale, ad affrontare le sfide del processo di riconciliazione per favorire l’unità nazionale”.

“In tale contesto – recita ancora il comunicato - è stata rilevata la presenza storica dei cristiani nel Paese, di cui sono parte integrante, il significativo contributo che essi apportano alla ricostruzione del tessuto sociale, nonché l’importanza che quanti sono stati costretti ad abbandonare le proprie terre d’origine possano farvi ritorno, evidenziando la necessità di garantire loro sicurezza e un posto nel futuro dell’Iraq”.

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Infine, “ci si è soffermati sui diversi conflitti e le gravi crisi umanitarie che affliggono la Regione, sottolineando l’opportunità del dialogo fra le varie componenti etniche e religiose per ristabilire la fiducia e la convivenza pacifica”.

Al termine del dialogo con Papa Francesco, il presidente Salih gli ha donato una palma in argento, e Papa Francesco in cambio ha donato un medaglione per la pace, che presenta due rami di ulivo che si incrociano. “Dobbiamo cercare quello che unisce”, ha detto Papa Francesco al presidente.

La delegazione del presidente era composta da dieci persone, che includevano la moglie Sardak, gli ambasciatori iracheni presso Santa Sede e Iraq, il ministro degli Esteri. Il Papa ha donato al presidente il messaggio per la Giornata Mondiale della Pace e l’enciclica Laudato Si. Non essendo la delegazione composta da cristiani, non sono state donate, come consuetudine del Papa, le esortazioni apostoliche Evangelii Gaudium, Amoris Laetitia e Gaudete et Exsultate. Similmente, alla delegazione non è stato donato il rosario, come solitamente si fa, ma una medaglia del Pontificato.

Nel giro di visite europeo del presidente Salih, è stato annunciato il progetto di lanciare una agenzia per la ricostruzione in Iraq, dopo che l’ISIS è stato ufficialmente sconfitto in Iraq nel dicembre 2017. Il piano dell’Iraq è quello di lavorare con entità straniere su diversi progetti di infrastrutture.

Di certo, non sarà trascurato il contributo della Chiesa Cattolica. Il 13 e 14 settembre si è tenuto in Vaticano il Sesto incontro delle organizzazioni caritative che operano in Siria ed Iraq. Si tratta di 53 sigle, 10 diocesi di Siria e Iraq e 21 istituti religiosi operanti in Siria, Iraq, Libano e Giordania.

Durante l’incontro, era stata anche diffusa la terza edizione di una indagine del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale che ha presentato i numeri della risposta alla crisi umanitaria da parte delle istituzioni ecclesiali negli anni 2017-2018. Secondo i dati dell’indagine, la rete ecclesiale ha allocato più di 286 milioni di dollari per la risposta alla crisi in Siria, Iraq, Libano, Giordania, Egitto e Cipro, raggiungendo circa 4,6 milioni di beneficiari. L’Iraq ha beneficiato del 17 per cento dei fondi, destinati soprattutto al sostegno per gli affitti e la riabilitazione delle case. Il ritorno alle comunità di origine è infatti una delle priorità su cui si concentrano gli aiuti in Iraq.

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Ahmad Majoub, portavoce del ministero degli Esteri iracheno, aveva annunciato alla stampa araba ad agosto l’esistenza di un coordinamento con la Santa Sede per arginare il fenomeno dell’emigrazione dei cristiani dall’Iraq.

A marzo, Rezan Kader, Alto rappresentante del governo regionale del Kurdistan iracheno in Italia e presso la Santa Sede, aveva denunciato la continua persecuzione dei cristiani in Iraq, sottolineando che i cristiani nella piana di Ninive erano 1,5 milioni quindi anni fa e oggi sono circa 300 mila.

A maggio, Omer Ahmed Karim Berzinji, ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, aveva annunciato in una intervista al quotidiano iracheno Al Sabah che Papa Francesco vorrebbe andare in Iraq, e che sarebbe andato non appena le condizioni di sicurezza sarebbero migliorate. Berzinji aveva parlato dopo un incontro con il Cardinale Pietro Parolin, organizzato per ringraziare la creazione del Patriarca caldeo Louis Sako a Cardinale.

Un possibile viaggio in Iraq del Papa era stato comunque smentito da Greg Burke, direttore della Sala Stampa della Santa Sede.

Anche i vescovi caldei in visita ad limina lo scorso febbraio avevano invitato Papa Francesco a visitare il Paese. Lo aveva annunciato il Patriarca Caldeo Louis Raphael Sako, dettagliando anche il progetto del viaggio: una tappa ad Ur, da dove Abramo si mosse verso la Terra Promessa, per un incontro in comune con i musulmani; poi a Baghdad, dalle autorità; e infine ad Erbil, per una messa con i tanti rifugiati che ancora sono nella città.“Il Papa ci ha detto di essere pronto a venire, ma che la situazione non aiuta”, aveva affermato il Patriarca Sako.