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Diplomazia pontificia, il viaggio in Libano spiegato ai diplomatici

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha tenuto un briefing con i diplomatici accreditati presso la Santa Sede per riportare dettagli e impressioni del suo viaggio in Libano. La COMECE prende posizione contro l’aborto

L'arcivescovo Gallagher con il presidente Aoun in Libano | L'arcivescovo Gallagher con il presidente Aoun in Libano | Vatican News L'arcivescovo Gallagher con il presidente Aoun in Libano | L'arcivescovo Gallagher con il presidente Aoun in Libano | Vatican News

Lo scorso 9 febbraio, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha riferito del suo recente viaggio in Libano al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede: un segno della particolare attenzione che la Santa Sede destina al Paese dei Cedri. È noto che Papa Francesco vorrebbe visitarlo, e l’arcivescovo Gallagher ha detto che c’è un viaggio “allo studio”.

In Europa, la proposta di includere il diritto all’aborto nella Carta dei Diritti Umani Europei lanciata dal presidente Macron fa ancora discutere. A rispondere, è arrivata anche una dichiarazione della COMECE, molto dura. Riprende l’impegno nel multilaterale, con diversi discorsi.

                                                FOCUS LIBANO

Libano, la visita di Gallagher spiegata al corpo diplomatico

C’è l’idea di un viaggio di Papa Francesco in Libano, e si spera possa essere entro la fine dell’anno. Ma per farlo, la nazione dovrà raggiungere una stabilità politica, e va scongiurato il rischio di un rinvio elettorale, che potrebbe solo peggiorare le cose. L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha incontrato il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per un briefing sul suo recente viaggio in Libano, che ha avuto luogo dal 31 gennaio al 4 febbraio.

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Il viaggio, che fa seguito a quello del Cardinale Pietro Parolin nel settembre 2020 in occasione della Giornata di Preghiera per il Libano, era nato dall’invito di partecipare ad un simposio su Giovanni Paolo II e il suo rapporto con il Paese dei cedri. Si celebrava, infatti, il 25esimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II, nonché il 75esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Libano e il 10mo anniversario della visita di Benedetto XVI nel Paese.

Gallagher ha trasformato questa opportunità in una visita di cinque giorni, con vari incontri con le autorità.

Nell’appuntamento, destinato ai soli ambasciatori, il “ministro degli Esteri” vaticano ha prima spiegato nei dettagli la visita, ha poi proposto le sue riflessioni e si è quindi lasciato coinvolgere in un dialogo con domande e risposte.

Parlando agli ambasciatori, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che in Libano “ognuno ha la sua personale prospettiva”, ma manca “un consenso sulle soluzioni dei problemi che affliggono il Paese”, e che dunque le elezioni di maggio sono “un passo indispensabile” perché il Paese ritorni a vivere nella stabilità.

La Santa Sede, come sempre, è disposta anche a fare da mediatore in un dialogo nazionale, ma è necessario che tutte le parti lo richiedano e mostrino la volontà di portare avanti il dialogo.

Parlando dei familiari delle vittime dell’esplosione al porto di Beirut dell’agosto 2020, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che questi “vivono un forte senso di frustrazione”, perché temono che il processo di giustizia venga ostacolato”.

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Altro tema trattato nell’incontro, la situazione dei rifugiati, la cui presenza a Beirut e dintorni comincia ad essere percepita come un pericolo per l’equilibrio demografico ed economico.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha anche affrontato il tema della “neutralità attiva” proposta dal Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti. Per l’arcivescovo, la proposta del cardinale sembra essere “un elemento essenziale per il futuro del Libano”, pur concedendo che nell’immediato “parlare di neutralità nella regione sarà difficile”.

L’arcivescovo Gallagher ha messo in luce anche i problemi della gioventù libanese, colpito dal fatto che anche i giovani cristiani maroniti stiano lasciando il Paese. Mentre l’arcivescovo Gallagher ha anche notato che la visita del Papa in Iraq “ha avuto un grande impatto” nel Paese dei cedri, e in particolare l’incontro con l’ayatollah al Sistani. Il tema della influenza iraniana nel Paese, nonché quello della presenza Hezbollah, è stato toccato.

In sintesi, gli obiettivi strategici della visita dell’arcivescovo Gallagher in Libano sono stati: riprodurre su scala araba il modello di convivialità libanese, diffondere nel mondo arabo-islamico la “cultura dell'incontro” registrata nel documento sulla fraternità umana firmato ad Abu Dhabi (2019), preservare l'esistenza e la politica di indipendenza del Libano e posto occupato dai cristiani nel suo sistema politico, per impedire una guerra contro lo Stato d'Israele, che ospita Gerusalemme e i Luoghi Santi, e in cui il Libano sarebbe inevitabilmente trascinato, per preservare l'unità dei libanesi e per arginare il loro esodo, per declericalizzare e deborgheizzare la Chiesa, incoraggiare i giovani a non aver paura di impegnarsi socialmente e politicamente.

Il 2 febbraio, rispondendo in Libano alle domande dei giornalisti, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che “di fronte alla situazione odierna, non solo in Libano, ma anche nella regione, c'è ovviamente il rischio che il futuro del Paese non sia assicurato”.

Tra le visite, anche quella, insolita, al generale Joseph Aoun, comandante dell’esercito, fatta con l’intenzione di sostenere le istituzioni e riconoscere l’importanza di un esercito unito.

La Santa Sede non ha finora perso occasione per chiedere alla comunità internazionale di sostenere il Libano. L’ambasciatore del Libano presso la Santa Sede, Farid el-Khazen, ha sottolineato che “le chiavi di alcune crisi interne sono nelle mani dei libanesi. Non dovremmo aspettarci tutto dalla comunità internazionale”.

                                                FOCUS EUROPA

Diritto all’aborto in Europa, la presa di posizione della COMECE

Lo scorso 2 febbraio, la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) ha pubblicato un documento in risposta alla proposta del presidente francese Emmanuel Macron di includere il diritto all’aborto nella Carta dei Diritti Fondamentali Europei.

Nel documento, firmato dal Cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della COMECE, i vescovi europei sottolineano di essere “d’accordo sull’importanza di difendere e promuovere i valori dell’Unione Europea”, ma che questi includono tra i valori principali “il rispetto della dignità di ogni persona umana in ogni momento della propria vita, specialmente in situazioni di completa vulnerabilità, come nel caso dei bambini non nati”.

I padri fondatori di Europa – sottolinea il documento –“erano molto coscienti dell’importanza fondamentale dell’inalienabile dignità della persona umana, così come della comunità come una base comune per la nostra unione”.

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I vescovi dicono di comprendere “la tragedia e la complessità delle situazioni in cui si trovano le madri che prendono in considerazione un aborto”, anche perché prendersi cura delle madri in difficoltà “è una parte centrale del ministero diaconale della Chiesa e dovrebbe anche essere un dovere esercitato dalla società”, in quanto le donne in situazioni difficili “non devono essere lasciate sole”, ma nemmeno può essere ignorato “il diritto alla vita del bambino non nato”, perché entrambi devono “ricevere tutto l’aiuto e l’assistenza necessari”.

I vescovi sottolineano che “da una prospettiva legale, non c’è alcun diritto all’aborto riconosciuto nella legge europea o internazionale” e che per questo “cercare di introdurre un supposto diritto all’aborto nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea non va solo contro i fondamentali valori europei, ma sarebbe una legge ingiusta, priva di fondamento etico e destinata ad essere una causa di un conflitto perpetuo tra i cittadini nell’Unione Europeo”.

La COMECE sottolinea che “l’integrazione europea dovrebbe sempre sviluppare e promuovere il rispetto delle differenti identità ed evitare imposizioni ideologiche”, e per questo “la proposta del presidente Macron di includere questo supposto diritto non può in alcun modo essere visto come dare nuova vita ai diritti fondamentali”.

Spagna, il governo vuole indagare sugli abusi nella Chiesa

In quello che la Conferenza Episcopale Spagnola ha definito “una trappola”, il governo socialista di Spagna ha deciso di avviare una indagine sugli abusi sessuali che si sarebbero perpetrati nel Paese, e ha proposto come capo dell’indagine l’ombudsman Angel Gabilondo, una decisione venuta a seguito i parlamentari spagnoli hanno fatto il primo passo per aprire una inchiesta parlamentare nella questione degli abusi sessuali nella Chiesa.

I vescovi spagnoli avevano rifiutato l’idea di avviare una indagine sugli abusi, sulla falsariga di quelle che ci sono state in Francia e nell’arcidiocesi di Monaco-Frisinga in Germania. In entrambi i precedenti, si trattava di indagini commissionate ad esterni dai vescovi locali, che però erano state condotte con delle metodologie in buona parte inattendibili. In pratica, i numeri degli abusi erano stime, più che dati certificati, e non godevano nemmeno di una solida base investigativa, ma raccontavano solo un numero di segnalazioni.

Tornando alla Spagna, il voto finale per una commissione parlamentare sulla questione degli abusi nella Chiesa si terrà il prossimo mese, e in quel caso Gabilondo sarà chiamato a compilare il rapporto. Il primo ministro spagnolo Sanchez ha scritto che “le vittime non possono essere tenute sotto silenzio. È tempo di guarire le nostre ferite ed evitare che accadano di nuovo. Siamo impegnati nel non permettere che gli abusi connessi dalla Chiesa restino impuniti”.

La proposta del Partito Socialista è diversa da quella già presentata al Congresso da vari gruppi progressisti (incluso Podemos) che prevede una commissione investigativa parlamentare per la questione degli abusi.

I vescovi hanno comunque fatto sapere, in conversazioni con il governo, che hanno già la loro investigazione interna, e che tuttavia fiora non c’è stato alcun risultato significativo.

Recentemente, il primo ministro Sanchez ha fatto visita alla sede della Conferenza Episcopale e ha avuto una conversazione con il Cardinale Juan José Omella, il presidente dei vescovi spagnoli, per cercare di rafforzare le relazioni con la Chiesa.

La decisione del governo di andare avanti ha visto la reazione della Conferenza Episcopale spagnola. Il vescovo Luis Argüello, segretario, ha sottolineato che lo stabilimento della commissione nasce piuttosto da un “pregiudizio generale contro la Chiesa”, e che su questo vanno “piuttosto ad influire delle questioni politiche” e non il reale interesse delle vitime”.

Ancora, in una intervista a Radio Estel, ha detto che la Chiesa si trova “di fronte ad una trappola sadducea”, perché la Chiesa sarà presentata in maniera negativa sia che partecipi sia che non partecipi alle indagini. Il vescovo Arguelo ha anche detto che “se ci fosse una vera preoccupazione per le vittime, i gruppi politici che hanno votato a favore dell’indagini dovrebbero tenere in considerazione tutta la realtà degli abusi in Spagna”, e non circoscrivere la ricerca a quelli avvenuti nella Chiesa cattolica.

La procura generale della Spagna ha ordinato lo scorso 7 febbraio ai 17 procuratori superiori di Spagna di inviare entro 10 giorni tutte le denunce e querele su aggressioni e abusi sessuali su minori da parte delle istituzioni religiose.

La questione degli abusi, in Spagna, cade al centro di un forte dibattito politico, e di una politica profondamente dura contro la Chiesa del partito socialista. Sul tavolo, anche la possibile confisca di beni della Chiesa, ma – soprattutto – una revisione del Concordato tra Spagna e Santa Sede, che è stato anche parte del programma del Partito Socialista.

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

Santa Sede ed Emirati Arabi Uniti, Pena Parra ad Abu Dhabi

La scorsa settimana, l’arcivescovo Edgar Pena Parra, sostituto della Segreteria di Stato della Santa Sede, è andato ad Abu Dhabi per inaugurare la nuova nunziatura presso gli Emirati Arabi Uniti. Tra gli incontri, va segnalato quello del 5 febbraio con lo Sheikh Abdullah bin Zayed al Nahyan, ministro per gli Affari Esteri e la Cooperazione. Durante l’incontro, ha fatto sapere un comunicato del governo, si sono discusse “le relazioni bilaterali e la cooperazione congiunta tra le due nazioni e i modi di promuovere i valori di tolleranza e coesistenza e di diffondere i principi del Documento sulla Fraternità Umana nel mondo”.

Il documento fu firmato nel 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar Ahmed bin Tayyb, ed è uno dei doni che il Papa fa a presidenti e capi di governo che gli fanno visita.

Secondo il ministero degli Esteri, Abdullah e Pena Parra hanno anche discusso un numero di “questioni di comune interesse e sviluppo nell’arena regionale e internazionale”.

Si è ricordata anche la partecipazione della Santa Sede all’Expo di Dubai del 2020, e l’arcivescovo Pena Parra ha anche messo in luce “gli sforzi pionieristici portati avanti dagli Emirati Arabi Uniti, specialmente a livello umanitario, e la sua volontà di consolidare i valori di tolleranza e coesistenza, promuovere il dialogo interfede e costruire ponti di comprensione comune”.

                                                FOCUS MULTILATERALE

Santa Sede alle Nazioni Unite, l’ECOSOC inaugura un segmento di coordinamento

Il 3 febbraio, è stato inaugurato il primo “Segmento di Coordinamento” del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite stabilito nel 2021 dall’Assemblea Generale per promuovere linee guida per azioni comuni.

L’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede, è intervenuto all’inaugurazione, sottolineando che “un maggiore coordinamento è cruciale per implementare il vasto mandato ECOSOC, specialmente a causa della pandemia e altri fattori”. Secondo la Santa Sede, ci deve essere un esame “chiaro e trasparente di questioni chiave, buone pratiche e raccomandazioni che non siano “approcci selettivi, politicizzai o divisivi”, che provengono, insomma, da “una ricerca di fini che non appartengono agli scopi dell’organizzazione”.

La Santa Sede ha insistito su tre temi: l’eguaglianza dei vaccini, la trasformazione del sistema alimentare e l’assistenza per le Nazioni Meno Sviluppate, le Nazioni in via di Sviluppo senza sbocco al mare, e gli stati in via di sviluppo su piccole isole.

Santa Sede alle Nazioni Unite, la Settimana dell’Armonia Interfede Mondiale

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha stabilito il 20 ottobre 2010 una Settimana dell’Armonia Mondiale Interfede, che ha luogo ogni anno nella prima settimana di febbraio. Per sottolineare l’evento, si è tenuto un evento virtuale sponsorizzato dalle Missioni Permanenti di Sierra Leone, Canada e Marocco.

All’evento, è intervenuto anche l’arcivescovo Caccia, il quale ha sottolineato che la settimana “è stata stabilita per promuovere il dialogo, la comprensione, l’armonia e la cooperazione tra le religioni in modo di meglio far avanzare, secondo la risoluzione ONU, l’amore di Dio, l’amore per il vicino, e l’amore per il bene”.

Secondo la Santa Sede, questi obiettivi sono stati ulteriormente sviluppati quando è stata stabilita anche dall’ONU la Giornata Internazionale della Fraternità Umana per il 4 febbraio di ogni anno, anniversario della firma del Documento sulla Fratellanza Umana siglato ad Abu Dhabi nel 2019 da Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar.

Sono due appuntamenti che mostrano la consapevolezza dell’Assemblea Generale che “la religione non è una forza neutrale nel mondo, ma un bene indispensabile”, in quanto le religioni “mettono le persone insieme, ricordano a tutti della dignità umana e della trascendenza, sviluppano l’amore per Dio, per il vicino e per il bene, e migliorano il mondo attraverso lo stile di vita virtuoso dei credenti”.

L’arcivescovo Caccia ha concluso sottolineando che la Settimana mette in luce “il ruolo cruciale dei leader religiosi e dei credenti nello sviluppare una cultura di dialogo, comprensione, riconciliazione e cooperazione in tutta la società e nel costruire una civiltà dell’amore.

Giornata Internazionale della Fraternità Umana, cosa dice la Santa Sede

In occasione della Giornata Internazionale della Fraternità Umana, l’arcivescovo Caccia ha partecipato e tenuto un discorso alla cerimonia delle Nazioni Unite per rimarcare l’evento, sponsorizzato dall’Alleanza di Civiltà delle Nazioni Unite con la Missione Permanente di Egitto e di Emirati Arabi Uniti.

Secondo l’Osservatore della Santa Sede, l’arcivescovo ha detto che il documento sulla Fraternità è ora chiamato a tradurre “ideali nobili in azioni concrete”, e ha citato il viaggio di Papa Francesco in Iraq del marzo 2021, e la sua chiamata ai leader religiosi nel luogo di nascita di Abramo affinché si scoprano “l’uno con l’altro come fratelli e sorelle” e di di “impegnarsi l’uno con l’altro come fratelli”, azioni che “portano a una maggiore fiducia e cooperazione”, e che sarebbero necessarie anche nella diplomazia multilaterale.

La Santa Sede all’OSCE, la Conferenza sulla lotta all’antisemitismo

Il 7 e l’8 febbraio si è tenuta a Varsavia la Conferenza sulla Lotta all’antisemitismo nella regione dell’OSCE. Monsignor Janusz Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede a Vienna, ha tenuto diversi interventi in diverse sessioni.

Nella prima sessione, monsignor Urbanczyk ha notato che “il punto di partenza per combattere l’antisemitismo deve essere il riconoscimento della sua esistenza”, e che “nessuna nazione nella regione OSCE è immune dall’antisemitismo”.

Molti degli atti di antisemitismo, specialmente violenti, vengono perpetrati quando la comunità ebrea si riunisce nella sinagoga per pregare, questo, nota la Santa Sede, rende i crimini particolarmente odiosi.

Inoltre, la Santa Sede afferma che gli atti antisemiti “non accadono senza i sentimenti e le attitudini che ne sono alla base, alimentata dall’antisemitismo nelle nostre società”, un antisemitismo ulteriormente esacerbatosi durante la pandemia.

La Santa Sede rimarca che “la sicurezza delle comunità regionali, dei suoi membri e delle sue proprietà, è una conseguenza diretta della protezione della libertà di religione o credo”.

La seconda sessione riguardava invece l’antisemitismo online, che è “il traffico atto finale di un piano scosceso che inizia con gli insulti, l’intolleranza sociale e la discriminazione.

Monsignor Urbanczyk ci tiene, in particolare, a ricordare che la Santa Sede più volte ha sottolineato che “la libertà di espressione, come ogni diritto umano, viene con delle responsabilità che non si possono ignorare”.

Infine, si è parlato di affrontare l’antisemitismo, ma anche la discriminazione contro i Roma, con l’educazione. È un tema, questo, particolarmente caro alla Santa Sede, che sottolinea come l’educazione può essere un ostacolo contro gli atti di discriminazione creando una società consapevole della comune responsabilità di proteggere la dignità umana di persone e popoli”.

                                                FOCUS AFRICA

Burundi, arrivato il nuovo nunzio

L’arcivescovo Dieudonné Datonou, nunzio in Burundi, è arrivato nel Paese lo scorso 10 febbraio e ha promesso di consolidare i rapporti tra Burundi e Santa Sede. Datonou, ex organizzatore dei viaggi papali, è stato accolto con un Messa nella cattedrale Regina Mundi di Bujumbara, cui hanno preso parte i vescovi del Burundi, i religiosi, e anche il vicepresidente della Repubblica del Burundi Prosper Bazombanza, il quale ha chiesto al nunzio di contribuire allo sviluppo del Paese.

La Chiesa – ha detto il nunzio - non esiterà a fare la sua parte nella promozione del bene comune, in particolare nei campi della riconciliazione, dell'educazione, dell'assistenza ai poveri e nel campo della salute".