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Diplomazia pontificia, la diplomazia parallela del Papa, il viaggio di Gallagher in Libano

Papa Francesco ha dato la sua disponibilità a ricevere i candidati presidenziali della Colombia. Il viaggio dell’arcivescovo Gallagher in Libano. L’apertura della nunziatura negli Emirati Arabi Uniti

Paolo VI, Nazioni Unite | Paolo VI alle Nazioni Unite | AP / National Catholic Register Paolo VI, Nazioni Unite | Paolo VI alle Nazioni Unite | AP / National Catholic Register

L’anniversario è oggi: cinquanta anni fa, il segretario delle Nazioni Unite Kurt Waldheim faceva visita a Paolo VI, che gli indirizzava un discorso tutto sui valori dei diritti umani e sulla loro difesa. È un anniversario importante, considerando che da sempre la Santa Sede ha una particolare attenzione per il dialogo multilaterale, sviluppata anche nella nomina di un sottosegretario ad hoc nella Segreteria di Stato.

Nel corso della settimana, Papa Francesco ha cominciato una sorta di “diplomazia parallela”, incontrando in maniera del tutto irrituale un candidato alla presidenza della Colombia, e dando la disponibilità ad incontrarne altri.

È terminata la visita dell’arcivescovo Gallagher in Libano, che potrebbe anche essere meta di uno dei prossimi viaggi del Papa – l’intenzione c’è, la stabilità politica del Paese meno. Apre la nunziatura della Santa Sede negli Emirati Arabi Uniti. Affidata ad uno chargée d’affairs, potrebbe avere un nunzio dedicato. Significativo il fatto che l’apertura sia avvenuta il 4 febbraio, a tre anni dalla firma della Dichiarazione della Fraternità Umana ad Abu Dhabi.

                                                FOCUS ANNIVERSARI

Cinquanta anni fa, Paolo VI riceveva il Segretario generale delle Nazioni Unite

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Il 5 febbraio del 1972, cinquanta anni fa, Paolo VI riceveva in Vaticano l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite Kurt Waldheim. Paolo VI era già stato in visita nelle Nazioni Unite nel 1965, e la Santa Sede ha un Osservatore accreditato dal 1964.

L’udienza concessa a Waldheim da Paolo VI prevedeva anche uno scambio di discorsi. Nel suo, Paolo VI ricordava che il segretario generale prendeva il suo incarico “in un periodo della storia umana ancora gravato da incertezze e minacce, in cui tuttavia non mancano segni di distensione e, in certi settori, una volontà più manifesta di giungere finalmente alla pace tra i popoli”.

Paolo VI notava che Santa Sede e Nazioni Unite “nonostante la diversità dei piani e dei mezzi” avevano sforzi convergenti proprio sul tema della pace.

Ma il Papa ricordava anche un’altra convergenza, quella della “difesa dei diritti dell’uomo, dei diritti delle comunità umane e in particolare delle minoranze etniche”, perché “non si può, senza grave pericolo per la società, rassegnarsi al fatto che vengono inflitte a questi diritti oggi, in numerosi Paesi, ad onta di tante eloquenti proclamazioni, tante e così dolorose ferite”.

Sottolineava Paolo VI: “La Chiesa, seppure precipuamente preoccupata dei diritti di Dio, non potrà mai disinteressarsi dei diritti dell’uomo, creato a immagine e somiglianza del suo Creatore”. Anzi, aggiungeva, la Chiesa “si sente ferita quando i diritti di un uomo, chiunque egli sia e ovunque si trovi, sono ignorati e violati”. E così, ammoniva il neo eletto Segretario generale, Waldheim diventava “di fronte all’intera umanità garante del rispetto di tali diritti”, una responsabilità “formidabile”.

Il Papa ribadiva la fiducia della Santa Sede nelle Nazioni Unite e nelle possibilità “di estendere il dominio della pace e il regno del diritto nel nostro tormentato mondo”.

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Paolo VI concluse: “Ciò che può sembrare sproporzionato alle forze umane, diventa possibile mediante l’aiuto di Dio”.

                                                FOCUS PAPA FRANCESCO

Papa Francesco riceve i candidati alle presidenziali in Colombia

Con una iniziativa senza precedenti, Papa Francesco entra nel processo elettorale colombiano e accetta di incontrare tutti i candidati alle presidenziali che lo richiederanno. I Papi non hanno mai voluto mescolarsi nei processi elettorali nei Paesi, e il fatto che il protocollo della Santa Sede preveda che vengano ricevuti in visita solo capi di Stato, capi di governo, eccezionalmente ministri degli Esteri e ambasciatori era anche un modo per mantenere l’equidistanza della Santa Sede sui processi elettorali in corso. Ovviamente, la Segreteria di Stato non ha mai mancato di avere colloqui quando questo venisse richiesto, con tutte le forze politiche.

È stato Mario Eastman, ambasciatore di Colombia della Santa Sede, ha confermare in un tweet la decisione del Papa, sottolineando che l’ambasciata e la presidenza stanno sostenendo conversazioni con lo staff del Papa per svolgere gli incontri.

In questa settimana, c’è stato un incontro tra il Papa e Gustavo Petro.

Questi è il leader del partito Colombia Humana, e ha approfittato di un viaggio a Barcellona e Madrid per arrivare a Roma. Secondo i media colombiani, tra coloro che hanno partecipato all’organizzazione della riunione con il Papa sono il presidente argentino Alberto Fernandez e la ex presidente e attuale vicepresidente Cristina Fernandez de Kircher. Se fosse vero, questo rappresenterebbe un avvicinamento della presidenza Fernandez al Papa, nonostante i rapporti con l’episcopato argentino siano tesi per via dell’approvazione della legge sull’aborto.

Secondo un articolo della stampa colombiana, Petro si è incontrato con il Papa accompagnato dalla moglie, Veronica Alcocer. Non ci sono immagini ufficiali, finora, e tutto quello che si sa della conversazione viene dalle dichiarazioni dello stesso Petro.

Questi ha raccontato che l’incontro è durato 45 minuti, in cui si è parlato del futuro del pianeta, della protezione dell’ambiente, ma anche dell’importanza della pace, senza entrare nei temi elettorali. L’entourage di Petro ha sottolineato che “la conversazione ha riguardato il problema e la ricerca di soluzione della violenza nel Paese e di un ruolo di leadership che dovrebbe assumere la Colombia nel contesto latinoamericano per poter consolidare lo sforzo e il superamento della crisi associata al cambiamento climatico”.

Petro ha donato a Papa Francesco una amaca, tre vinili di musica colombiana e tre libri sulla Colombia.

Gustavo Petro, come sindaco di Bogotà, aveva già incontrato Papa Francesco nel luglio del 2015, nell’ambito di un incontro su “Schiavitù Moderna e Cambiamento Climatico” nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali.

L’incontro di Petro è stato facilitato dall’arcivescovo Montemayor, nunzio in Colombia, e, come annunciato dal nunzio, non sarà l’unico, perché il Papa si è detto disponibile ad incontrare tutti i candidati alle presidenziali.

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Nella storia recente della Colombia, non ci sono antecedenti di visite dei candidai al Papa in Vaticano, e persino il Papa rifiutò di riunirsi una volta con l’allora presidente Juan Manuel Santos prima che si firmarono gli accordi di pace.

Papa Francesco aveva molto sostenuto gli accordi di pace in Colombia, inviando il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Statto, alla loro firma.

Papa Francesco incontrerà le popolazioni nativo americane canadesi tra fine marzo e inizio aprile

In attesa di conoscere una data per l’annunciato viaggio di Papa Francesco in Canada per affrontare la questione dei presunti maltrattamenti dei nativo-americani nelle “scuole residenziali”, si sta ridefinendo la data dell’incontro in Vaticano tra il Papa e le popolazioni indigene. L’1 febbraio, la Conferenza Episcopale del Canada, l’Assemblea delle Prime Nazioni, il Consiglio Nazionale Metìs e lo Inuit Tapiriit Kanatami. L’incontro, originalmente pianificato per lo scorso dicembre, era stato rinviato a causa della pandemia.

Dal XIX secolo fino agli anni Settanta, più di 150 mila bambini indigeni erano stati forzati a frequentare scuola dello Stato gestite dai missionari perché fossero assimilati nella società canadese, e il governo ha ammesso che furono vittime di crescenti abusi fisici e sessuali.

In realtà, è tutta da definire la responsabilità cattolica, anche perché si parla di tombe di massa e di scuole comunque dello Stato, ma ci sono state molte pressioni per delle scuse del Papa, e perché il Papa facesse le sue scuse proprio in territorio canadese. Pressioni che sono cresciute dopo che sono stati trovati i resti di più di 200 bambini a Kamloops, in British Columbia.

La Sala Stampa della Santa Sede aveva comunicato che ci sarebbe stato un viaggio del Papa in Canada, proprio nell’ambito di una richiesta di perdono, ma ancora questo viaggio non sembra essere organizzato. Potrebbe avvenire nel corso di quest’anno o del prossimo. Per ora, sopralluoghi per un possibile viaggio papale sono stati fatti solo in Congo e Sud Sudan.

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

Il viaggio dell’arcivescovo Gallagher in Libano

Si è conclusa il 4 febbraio la visita in Libano dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati. La visita è durata cinque giorni, e ha incluso incontri con il presidente libanese Aoun, con i vescovi ortodossi e cattolici, le autorità musulmane e i familiari delle vittime dell’esplosione al porto. Durante la visita, è stato ribadito il desiderio di un viaggio del Papa “quando le condizioni lo permetteranno”.

Nei suoi colloqui – fa sapere Vatican News – il “ministro degli Esteri” vaticano ha fatto sapere che la Santa Sede “è pronta a prendere parte attiva, e probabilmente anche ad ospitare, un dialogo nazionale fra le pari libanesi per ricucire le ferite e alleggerire le tensioni”.

Parlando con i media locali, l’arcivescovo ha incoraggiato la popolazione libanese a continuare ad “essere esempio di un Medio Oriente plurale, tollerante e diversificato”, ricordando che “indebolire la comunità cristiana rischia di distruggere l’equilibrio interno alla stessa realtà libanese”.

Il 2 febbraio, l’arcivescovo Gallagher ha celebrato messa nella Basilica di Nostra Signora della Medaglia Miracolosa, e ha poi incontrato in due occasioni i famigliari delle vittime dell’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020.

L’1 febbraio, l’arcivescovo Gallagher ha incontrato il presidente Michel Aoun, e gli ha ribadito a nome del Papa la preoccupazione che l’identità del Libano come “progetto di pace” venga preservata. Sempre l’1 febbraio, il “ministro degli Esteri” vaticano ha incontrato Nabih Berry, presidente del Parlamento, e Joseph Aoun, comandante dell’esercito, mentre il 3 febbraio ha incontrato il primo ministro Najīb Mīqātī e con il ministro per gli Affari Esteri, Abdallah Bou Habib.

Nello stesso giorno, l’arcivescovo Gallagher ha incontrato il Corpo Accademico e il Consiglio Strategico dell’Università di Saint Pierre. Nel suo discorso, Gallagher ha ricordato i 75 anni del ristabilimento delle relazioni tra Santa Sede e Libano e la grande attenzione verso la regione “dove i cristiani hanno sempre vissuto e giocato un ruolo fondamentale nella cultura e nella tradizione” fianco a fianco con i musulmani, con i quali hanno sviluppato “un rapporto unico nei secoli”.

L’arcivescovo Gallagher ha chiesto anche di trasmettere alle nuove generazioni il bagaglio culturale libanese, di “integrare nei nostri comportamenti quotidiani la prospettiva di un mondo più fraterno e più giusto”, attuando “le necessarie riforme economiche e promuovendo sistemi giusti di governance”, seguendo un percorso necessario in un’epoca in cui “stanno emergendo sempre più attori estremisti quasi statali, che approfittano dello smarrimento e del malcontento dei giovani e di molti altri”.

L’occasione del viaggio era il simposio “Papa Giovanni Paolo II e il Libano Messaggio” che si è tenuto nella Holy Spirit University di Kaslik. Il simposio si è tenuto il 2 febbraio. Aprendo il simposio, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che Giovanni Paolo II “ha accompagnato la storia ed i drammi del Libano, associandosi alla sua sofferenza attraverso la preghiera e l’azione”.

Il 3 febbraio, l’arcivescovo Gallagher ha visitato un centro di accoglienza migranti della Caritas nella Shelter School al centro dei lazzaristi Carlo Acutis, ha incontrato i patriarchi ortodossi e i vescovi cattolici e i leader religiosi che erano stati in Vaticano per la preghiera per la pace per il Libano. Il presule ha anche incontrato le autorità musulmane: il grand Mufti della Repubblica libanese, Abd al-Latif Derian, a Dar el-Fatwa; lo sheikh Abd al-Amir Qabalan, capo del Consiglio Supremo sciita; lo sheikh druso Akl Naim Hassan. Con loro, ha parlato del tema dell’importanza del ruolo e della coesistenza di musulmani e cristiani per il futuro del Paese. 

Ma di particolare importanza è stato quello con i vescovi maroniti, che il 2 febbraio si sono riuniti nella loro sede patriarcale a Bkerké per la loro assemblea mensile. Assemblea che ha eccezionalmente visto la presenza del “ministro degli Esteri” vaticano.

Il comunicato finale dell’incontro è articolato in otto punti, e nota che la presenza di Gallagher mostra la sollecitudine internazionale e del Papa per il presente e il futuro del Libano. Entrando nel dettaglio dei singoli dossier, il sinodo dei vescovi maroniti auspica che il governo libanese e il Fondo monetario internazionale raggiungano presto un accordo per consentire il rapido accesso alle linee di credito finanziario internazionale indispensabili per contrastare la paurosa crisi economica che devasta il Paese.

I vescovi mettono in guardia anche da ogni manovra politica volta a sabotare in un modo o nell’altro le scadenze delle prossime elezioni legislative e presidenziali, mettono in luce la crisi del settore, sottolineano che è urgente sottrarre il Libano da una situazione potrebbe farlo territorio per una proxy war, ribadiscono la necessità di una neutralità nello scacchiere mediorientale – è la proposta di una “neutralità attiva” proposta, da tempo, dal Cardinale Bechara Rai.

                                                FOCUS NUNZIATURE

Emirati Arabi Uniti, apre la nunziatura apostolica di Abu Dhabi

È stata aperta il 2 febbraio la sede diplomatica della Santa Sede ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, ed è un segno particolarmente importante del tipo di relazioni che la Santa Sede vuole intrattenere con il Paese arabo dove si è firmata la dichiarazione della Fraternità Umana. Il nunzio negli Emirati Arabi Uniti ha generalmente risieduto in Kuwait, rappresentando la Santa Sede anche in Qatar, Bahrein e Emirati Arabi Uniti.

Attualmente, l’arcivescovo Eugene Nugent è nunzio in Kuwait, Qatar e Bahrein, mentre ancora non è stato nominato nunzio negli Emirati Arabi Uniti. L’apertura di una sede diplomatica ad Abu Dhabi potrebbe dunque precludere alla nomina di un nunzio dedicato solo agli Emirati Arabi.

Significativamente, questa apertura di Abu Dhabi avviene nella settimana in cui si celebra il terzo anniversario della firma della Dichiarazione della Fraternità Umana tra Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar.

Come sempre, all’apertura della nunziatura è stato invitato il sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Edgar Peña Parra. Alla messa erano presenti anche il vescovo Paul Hinder, vicario apostolico per l’Arabia del Sud, e monsignor Kryspin Dubiel, chargée d’affaires della nunziatura apostolica.

Nella sua omelia, l’arcivescovo Peña Parra ha sottolineato che “la presenza fisica di una nunziatura apostolica è un segno ulteriore della sollecitudine pastorale del Santo Padre per la gente di questa nazionale, specialmente per la comunità cattolica, perché la nunziatura è giustamente chiamata la casa del Papa”.

Ricordando la festa della Candelora, il sostituto della Segreteria di Stato nota che “questa terra è stata benedetta dal servizio di molti religiose e religiose negli anni, e che “rispondere alla chiamata di Dio di seguirlo e servire la sua Chiesa non è senza sfide”, a partire dallo scoraggiamento e dal rischio di perdere la speranza.

Lo stesso Peña Parra afferma che “la comunità cattolica di Abu Dhabi e della penisola arabica è un esempio della pazienza piena di speranza e di vita cristiana, e per questo chiede di pregare “per la benedizione della perseveranza, la pazienza e la speranza”.

Il 4 febbraio, giornata internazionale della Fraternità Umana, alla apertura della nunziatura, l’arcivescovo Peña Parra ha sottolineato che l’inaugurazione della rappresentanza pontificia dimostra “le buone relazioni bilaterali che già esistono tra Santa Sede e Emirati Arabi Uniti”, relazioni di cui si festeggia il 15esimo anniversario e che sono basate “sulla mutua comprensione dell’importanza della fede e del ruolo positivo che la religione dovrebbe giocare nella società”.

Parlando del Documento sulla Fraternità Umana, firmato proprio ad Abu Dhabi 3 anni fa, il sostituto della Segreteria di Stato nota che “il documento mette in luce eloquentemente gli elementi che uniscono musulmani e cristiani”, e da qui viene “la chiamata pe i credenti a vivere in fraternità con tutti i popoli senza distinzione di razza, distinzione o di credo”.

Per Peña Parra, “la risposta a questa chiamata non può essere altro che scegliere il percorso del dialogo, che porta a una migliore comprensione mutua e cooperazione”. L’arcivescovo sottolinea che è sua “speranza che il documento servirà come una cornice per approfondire le nostre relazioni diplomatiche”, e che “nell’andare avanti, dobbiamo intensificare i nostri sforzi per promuovere i contenuti del documento per costruire un mondo più giusto e pacifico”.

Sono sforzi “davvero necessari oggi”, dato che continuiamo a vedere “le conseguenze negative del sostituire le verità trascendentali sulla persona umana e la creazione con valori puramente superficiali e materialistici”.

Un nuovo nunzio apostolico in Rwanda

Papa Francesco sceglie un nunzio di prima nomina per rappresentare la Santa Sede in Rwanda. Arnaldo Catalan, consigliere di nunziatura, filippino, prenderà il posto dell’arcivscovo Andrzej Jozwowciz, che è diventato nunzio in Iran.

Classe 1966, il nunzio eletto Catalan è sacerdote dal 1994 ed è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2001. Ha servito nelle nunziature di Zambia, Kuwait, Messico, Honduras, Turchia, India, Argentina, Canada, Filippine e Cina (Taipei).

Santa Sede e Rwanda hanno relazioni diplomatiche dal 1963. Il Paese è ancora scosso dal genocidio che ha avuto luogo negli Anni Novanta del Paese, e che ha visto la etnia hutu contrapporsi a quella tutsi.

Papa Francesco nomina un nuovo nunzio apostolico in Turchia

Dopo cinque anni, cambia il nunzio apostolico in Turchia. Papa Francesco ha nominato a rappresentare la Santa Sede ad Ankara l’arcivescovo Marek Solczynski, che finora era nunzio apostolico in Tanzania.

La nunziatura di Ankara è legata anche alla rappresentanza pontificia in Turkmenistan, e presto dovrebbe essere annunciata la nomina di Solczynski a rappresentare la Santa Sede anche nel Paese centro-asiatico. Dal 2018, il nunzio in Turchia è anche nunzio in Azerbaijan, una posizione che generalmente era invece occupata dal nunzio in Georgia e in Armenia.

Fosse aggiunta a Solczynski anche la responsabilità dell’Azerbaijan, sarebbe per lui un ritorno, visto che è stato l’ultimo nunzio nel Caucaso ad avere gli incarichi a Tbilisi, Erevan e Baku combinati.

Sacerdote dal 1987, nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1993, ha prestato servizio nelle rappresentanze pontificie di Paraguay, Russia, delle Nazioni Unite di New York, in Turchia, nella Repubblica Ceca e in Spagna.

Dal 2011 al 2017 è stato nunzio apostolico in Georgia, Armenia ed Azerbaijan, mentre dal 2017 era nunzio in Tanzania.

Mali, un nuovo nunzio al primo incarico

È monsignor Mambé Jean-Sylvain Emien il nuovo nunzio in Mali. Classe 1970, nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2005, ha lavorato nelle nunziature di Angola, Nigeria, Nuova Zelanda, Spagna, Repubblica Ceca, Guinea e Mali. Di fatto, la sua nomina è una promozione interna. Prende il posto di Timo Tytus Chmielecki, che aveva preso l’incarico di nunzio in Mali solo nel 2019, quando era stato consacrato vescovo dal Cardinale Parolin. Chmielecki si è dimesso, ma non sono state date ragioni delle sue dimissioni.

Santa Sede e Mali hanno rapporti diplomatici dal 1980, mentre prima c’era una delegazione apostolica in Mali e Mauritania e prima ancora una delegazione apostolica dedicata a tutta l’Africa Occidentale.

                                                FORUM EUROPA

Macron raddoppia i fondi dell’Eliseo per le scuole cristiane in Medio Oriente

Incontrando 150 delegati di associazioni e gruppi coinvolti nel sostegno alle comunità cristiane del Medio Oriente lo scorso 1 febbraio, il presidente francese Emmanuel Macron ha annunciato che l’Eliseo raddoppierà i fondi stanziati a sostegno della rete delle scuole cristiane nei Paese del Medio Oriente.

I fondi stanziati dalla Francia passeranno così da 2 a 4 milioni di euro. Il fondo, istituito nel gennaio 2020 su iniziativa dell’Oeuvre d’Orient, ha sostenuto nel 2021 174 istituti di istruzione, di cui 129 in Libano, 16 in Egitto, 7 in Israele, 13 in Palestina e 3 in Giordania.

La Francia rinnova anche il suo contributo di 30 milioni di euro per l’Alleanza internazionale per la protezione del patrimonio culturale nelle zone di conflitto, che è stato creato nel 2017 con una partnership con le Nazioni Unite.

Nel suo discorso, il presidente Macron ha sottolineato che “sostenere i cristiani di Oriente rappresenta un impegno secolare della Francia, una missione storica”, che risponde alla necessità di “non abbandonare mai la lotta per la cultura, l’educazione, il dialogo in quella regione travagliata”.

Molti osservatori hanno collegato gli annunci di Macron alla campagna presidenziale. Gli altri in corsa per l’Eliseo hanno mostrato particolare attenzione per il Medio Oriente: Eric Zemmour e Valerie Pecresse, rispettivamente candidati della destra anti-globalista e del partito neogollista dei Republicains, sono stati in Armenia recentemente.

La cerimonia, organizzata con grande cura dall’Eliseo, ha visto anche il conferimento della Legion d’Onore a monsignor Pascal Gollnisch, 69 anni, dal 2010 direttore dell’Oeuvre d’Orient. È il culmine di una politica di visibile vicinanza che Macron ha voluto avere sin dall’inizio del mandato con la Chiesa cattolica e in particolare con i cristiani di Oriente.

Nel 2017, Macron ha tenuto un grande discorso all’Arab Wolrd Institute, mentre nel corso degli anni si è incontrato varie volte all’Eliseo con il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei maroniti, e Papa Tawadros II, patriarca dei copti. Ci sono stati anche tre incontri con le comunità cristiane durante i viaggi del presidente in Libano, Gerusalemme e Mosul. Macron ha anche mantenuto il fondo di sostegno alle vittime di violenze etniche e religiose in Medio Oriente creato dal suo predecessore François Hollande.

Secondo Le Figaro, i rapporti di Macron con i cattolici sono stai deludenti, e dunque la presentazione alla decorazione di monsignor Gollnisch avrebbe scopo puramente elettorale.

Macron aveva aperto un dialogo con il mondo cattolico incontrando i vescovi al Colleges des Bernardins, ma poi ha inasprito la laicità dello Stato con la legge sul separatismo, l’adozione delle leggi di bioetica contestate dall’episcopato francese e la promozione europea dell’aborto all’inaugurazione del semestre di presidenza francese del Consiglio d’Europa.

Crisi russo – ucraina, l’arcivescovo di Vilnius chiede misure preventive

Gintaras Grusas, arcivescovo di Vilnius e presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee ha messo in guardia dal fatto che anche la Lituania potrebbe essere presa di mira in caso la Russia imponga la sua volontà sull’Ucraina.

Parlando con il Catholic News Service il 3 febbraio, l’arcivescovo Grusas ha detto che la Lituania si ritrova “in una posizione geografica e storica precaria. Putin ha ribadito la sua visione che l’impero russo non sarebbe dovuto collare e sembra che abbia delle pretese sui nostri tre Stati baltici”.

L’arcivescovo di Vilnius ha notato che si ha comunque “la garanzia della deterrenza, con le forze NATO sul territorio, e siamo parte dell’Unione Europea. Finché, dunque, le nazioni europee sono unite, credo che la deterrenza funzionerà”.

Secondo Grusas, la Russia “sta tentando l’Occidente in molti modi per vedere se la sua unità è intatta. Persone che sono state occupate e sono state parte dell’Unione Sovietica sono consapevoli della mentalità russa, e del desiderio russo di testare i limiti. È lì che serve una linea dura di deterrenza”.

Le parole di Grusas sono state pronunciate nel giorno in cui gli Stati Uniti hanno deciso di stabilire ulteriori truppe nell’Europa dell’Est come reazione alla dislocazione di 100 mila truppe ai confini dell’Ucraina.

L’arcivescovo Grusas ha anche denunciato l’ammasso di migranti sui confini bielorussi con Polonia, Lituania e Lettonia come l’uso di “scudi umani per destabilizzare la situazione”, perché “ci sono sempre tentazioni di avidità e potere, contro le quali la vera rivoluzione prende posto nel cuore umano”.

Il presidente del CCEE ha anche detto che i governi occidentali dovrebbero ascoltare a ucraini, lituani, polacchi e altri che hanno “contatti più stretti” con la Russia, in modo da meglio comprendere la mentalità “contro cui si stanno scontrando”, perché “mettersi in dialogo è necessario, quelli che si sono rialzati fermamente trenta anni fa sono quelli che hanno raggiunto l’indipendenza”.

I vescovi lituani hanno chiesto ai cattolici di recitare il rosario per la pace ogni giorno di febbraio. Allo stesso modo, l’arcivescovo Zbignevs Stankevics di Riga ha messo in guardia dal fatto che anche la sua nazione sia minacciata e destabilizzata dalle azioni russe, anche con forme di “guerra ibrida” e “cyber-attacchi”.

Parlando nella cattedrale di Francoforte il 29 gennaio, Stankevics ha sottolineato che “se l’Europa e l’Unione Europea conservano la loro unità interna, saranno anche capaci di preservare la pace ai confini di Europa. Se invece Putin attacca l’Ucraina, allora le nazioni baltiche saranno il prossimo obiettivo, seguite dalla Polonia. Se non c’è dialogo, questo sarà molto pericoloso”.

                                                FOCUS INDIA

India, i dalit a colloquio dal nunzio

Il 3 febbraio, una delegazione del Dalit Christian Liberation Movement ha incontrato l’arcivescovo Leopoldo Girelli, nunzio nel Paese, per discutere della questione della nomina dei vescovi in Tamil Nadu. Secondo il movimento, le scelte dei vescovi restano legate alla discriminazione tra le caste, ed escludono dall’episcopato sacerdoti provenienti dalle comunità dalit. Lo scorso 31 maggio, la nomina di Arulsevan Rayappam come vescovo di Salem aveva diffuso delusione perché nemmeno questo vescovo apparteneva alla casta dei dalit, cosa che creato diverse proteste pubbliche.

La delegazione ha chiesto al nunzio che venga scelto un dalit come nuovo arcivescovo di Pondicherry-Cuddalore, sede attualmente vacante, e che anche per le nomine delle altre diocesi del Tamil Nadu attualmente senza un vescovo viene chiesto che sia data un’equa rappresentanza ai cattolici dalit che rappresentano il 70% dei fedeli in questo Stato indiano. Attualmente su 18 diocesi una sola ha un vescovo proveniente da questo gruppo sociale.

“Riceviamo lo stesso battesimo - si legge nel memorandum - recitiamo le stesse preghiere e il rosario, siamo uniti nella stessa Eucaristia, riceviamo gli stessi sacramenti. Ma quando si tratta di nominare un vescovo veniamo guardati in maniera diversa ed esclusi con cura. Non capiamo come lo Spirito Santo e la grazia di Dio possano operare in questo modo”.