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Diplomazia Pontificia, la settimana alle Nazioni Unite

Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ad un dibattito alle Nazioni Unite la scorsa settimana | Holy See Mission Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ad un dibattito alle Nazioni Unite la scorsa settimana | Holy See Mission

Sono stati nove gli interventi dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, alla 73esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Dalla pena di morte alla persecuzione dei cristiani, dall’accordo sulle migrazioni alla difficile situazione nella Repubblica Centrafricana, il “ministro degli Esteri” vaticano ha spiegato il punto di vista della Santa Sede in varie occasioni, in attesa del suo intervento all’Assemblea Generale, previsto per lunedì 1 ottobre.

La Santa Sede alle Nazioni Unite: libertà della persecuzione

È stato organizzato il 28 settembre dalla Missione Permanente di Ungheria un side event su “Libertà dalla persecuzione: le minoranze religiose cristiane, il pluralismo religioso in percolo”. Va ricordato che l’Ungheria ha istituito un ufficio ministeriale dedicato proprio al tema della persecuzione dei cristiani.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Gallagher ha ricordato che, nonostante le prime comunità cristiane siano nate in Medio Oriente, ora combattono per la sopravvivenza. Da sempre – ha notato il ministro degli Esteri vaticano – c’è stata una coesistenza “relativamente armoniosa” anche con i musulmani, che però ora è stata messa a dura prova dai “gruppi estremisti islamici”, un fatto che non riguarda solo la libertà religiosa, ma anche i diritti umani, e richiede una risposta da parte delle autorità pubbliche.

L’arcivescovo Gallagher ha quindi sottolineato il tema del “dovere di proteggere”, da sempre linea guida della diplomazia guidata dal Cardinale Pietro Parolin. Il dovere di proteggere si declina, nel caso specifico, nella protezione dalla “persecuzione, la falsa detenzione, l’esproprio di proprietà, schiavitù, esilio forzato, omicidio, pulizia etnica e altri crimini contro l’umanità”.

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Si tratta di una protezione che parte dall’affrontare “le cause alla radice della discriminazione e della persecuzione”, cosa che può essere fatta solo “rispettando pienamente lo stato di diritto e la piena eguaglianza davanti la legge basata sul principio di cittadinanza”; “l’aiuto della comunità internazionale degli Stati, in modo che possano esercitare la loro responsabilità di proteggere e salvaguardare le loro popolazioni da crimini atroci”, e, infine, la “giustizia per quanti hanno subito attacchi e violazioni dei loro diritti umani”.

Secondo l’arcivescovo Gallagher, anche i leader religiosi hanno la specifica responsabilità di “affrontare e condannare l’abuso di credo religioso per giustificare il terrorismo e la violenza contro credenti o altre religioni”.

La Santa Sede all’ONU: la crisi nella Repubblica Centrafricana

Sempre il 27 settembre, l’arcivescovo Gallagher ha partecipato all’incontro ministeriale sulla Repubblica Centrafricana.

La Santa Sede ha notato che la crisi politica e umanitaria nella Repubblica Centrafricana mostra come la comunità internazionale sia attualmente “incapace di mettere insieme una volontà politica per affrontare effettivamente il devastante conflitto”.

L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che dall’incontro dell’anno scorso sullo stesso tema c’è stata “una drammatica crescita di violenza, cui si sono aggiunte le sofferenze di milioni di civili che sono stati uffici o sono partiti come rifugiati verso le nazioni vicine, mentre “circa metà della popolazione ha bisogno di basico supporto umanitario”.

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Il “ministro degli Esteri” vaticano ha chiesto che la missione dell’ONU nella Repubblica Sudafricana (MINUSCA) possa esercitare “un maggiore sforzo per garantire i diritti umani di tutti i cittadini e proteggerli dall’aggressione armata e dalle atrocità senza discriminazione per il loro status sociale o la religione”.

In più, la Santa Sede ha fatto appello alla comunità internazionale perché aiuti a “stabilizzare il governo nazionale superando la corruzione, assicurando lo Stato di diritto e rendendo accessibile assistenza sanitaria di base ed educazione”.

In una situazione in cui “manca l’assistenza umanitaria”, l’arcivescovo Gallagher ha incoraggiato gli sforzi verso una soluzione politica sostenibile, che sia raggiunta attraverso “la non violenza, il dialogo onesto, l’apertura al perdono e alla riconciliazione, la tolleranza religiosa e la cooperazione”, e allo stesso tempo ha sottolineato che la Chiesa continuerà ad impegnarsi nel territorio per aiutare a trovare una soluzione pacifica.

La Santa Sede all’ONU: l’abolizione delle armi nucleari

Lo scorso anno, partecipando alla 72esima Assemblea generale, l’arcivescovo Gallagher firmò la ratifica della Santa Sede al Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari. Un anno dopo, l’arcivescovo Gallagher interviene alla Giornata Internazionale per la Totale Eliminazione delle Armi Nucleari, ribadendo la posizione della Santa Sede.

L’intervento del “ministro degli Esteri” vaticano ha avuto luogo il 26 settembre, durante l’incontro di Alto Livello per commemorare e promuovere la giornata. Nel suo intervento, ha sottolineato che la celebrazione della Giornata Internazionale per l’Eliminazione delle Armi Nucleari afferma “l’impegno comune della comunità internazionale per creare condizioni e passi avanti per la totale eliminazione delle armi nucleari”, perché “il mondo non è più sicuro con le armi nucleari”, dato che “la pace e la stabilità internazionale non possono essere fondate sulla minaccia di una distruzione mutua assicurata”.

Secondo la Santa Sede, affidare la propria sicurezza al possesso di armi nucleari è “contrario allo spirito e agli scopi delle Nazioni Unite”, e per questo ha chiesto che gli Stati ratifichino il Trattato per la Proibizione di Armi Nucleari e che entri presto in vigore il Trattato per il Bando di Test Nucleari, che è complementare al Trattato per la Non Proliferazione di Armi Nucleari e che deve essere sviluppato appieno.

La Santa Sede all’ONU: l’accordo globale sulle migrazioni

Quale è la strada verso Marrakech, dove il prossimo dicembre saranno formalmente adottati i due accordi globali ONU su Migrazioni e Rifugiati? Se ne è parlato in un side event alle Nazioni Unite lo scorso 26 settembre.

La strada – ha detto l’arcivescovo Gallagher – è cominciata con la Dichiarazione di New York del 2015 che rispose alla crisi globale di rifugiati e migranti, e che oggi gli accordi “mostrano la volontà della comunità internazionale di stabilire soluzioni più sostenibili e avere maggiore cura per quanti sono in movimento, specialmente nelle situazioni più vulnerabili”.

La Santa Sede chiede che gli accordi globali rispondano sia al diritto di migrare che a quello degli Stati sovrani di proteggere i loro confini e decidere le loro politiche migratorie, e sottolinea che il processo verso i global compacts ha generato la prima cornice globale sulla migrazione internazionale che sarà un punto di riferimento per le best practices e la gestione internazionale del problema, aiutando anche tutti ad essere consapevoli delle sfide che le persone in movimento affrontano.

In conclusione, per la Santa Sede la strada verso Marrakech deve essere “un percorso condiviso di solidarietà, misericordia, prudenza, responsabilità e rispetto”.

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La Santa Sede all’ONU: la dichiarazione universale dei Diritti Umani

Per il 70esimo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, sono state molte le iniziative della Santa Sede sul tema. Se ne è parlato anche ad un side event alle Nazioni Unite lo scorso 26 settembre, intitolato “La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: un mezzo di prevenzione per ottenere pace e sviluppo sostenibile”. L’evento anticipa le celebrazioni ufficiali, che si terranno alle Nazioni Unite il prossimo 10 dicembre.

L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che pace, diritti umani, sviluppo e stato di diritto, pilastri fondanti delle Nazioni Unite, “si rinforzano a vicenda”. Ma come si può fare sì che i diritti umani contribuiscano al raggiungimento di questi pilastri?

Per evitare che le formule “diritti umani” e “dignità umana” diventino solo parole vuote, si deve ricordare che “i diritti implicano sempre responsabilità che siano poi realizzate attraverso impegni ed azioni concrete”. C’è bisogno, insomma, che “la società non solo riconosca i diritti civili, politici, economici e culturali”, ma che sia anche in risoluta in concretizzarli in giustizia, solidarietà e bene comune.

La Santa Sede all’ONU: la pena di morte

Si è parlato di pena di morte e del diritto alla rappresentanza legale ad un altro side event dell’assemblea generale del 25 settembre scorso. E la Santa Sede, dopo che la Chiesa ha recentemente eliminato la possibilità di pena di morte dal catechismo e dopo essersi battuta sempre perché la pena di morte fosse cancellata dalle legislazioni nazionali, non poteva non partecipare.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Gallagher ha detto che “la Santa Sede, insieme ad un crescente numero di Stati, supporta l’impegno delle Nazioni Unite per l’abolizione della pena di morte”, e ricordato che la Santa Sede ha, nell’ultimo secolo, “costantemente cercato l’abolizione della pena di morte considerando le circostanze pratiche che ci sono mezzi più che sufficienti e diversi dalla pena di morte per difendere le vite umane e proteggere l’ordine pubblico”.

La Santa Sede chiede che “il primato della vita umana e la dignità della persona umana guidino la pratica legislativa e giuridica delle autorità Statali” e ha sottolineato che “l’abolizione universale della pena di morte sarebbe una coraggiosa riaffermazione della capacità di affrontare il crimine in maniera non cruenta, e il rifiuto di soccombere alla disperazione davanti ad atti malvagi”.

La Santa Sede all’ONU: la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili e l’emergenza tubercolosi

La Chiesa Cattolica mette in campo un grande impegno anche nella cura delle persone malate. Una statistica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità certifica che la Santa Sede è il più grande fornitore di servizi sanitari nel mondo, con le sue 18 mila cliniche, 16 mila case per anziani, 5 mila ospedali e 9 mila orfanotrofi. Non colpisce, dunque, l’impegno sul tema delle malattie non trasmissibile.

Un dibattito di Alto Livello sul tema “Migliorare la risposta multisettoriale per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili nel contesto dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” si è tenuto lo scorso 26 settembre. È intervenuta anche la Santa Sede.

In particolare, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che la Santa Sede ben accoglie l’attenzione data a queste malattie nel contesto delle Nazioni Unite, allo scopo di ridurre la mortalità infantile e migliorare la qualità di vita, e sottolineato che le malattie non trasmissibile sono legate a vari fattori, dall’abuso di alcool e tabacco alle diate insalubri, alla mancanza di attività fisica, e che l’educazione per “stili di vita salutari” è la chiave per migliorare la prevenzione riguardo queste malattie.

L’arcivescovo Gallagher ha quindi sottolineato l’importanza delle organizzazioni religiose nel fornire assistenza medica specialmente ai poveri e agli emarginati, e ha detto che per questa ragione le stesse organizzazioni dovrebbero essere incluse nei tavoli sulla formulazione dei piani di prevenzione sanitaria dei singoli Stati, da basare sui migliori principi sanitari e di protocollo.

Sempre il 26 settembre, l’arcivescovo Gallagher è intervenuto al primo Incontro di Alto Livello dedicato alla Tubercolosi. Il segretario vaticano per i rapporti con gli Stati ha affermato che si deve riconoscere la gravità dell’epidemia di tubercolosi, si deve affrontare con urgenza e si deve combattere con efficacia, perché “sebbene la tubercolosi sia prevenibile e curabile”, c’è “un quarto della popolazione mondiale ancora infettata con batteri che causano la malattia”, e molti virus sono ormai “resistenti ai trattamenti standard.

L’arcivescovo Gallagher ha quindi ricordato che il 99 per cento delle morti per tubercolosi hanno luogo in nazioni in via di sviluppo, e dunque le strategie per eliminare le cause di mortalità riguardano anche “il combattere la scarsa nutrizione, le condizioni insalubri di vita e la mancanza di cure di base”, nonché il superare la segregazione e stigmatizzazione dei malati di tubercolosi con “compassione e solidarietà, in particolare da parte delle famiglie”. Infine, ha parlato dell’importanza di una ricerca globale e condivisa, e ha sottolineato l’urgenza che ci sia una risposta globale all’epidemia di tubercolosi in corso.

La Santa Sede all’ONU: il Nelson Mandela Peace Summit

Il Nelson Mandela Peace Summit è un incontro Straordinario di Alto Livello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si è tenuto lo scorso 24 settembre per commemorare il centenario della nascita di Nelson Mandela (era nato il 18 luglio 1918).

Secondo l’arcivescovo Gallagher, l’eredità di Mandela è “diventata sinonimo della promozione di pace, non violenza, riconciliazione, non discriminazione e diritti umani”, mentre due sono le lezioni che vengono dalla vita di Mandela: che la vittoria “non significa mai umiliare gli sconfitti”, e che “la pace si consolida quando le nazioni possono discutere le questioni tra pari” .

Ucraina, la Santa Sede non ha detto parole di supporto sull’autocefalia

Infiamma in Ucraina il dibattito sulla possibile autocefalia di due Chiese ortodosse non incluse nella sinassi, che hanno chiesto riconoscimento al Patriarcato di Costantinopoli attraverso il presidente Petro Poroshenko per diventare una unica Chiesa Ortodossa Ucraina. Dopo l’incontro tra i Patriarchi Bartolomeo e Kirill lo scorso 31 agosto, c’è stata una rottura: Bartolomeo ha inviato due esarchi in Ucraina per discutere la questione, mentre il Patriarcato di Mosca ha cominciato il suo pressing diplomatico, incontrando anche il nunzio apostolico Celestino Migliore lo scorso 13 settembre.

Di fatto, è possibile uno scisma interno alla Chiesa ortodossa, tanto più che Mosca ha eliminato la preghiera per il Patriarca ecumenico dalle sue celebrazioni, e il Patriarcato ha invece prodotto documenti che mostrano come l’Ucraina sia sempre stata sotto il Patriarcato di Costantinopoli.

In questo dibattito politico si è inserito l’incontro tra l’arcivescovo Gallagher e il ministro degli Esteri ucraino Pavel Klimkin durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Durante l’incontro, ovviamente il ministro ha messo sul tavolo la questione dell’autocefalia, e la Santa Sede ha ribadito la sua posizione di non coinvolgimento nelle questioni ortodosse, e di generico appoggio a qualunque volontà popolare.

Sul sito del ministro degli Esteri, si leggeva invece che la Santa Sede avesse espresso “supporto” sulla questione dell’autocefalia. Subito, il 27 settembre, la nunziatura della Santa Sede in Ucraina, guidata dall’arcivescovo Claudio Gugerotti, ha diffuso un comunicato reiterando che “la posizione della Santa Sede sulla questione della creazione di una locale Chiesa Ucraino Ortodossa” è che “si tratta di una questione interna della Chiesa Ortodossa, sulla quale la Santa Sede non ha mai e non ha intenzione di esprimere mai una valutazione, in alcun modo”.

Il nunzio in Marocco da Papa Francesco apre ad un altro viaggio papale?

L’arcivescovo Vito Rallo, nunzio apostolico in Marocco, è stato ricevuto da Papa Francesco lo scorso 27 settembre. Si trattava di uno degli incontri di routine del Papa con i suoi “ambasciatori” (il 29 settembre, il Papa ha incontrato l’arcivescovo George Kocherry, nunzio in Bangladesh), eppure ha fatto subito correre la voce di una possibile visita del Papa in Marocco, magari a inizio dicembre, tra il 10 e l’11 per partecipare all’incontro in cui saranno formalizzati gli accordi globali sulle migrazioni e sui rifugiati, tema su cui la Santa Sede è stata molto impegnata.

La notizia di un possibile viaggio in Africa era stato diffuso già qualche mese fa dall’agenzia marocchina Atlas.info, e vi si faceva menzione di una possibile commemorazione dell’incontro di Giovanni Paolo II con i giovani musulmani a Casablanca.

Un eventuale viaggio in Marocco si aggiungerebbe a una fitta agenda di impegni internazionali del Papa per il prossimo anno: già confermato il viaggio a Panama per la Giornata Mondiale della Gioventù, Papa Francesco ha espresso anche il suo desiderio di andare in Giappone il prossimo anno, mentre si ipotizza un secondo viaggio a Ginevra per il centenario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e dunque per una tappa alle istituzioni internazionali dopo il pellegrinaggio ecumenico di quest’anno, e si è parlato di una possibile tappa in Mozambico, dove il Papa è stato invitato, nazione presso cui ha prestato servizio come nunzio l’arcivescovo Edgar Pena Parra, ora nominato da Papa Francesco sostituto della Segreteria di Stato (inizierà il suo incarico il 15 ottobre).

In aggiunta a questi possibili appuntamenti, c’è stato anche un invito a Papa Francesco per visitare l’Uganda, nazione dove è già stato nel novembre 2015. La ragione di questo secondo viaggio è la celebrazione del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), che il prossimo anno per festeggiare il 50esimo anniversario.

Secondo siti di informazioni locali, officiali della Conferenza Episcopale di Uganda hanno confermato che l’entourage del Papa ha inviato una lettera in cui conferma che il Papa ha accettato l’invito, che una lettera sia stata inviata anche alla Presidenza della Repubblica.

Il SECAM è nato nel 1969 a Kampala, al termine di un incontro di vescovi africani che discutevano di come mettere in pratica la risoluzione del Concilio Vaticano II di mettere su una struttura che riunisse insieme le Chiese cattoliche del continente, e la prima sessione del SECAM fu presieduta dal Beato Paolo VI durante il suo viaggio in Africa. Le celebrazioni conclusive saranno a Kampala dal 20 al 29 luglio 2019, con la presenza di almeno 60 vescovi.

Dalle nunziature

L’arcivescovo Luis Mariano Montemayor è stato nominato lo scorso 27 settembre nunzio apostolico in Colombia. Prende il posto dell’arcivescovo Ettore Balestrero, inviato a sbrigare gli affari correnti della nunziatura nella Repubblica Democratica del Congo, rafforzando così lo staff della nunziatura che era guidato proprio dall’arcivescovo Montemayor.

Ha luogo, così, una sorta di scambio di incarichi tra nunzi. Il nuovo incarico era comunque necessario per l’arcivescovo Montemayor, che era dovuto rientrare a Roma dopo essere stato definito “persona non grata” dal governo Kabila. L’arcivescovo Montemayor aveva avuto parole molto critiche contro il governo, e, insieme alla Conferenza Episcopale del Congo, aveva sostenuto le marce di cattolici di inizio gennaio 2018 che protestavano contro la mancata applicazione degli accordi di San Silvestro.

Non si ancora quando l’arcivescovo Montemayor prenderà il nuovo incarico. Argentino, nato a Buenos Aires nel 1956, sacerdote dal 1985 e nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1991, il nunzio ha prestato servizio nelle rappresentanze pontificie di Etiopia, Brasile, Tailandia, con un passaggio nella sezione per i rapporti con gli Stati nella Segreteria di Stato Vaticano.

È stato poi nunzio in Senegal, Guinea e Capo Verde e delegato apostolico in Mauritania nel 2008.

Intanto, l’arcivescovo Julius Janusz, polacco, 74 anni, ha cessato il suo incarico. Era nunzio apostolico in Slovenia, e avrebbe compiuto 75 anni a marzo 2019. A conclusione del suo mandato, è stato ricevuto venerdì 21 settembre in udienza privata da Papa Francesco.

Attualmente, ci sono 11 le nunziature vacanti: Sierra Leone, Pakistan, Costa d'Avoro, Zambia / Malawi, Zwimbabwe, Guinea / Mali, Nuova Zelanda / Pacifico, Uganda, Mozambico, Kenya / Sud Sudan e Slovenia. 

Presto sarà aperta una nuova nunziatura un Sud Sudan, mentre è da vedere quando si libererà la nunziaura in Austria, dato che l'attuale "ambasciatore del Papa", Peter Stephan Zurbriggen, ha compiuto i 75 anni di età.  

Accordo Cina – Vaticano: la posizione dell’ambasciatore di Taiwan presso la Santa Sede

Dopo l’annuncio, lo scorso 22 settembre, dell’accordo tra Cina e Santa Sede per la nomina dei vescovi, e la revoca della scomunica ad otto vescovi illecitamente ordinati, l’ambasciatore di Taiwan presso la Santa Sede ha inviato una dichiarazione che continua sulla strada del difendere il rapporto diplomatico tra Vaticano e Taipei.

Nella sua dichiarazione, l’ambasciatore Matthew S.M. Lee ha sottolineato che è significativo che il Partito Comunista Cinese “riconosca al Papa lo status di leader della comunità cattolica cinese per la prima volta”, cosa che rompe “il vecchio dogma della non interferenza di potenze straniere” negli affari interni della Cina”.

L’ambasciatore ha anche sottolineato che ora, dopo la flessibilità mostrata nell’accordo con la Chiesa Cattolica, la Repubblica Popolare cinese dovrebbe mostrarsi altrettanto flessibile nel rivedere il dogma di “una sola Cina”, ripristinando il dialogo nella Striscia di Taiwan per spingere per “pace e stabilità”.