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Diplomazia Pontificia, la settimana alle Nazioni Unite

Comincia la 74esima assemblea generale, e il Cardinale Parolin prende la parola in una decina di sessioni. Dalla Siria alla Repubblica Centrafricana, i temi della diplomazia pontificia

Cardinale Parolin | Il Cardinale Parolin alla colazione del gruppo di Amici uniti contro il Traffico di Esseri Umani, New York, 26 settembre 2019 | Missione Permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite Cardinale Parolin | Il Cardinale Parolin alla colazione del gruppo di Amici uniti contro il Traffico di Esseri Umani, New York, 26 settembre 2019 | Missione Permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite

È la settimana di inaugurazione della 74esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e la delegazione della Santa Sede è guidata dal Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, che generalmente va ogni due anni. Erano però tre anni che il Cardinale non era presente ai lavori che danno inizio all’anno delle Nazioni Unite.

Dopo il Climate Action Summit, per il quale Papa Francesco ha inviato un videomessaggio, il Cardinale Parolin è intervenuto in diverse sessioni, parlando di vari temi: dai cristiani perseguitati alle situazioni particolari di Siria e Repubblica Centrafricana, fino alla questione delle foreste pluviali.

Durante la settimana, la Missione della Santa Sede all’OSCE ha partecipato a Varsavia agli incontri per l’Implementazione della Dimensione Umana. In Vaticano, si è tenuto un incontro con i diplomatici accreditati presso la Santa Sede per discutere degli orientamenti pastorali contro il traffico di esseri umani

            LA SANTA SEDE ALLE NAZIONI UNITE DI NEW YORK

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite: contro il traffico di esseri umani

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Da cinque anni, si tiene, durante la Settimana delle Nazioni Unite, una “colazione ministeriale del gruppo di amici uniti contro il traffico di esseri umani”. A questo evento ha partecipato anche il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.

Nel contesto semi-informale di una colazione al Marriot lo scorso 26 settembre, il Cardinale ha ricordato che il traffico di esseri umani colpisce 41milioni di persone l’anno, e lodato gli sforzi della Comunità internazionale per contrastare il fenomeno.

Sforzi che hanno prodotto il protocollo per “prevenire, sopprimere e punire il traffico di esseri umani”, in forza dal 2003; il Piano di Azione Globale per colpire il Traffico di Persone; tre obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite che impegnano a sradicare il lavoro forza e porre fine alla schiavitù moderna; la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2331.

Tra le iniziative, il Cardinale Parolin ha mensionato anche le 20 nazioni che compongono “il Gruppo di Amici Uniti contro il Traffico di esseri umani”.

Ma, nota il Cardinale, “dobbiamo stabilire con chiarezza, compunzione e convinzione che questa mobilitazione non è comparabile per dimensioni a quella del cancro metastatico del traffico di esseri umani”.

C’è bisogno che a questo impegno siano destinate più risorse e maggiore impegno dei governi, dice il Cardinale Parolin. “I nostri sforzi fino ad ora non sono stati in alcuno vicini all’efficacia che dovrebbero avere avuto”, sottolinea il Cardinale. Che poi aggiunge che si debba “fare di più prevenire il traffico di persone umane” a partire dal colpire cosa lo guida, dato che “ci sono stati significativi progressi nell’identificare e affrontare molti dei fattori sociali, economici, culturali e politici che rendono le persone vulnerabili al traffico di esseri umani”.

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Ma ci sono anche fattori di vulnerabilità che sono peggiorati, come “i conflitti armati e le migrazioni forzate”, e si deve anche fare “un onesto e coraggioso esame dei fattori culturali ed etici”, come la domanda del mercati che porta a sfruttare altri esseri umani, l’avarizia che porta al lavoro forzato, pratiche come la pornografia e la prostituzione che fomentano un comportamento da patologia sessuale e la considerazione di altre persone come oggetti di gratificazione”.

Il Cardinale Parolin dice che dobbiamo fare di più per “proteggere e assistere le vittime”, e che oggi c’è “maggiore consapevolezza e riconoscimento legale” della schiavitù moderna, ci sono sempre più servizi e vari programmi, che però richiedono “investimenti a lungo termine”, che includano anche “una considerevole espansione della quantità delle strutture residenziali”.

Il segretario di Stato vaticano sottolinea che si deve fare di più anche per perseguire a norma di legge quanti sono coinvolti nel crimine del traffico, perché ci sono state poche condanne nonostante la grande cooperazione internazionale.

Il cardinale chiede anche di fare di più per “promuovere una partnership tra le istituzioni governative, il settore privato, le istituzioni accademiche, la società civile e i media”, e cita due esempi di buone pratiche: il Santa Marta Group, una alleanza internazionale di capi della polizia e vescovi che lavorano insieme, e Talitha Kum, un network di suore fondato 10 anni fa che coordina 22 associazioni regionali di suore in 77 nazioni dei cinque continenti.

Il cardinale Parolin ricorda anche gli “Orientamenti Pastorali sul traffico di esseri umani” presentati dalla sezione Migranti e Rifugiati.

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite: l’eliminazione delle armi nucleari

Sempre il 26 settembre, il Cardinale Parolin ha partecipato all’Incontro di Alto Livello per commemorare e promuovere la Giornata Internazionale per la Totale Eliminazione delle Armi Nucleari.

Il Cardinale Parolin ha reiterato il supporto totale della Santa Sede per la totale eliminazione di armi nucleari, ha chiesto alle nazioni del mondo di impegnarsi ora per arrivare a quel fine. Il Cardinale ha ricordato che la Santa Sede condanna sia il possesso che la minaccia delle armi nucleari.

La Santa Sede ha anche espresso insoddisfazione per la mancata entrata in vigore Comprehensive Nuclear Test Ban treaty, e anche l’incapacità della Conferenza del Disarmo di iniziare negoziati al fine di bandire la produzione di materiale fissile per le armi nucleari. La Santa Sede, allo stesso modo, ha espresso apprezzamento per i Paesi che hanno ratificato il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari.

Il Cardinale ha detto che “perseveranza e determinazione dovrebbero caratterizzare la comune determinazione verso la eliminazione delle armi nucleari”.

Il Cardinale ha quindi chiesto di ravvivare il dialogo sull’Intermediate Range Nuclear Force Treaty (INF), ovvero il trattato introdotto nel 1987 per impedire la produzione di missili proibiti dal trattato con fondi governativi. Il Cardinale ha chiesto anche l’estensione del trattato START (il trattato sulla riduzione strategica delle armi) e sottolineato che Papa Francesco farà un appello per la totale eliminazione delle armi nucleari da Hiroshima e Nagasaki, dove andrà in viaggio a fine novembre.

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite, la questione della Repubblica Centrafricana

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La questione della Repubblica Centrafricana è stata discussa alle Nazioni Unite durante un incontro a Livello Ministeriale che ha avuto luogo il 26 settembre.

Il Cardinale Parolin, parlando a nome della Santa Sede, ha notato i segni di speranza dati dall’accordo politico per la Pace e la Riconciliazione firmato lo scorso febbraio, che ha portato ad una significativa decrescita della violenza.
Il Cardinale ha detto che le prossime elezioni del 2020 e del 2021 sono una “opportunità per aiutare la nazione ad assicurarsi lunga pace e stabilità”, e che attori politici e civili devono essere protetti.

Il Cardinale ha anche sottolineato che due terzi della popolazione sono in attesa di assistenza umanitaria, e più della metà sono bambini, e che dunque va risposto a questa emergenza. Il cardinale ha poi ricordato che la Santa Sede ha dato il suo contributo per riabilitare il Complesso Pediatrico di Bangui, attraverso un accordo con il Bambino Gesù.

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite: il futuro dei cristiani perseguitati

“Ricostruire vite. Ricostruire comunità. Assicurare un futuro per i cristiani perseguitati” è il tema di una discussione di alto livello che ha avuto luogo alle Nazioni Unite lo scorso 27 settembre. Il panel è stato ospitato dall’Ungheria.

Il Cardinale Parolin ha parlato della sua visita nella piana di Ninive in Iraq lo scorso Natale. Lì, ha detto, ha “cercato di incoraggiare i cristiani che tornavano nel loro paziente e perseverante sforzo per ricostruire le loro vite, case e comunità dopo le atrocità dell’ISIS”.

Un ritorno che il Cardinale Parolin ha comparato all’esilio forzato della Sacra Famiglia. Il cardinale non ha potuto però fare a meno di notare che il progetto di ricostruzione è ancora all’inizio, e molta infrastruttura deve ancora essere ricostruita, mentre manca sicurezza, aiuto umanitario, lavoro, educazione, programmi per i giovani, cure per la salute mentale.

Per questo, il Cardinale ha chiesto alla comunità internazionale di assistere l’Iraq in maniera globale, assicurando la libertà religiosa.

Ma non ci sono solo Iraq e Siria nei pensieri del Segretario di Stato vaticano. Nel suo intervento, ha ricordato anche i cristiani sofferenti in Sri Lanka, che hanno subito un attentato nel giorno di Pasqua.

Il Cardinale ha detto che va proprio in questa direzione la dichiarazione firmata ad Abu Dhabi da Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar.

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite: il trattato per il bando di armi nucleari

Si è tenuto il 25 settembre il dibattito della 11esima conferenza per facilitare l’entrata in vigore del Trattato Generale di Bando delle Armi Nucleari. La Santa Sede ha votato e ratificato il trattato, appoggiandolo sin dalle fasi iniziali, e il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha preso la parola il 25 settembre.

Il Cardinale ha sottolineato che la Santa Sede ha ratificato ed ha aderito al trattato come una espressione della sua convinzione che “un bando dei test nucleari è strettamente legato alla non proliferazione nucleare e al disarmo nucleare”, ed è “una parte essenziale degli sforzi multilaterali per portare avanti pace e sicurezza”.

Il capo della diplomazia vaticana ha comunque lamentato che “la promessa portata dal trattato deve ancora diventare realtà perché non è ancora entrata in vigore”.

Per questo, il Cardinale ha chiesto agli Stati che non hanno ancora ratificato il trattato di farlo, in quanto “la modernizzazione delle armi nucleari e la proliferazione in altri Stati minaccia la sicurezza internazionale”, fornendo “un falso senso di sicurezza perché le armi nucleari non possono creare un mondo stabile e sicuro in un principio di distruzione mutua assicurata”.

È piuttosto necessario – ha detto il Cardinale Parolin – “sostituire la logica della paura e della sfiducia con una etica di responsabilità, un clima di fiducia e la pratica del dialogo multilaterale e della cooperazione”, e per questo l’entrata in vigore del trattato sarebbe una “eccezionale misura di costruzione della confidenza”.

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite: lo sviluppo sostenibile

Il Cardinale Parolin è anche intervenuto il 24 settembre alla plenaria del Forum Politico di Alto Livello sullo sviluppo sostenibile. Il Cardinale Parolin ha sottolineato che l’agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile impegna la comunità internazionale a lavorare insieme per raggiungere l’obiettivo globale di sradicare la povertà e assicurare le necessarie condizioni di vita per tutti i popoli.

La Santa Sede ha notato che governi e leader del governo hanno la speciale responsabilità di proteggere e servire i più vulnerabili. Il Cardinale Parolin ha sottolineato l’importanza della partnership, della tecnologia, della fiducia, della trasparenza, della responsabilità, della chiarezza e della onestà, sottolineando che “se ci sono buchi in dati disponibili, è più facile rendere visibili alcuni che sono in più grande bisogno di aiuto e sono invisibili, come quelli che sono in povertà estrema e le vittime della moderna schiavitù”.

Il Cardinale Parolin ha infine messo in guardia del fatto che le colonizzazioni ideologiche possono mettere a rischio l’agenda di sviluppo.

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite: la Situazione in Siria

Si è parlato anche di Siria, durante la 74esima assemblea generale delle Nazioni Unite. L’evento è stato sponsorizzato dall’Unione Europea, ed ha avuto luogo il 24 settembre. Il cardinale Parolin ha ricordato che la Santa Sede continua a seguire con grande preoccupazione la situazione in Siria, che ha colpito il popolo siriano per otto anni. Il Cardinale ha quindi fatto riferimento alla lettera di Papa Francesco a giugno al presidente siriano Bashar al-Assad, mettendo in luce come la Santa Sede insista sul bisogno di “arrivare ad una praticabile soluzione politica attraverso la diplomazia, il dialogo, la negoziazione e il coinvolgimento nella comunità internazionale”.

Le sanzioni imposte – ha continuato il Cardinale – creano “pesi duri per la popolazione civile”. Il Cardinale ha poi affermato che si deve incoraggiare il ritorno “volontario e sicuro” dei profughi e la riconciliazione, mentre una particolare attenzione deve essere data al ruolo dei cristiani e delle minoranze religiose nel Medio Oriente.

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite: il problema delle foreste pluviali

Il 23 settembre, la Santa Sede ha partecipato all’incontro di alto livello sull’azione multilaterale in favore della Protezione delle Foreste Fluviali.

Il Segretario di Stato ha sottolineato che le foreste sono “la più affidabile risorsa rinnovabile del mondo e sono essenziali per lo sviluppo umano integrale”, perché “non sono solamente una fonte di risorse da sfruttare, ma un santuario da coltivare e rifornire”.

Il Cardinale Parolin ha detto che c’è grande sofferenza umana causata dalla distruzione volontaria di foreste, in particolare su coloro che dipendono dalle foreste per la loro casa, eredità culturale, strutture sociali.

Per questo “l’ecologia integrale e lo sviluppo devono bilanciare verso l’uso responsabile di foreste proteggendole e preservandole per le persone oggi e domani”.

Il Cardinale Parolin ha quindi menzionato le minacce sull’Amazzonia e sul Congo e alle foreste pluviali nell’Asia Sud Est. Il Cardinale ha quindi sottolineato che è necessario un approccio multilaterale che combatta la povertà e protegga allo stesso modo il dono indispensabile e danneggiato delle foreste.

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite: la copertura sanitaria universale

Sempre il 23 settembre, il Cardinale Parolin ha preso parte all’incontro di alto livello sulla copertura sanitaria universale, quest’anno dedicato al tema “Copertura sanitaria universale: muoversi insieme per costruire un mondo più sano”.

Il Segretario di Stato vaticano ha sottolineato che, come membri della stessa famiglia umana, abbiamo il “dovere di prenderci cura l’uno dell’altro, specialmente quando gli altri hanno bisogno di attenzione medica”.

Per questo, ha aggiunto, la cura sanitaria di base “è un diritto umano fondamentale collegato inestricabilmente con il diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale”.

Il Cardinale ha però notato che metà della popolazione mondiale manca di accesso alle essenziali cure sanitarie, mentre più di 100 milioni sono spinte quasi alla povertà a causa di spese sanitarie. C’è perciò bisogno di “focalizzare gli essenziali bisogni sanitari su poveri, donne e bambini, e di assistere le nazioni con basso reddito a supportare la comunità internazionale per assicurare il benessere delle sue rispettive popolazioni”.

Il capo della diplomazia vaticana ha infine notato che “la Dichiarazione sulla Copertura Sanitaria Universale è un significativo passo avanti per fornire cure sanitarie ad ogni persona”. Ad ogni modo, la Santa Sede contesta il riferimento alla “salute sessuale e riproduttiva” come componente della copertura sanitaria universale. Il riferimento, ha detto il cardinale, è “profondamente preoccupante e divisivo”, e ha aggiunto che la Santa Sede “rifiuta ogni interpretazione che considera l’aborto come dimensione della copertura sanitaria universale”.

Il Cardinale Parolin alle Nazioni Unite, lo sviluppo delle piccole isole

Ultimo dibattito della settimana cui ha partecipato la Santa Sede è stato l’Incontro di Alto Livello per revisionare i progressi nell’Affrontare le Priorità dei gli Stati in Via di Sviluppo su Piccole Isole implementando le Modalità di Azione accelerate, chiamate SAMOA dall’acronimo inglese.

Intervenendo il 27 settembre ad una tavola rotonda su “Progressi, mancanze e sfide”, il Cardinale Parolin ha bene accolto l’adozione della Dichiarazione di Alto Livello sulla revisione della SAMOA a medio termine, e ha detto che la chiave per gli Stati di piccole isole in via di sviluppo è una “alleanza di governi, società civile e settore privato” che “lavorino insieme per investire, e non deprimere economicamente, nelle loro grandi risorse e nelle persone, non lasciando nessuno indietro”.

Il Cardinale ha notato che sono stati fatti passi avanti, invece, nel fornire opportunità imprenditoriali ed educative e allo stesso tempo un sempre maggiore accesso alle donne nella finanza e nella forza lavoro, nonché nella gestione dei rifiuti e nelle infrastrutture sanitarie. Ma allo stesso tempo trasporto sostenibile, accesso all’acqua, finanza per lo sviluppo e lavoro sono temi da affrontare. Il Cardinale ha poi messo in luce la “minaccia esistenziale” che veniva dalla crescita dei livelli del mare e dalla imprevedibilità del clima, che devono essere affrontati.

                                            GLI INCONTRI IN VATICANO

Vaticano, un incontro sugli orientamenti pastorali sulla lotta al traffico di esseri umani

Il 27 settembre, la sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale ha organizzato un incontro con gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede per presentare gli orientamenti pastorali sul traffico di esseri umani. Gli orientamenti erano già stati presentati in conferenza stampa lo scorso gennaio, e constano di dieci punti: l’utilizzo delle persone come beni e lo sfruttamento; l’aspetto della domanda; la riluttanza a riconoscere la realtà del traffico di esseri umani; l’identificazione e il riportare del traffico di esseri umani; la connessione con il mondo degli affari; le condizioni di lavoro; la relazione tra traffico di esseri umani e contrabbando di migranti; la promozione della cooperazione; il supporto ai sopravvissuti dal traffico di esseri umani; la promozione della reintegrazione.

L’incontro si è tenuto presso l’Aula Vecchia del Sinodo, dove già c’è stata un’altra riunione degli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede a ottobre 2018, quando fu presentata invece la posizione della Santa Sede alle trattative sui Global Compacts su migranti e rifugiati.

Padre Fabio Baggio, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati, ha presentato gli Orientamenti, mentre la relazione introduttiva è stata tenuta dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati. Il “ministro degli Esteri” vaticano ha parlato della situazione internazionale che si va ad affrontare quando si parla di traffico di esseri umani, e della risposta che è chiamata a dare la comunità internazionale. L’arcivescovo Gallagher ha messo anche in luce iniziative della comunità internazionale, come gli obiettivi dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

L’arcivescovo Gallagher ha anche sostenuto l’approccio delle “4 p”, acronimo inglese che sta per “protect, promote, prevent and partnership” (proteggere, promuovere, prevenire e partnership). Durante la discussione, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che Papa Francesco ha più volte focalizzato l’attenzione della comunità internazionale su questo tema.

Una delegazione palestinese in visita da Papa Francesco

Si è discusso della situazione nella porta di Jaffa, della questione delle confische delle terre del Cremisan e al’Majour in Beitjala, e della cooperazione tra Santa Sede e Palestina nel corso di una visita di una delegazione palestinese in Vaticano.

La visita si è conclusa lo scorso 20 settembre. La delegazione palestinese era composta dal ministro Ramzi Khouri, presidente dell’Alto Comitato Presidenziale per gli Affari delle Chiese e inviato personale del presidente di Palestina Mahmoud Abbas; dall’ambasciatore Ammar Hijazi, assistente del ministro degli Affari Esteri per gli Affari Multilaterali; il signor Issa Kassisieh, ambasciatore dello Stato di Palestina presso la Santa Sede; e padre Ibrahim Faltas, della Custodia di Terra Santa.

La delegazione è stata ricevuta in udienza da Papa Francesco e ha intrattenuto colloqui bilaterali con il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, e con il Cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali.

Il ministro Khouri ha parlato delle difficoltà vissute dal popolo palestinese, ma anche di criticità relative alla presenza di cristiani nella Città Santa di Gerusalemme.

La questione della porta di Giaffa riguarda l’acquisto, da parte del gruppo ebraico Ateret Cohanim, di due proprietà ortodosse alla porta di Giaffa, con il rischio che venga tagliato fuori il quartiere cristiano di Gerusalemme. Il tema era stato anche oggetto di una lettera dei 13 capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme.

A conclusione dell’incontro Papa Francesco ha inviato le sue preghiere al popolo palestinese e al Presidente Mahmoud Abbas, sottolineando la necessità di preservare lo Status Quo della Città Santa di Gerusalemme e l’importanza che ci si adoperi a livello internazionale per la sua protezione.

L’ex premier greco Tzipras ricevuto da Papa Francesco lo scorso 21 settembre

Lo scorso 21 settembre, l’ex premier greco Alexis Tsipras è stato ricevuto da Papa Francesco in Vaticano. Secondo fonti di Syriza, il partito che ora è all’opposizione e di cui Tsipras è leader, l’ex primo ministro greco ha ringraziato Papa Francesco per i suoi sforzi nel suscitare consapevolezza internazionale sulla crisi umanitaria dei rifugiati, nonché per il suo supporto nei confronti della Grecia che il Papa ha espresso durante la sua visita a Lesbos.

Sempre secondo fonti dello stesso partito, il Papa ha detto a Tsipras che quello che ha visto a Lesbos è “profondamente scavato nella memoria e nell’anima”, e ha affermato che “i diritti umani sono più importanti di ogni accordo”. È una frase di Tsipras, che Papa Francesco ha citato durante la conferenza stampa del volo di ritorno dal viaggio in Marocco.

Durante i colloqui, Papa Francesco e Tsipras hanno affrontato anche la crescita dei conflitti regionali, delle ineguaglianze globali e della povertà.

Papa Francesco avrebbe anche parlato del suo recente viaggio a Skopje, sottolineando il coraggio dei leader di Grecia e Nord Macedonia nell’aver firmato gli accordi di Prespes, che hanno aperto alla Macedonia del Nord la possibilità dell’ingresso nella NATO.

Tsipras e Papa Francesco hanno anche discusso dei problemi del cambiamento climatico, e Tzipras ha voluto sottolineare che “la sinistra e il cristianesimo condividono un terreno comune di valori e principi fondamentali”.

Era la quarta volta in cinque anni che Tsizpras incontrava Papa Francesco. Tsipras e Papa Francesco si sono incontrati per la prima volta nel 2014, quando Tsipras era a capo dell’opposizione, poi nel 2016 quando Tsipras, da premier, accolse da Papa Francesco a Lesbos, quindi un breve incontro nel 2017, quando la Santa Sede ha ricordato il 60esimo della Dichiarazione di Roma con altri governanti europei.       

                                 LA SANTA SEDE NEL MULTILATERALE

Santa Sede all’OSCE: la prevenzione della tortura, l’abolizione della pena capitale

Continuano gli incontri sulla Implementazione della Dimensione Umana a Varsavia. Gli incontri, promossi dall’OSCE, vedono anche la partecipazione della missione della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali a Vienna.

Il 23 settembre, tema del dibattito era “Stato di diritto, inclusa: prevenzione della tortura, scambio di vedute sulla questione della abolizione della pena capitale; protezione dei diritti umani e lotta al terrorismo”.

Nel suo intervento, la Santa Sede ha notato che “la tortura è una delle più flagranti violazioni dei diritti umani e della dignità”, ed è stata condannata dal magistero della Chiesa. La Santa Sede sottolinea di supporto gli sforzi per la prevenzione della tortura e di tutte le altre forme di punizione, accompagnate da misure per assicurare la giustizia per le vittime di tortura, ma nota che, nonostante gli sforzi (anche nella regione OSCE), la pratica della tortura resta in alcuni Stati.

Per questo la Santa Sede chiede ai 57 Stati partecipanti all’OSCE di continuare il lavoro per rafforzare ed espandere gli impegni esistenti dell’OSCE per l’eliminazione della tortura.

La Santa Sede sottolinea che ci vuole maggiore attenzione nell’identificare le vittime di tortura e dar supporto a loro e alle loro famiglie, mentre considera l’educazione come una delle “misure essenziali” per eliminare la tortura dal mondo.

Per quanto riguarda la pena di morte, la Santa Sede “ribadisce la sua ben nota posizione di condanna nei confronti della pena capitale”, e ricorda anche che Papa Francesco ha voluto una revisione del catechismo per articolare in maniera chiara l’opposizione alla pena di morte.

La Santa Sede ricorda anche la sua determinazione a promuovere una cultura della vita, chiedendo anche un efficace sistema di detenzione che possa assicurare la protezione dei cittadini senza eliminare la possibilità di redenzione del colpevole”.

Santa Sede all’OSCE: la lotta al razzismo, la xenofobia, la disriminazione

Sempre il 24 settembre, c’è stata una sessione sulla lotta alla discriminazione. La Santa Sede ha notato che “nessuna parte della regione OSCE, da Vancouver a Vladivostok, è immune da atti di intolleranza e discriminazione”, e tra questi ci sono crimini di odio contro i cristiani ed i membri di altre religioni, inclusi attacchi violenti che includono assassinii, profanazione di chiese e di luoghi di culto di altre religioni, di cimiteri, e di altre proprietà religiose.

Sono fenomeni che “hanno un impatto negativo nelle vite quotidiane di cristiani e membri di altre religioni”, e mettono anche a rischio la coesione sociale degli Satti che partecipano.

Per la Santa Sede, si deve prima di tutto che l’intolleranza e la discriminazione basata sulla religione sono temi comuni, non solo delle comunità che subiscono discriminazione. La Santa Sede sottolinea anche che i cristiani sono messi nel mirino sia in nazioni dove sono una minoranza sia in quelle dove sono una maggioranza.

La Santa Sede sottolinea che gli sforzi nel combattere l’intolleranza religiosa devono essere considerati nella cornice dell’OSCE della libertà religiosa, e quindi va notato che ci sono “elementi di legislazione antidiscriminazione in alcune nazioni sembrano essere in contrasto con gli impegni presi dall’OSCE”, perché questa legislazione “non prende in considerazione e assicura l’autonomia delle comunità cristiane”.

“In molti posti – ha affermato la Santa Sede – i cristiani affrontano un certo disprezzo, sebbene la loro fede li ispiri a contribuire al bene comune e ad una società pacifica”.

La Santa Sede nota che sembra che ci sia una linea divisiva tra pratica religiosa e credo religioso nei Paesi OSCE, sviluppata con la falsa idea che “le religioni hanno un impatto negativo e rappresentano una minaccia al benessere delle nostre società”, mentre si ribadisce sempre ai cristiani di non poter vivere pubblicamente la loro fede.

C’è, insomma, una crescente opposizione al ruolo pubblico della religione, e viene così minacciato il diritto di coscienza, che pure era presente nell’atto finale di Helsinki che ha dato vita all’OSCE.

La Santa Sede incoraggia quindi gli Stati partecipanti ad accogliere e incoraggiare rappresentanti di comunità religiose che possano dare le loro vedute, mentre si deve anche considerare che i media, con la scusa del politicamente corretto, trovano “comunque troppo spesso sufficiente giustificazione di etichettare e denigrare i cristiani come bigotti e intolleranti”.

La Santa Sede richiama infine le omissioni degli Stati partecipanti sugli obiettivi che hanno affermato di assumere, in particolare quelli delle dichiarazioni di Basilea. Nel 2014, il summit di Basilea fu considerato uno dei summit di maggiore successo, con ben otto dichiarazioni approvate, di cui una sull’intolleranza e la discriminazione.

In questa dichiarazione, i ministri degli Affari esteri avevano sottolineato che avrebbero elaborato le dichiarazioni del Consiglio per portare a un livello superiore gli sforzi per combattere l’intolleranza e la discriminazione, inclusa quella contro Musulmani, cristiani e i membri di altre religioni.

Questo è un compito “ancora da compiere”, nota la Santa Sede, che non manca però di notare come Serbia, Germania, Austria e Italia abbiano fatto proposte e tentativi perché ci fossero progressi sul tema, ma allo stesso tempo si lamenta del fatto che in quattro anni non sia nemmeno stata tenuta alta l’attenzione sul tema, e spera che presto ci sia un nuovo consenso per sviluppare un miglioramento sulla questione dell’intolleranza e la discriminazione.

La Santa Sede all’OSCE, contro i crimini di odio

Il 25 settembre, la sessione dell’Incontro per l’Implementazione della Dimensione Umana è stata dedicata alla questione dei crimini di odio. La Santa Sede ha sottolineato che i diritti umani e le libertà fondamentali devono essere rispettati “per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua e religione”, perché questo è un fattore essenziale per pace, giustizia e welfare.

La Santa Sede difende l’inerente dignità di ogni persona umana, e afferma di “deplorare crimini di odio, atti di intolleranza, discriminazione e violenza contro ogni persona umana”, così come di aver “ripetutamente e decisamente condannato la violenza contro le persone e ogni segno di ingiusta discriminazione”.

La delegazione delle Santa Sede afferma che questo è stato un impegno che la Chiesa ha portato avanti sin dalla fondazione, e quindi ha notato “con profonda preoccupazione e costernazione” che in tutta l’area OSCE “molte persone e comunità continuano ad essere soggette a minacce o atti di ostilità o violenza a causa della loro identità razziale, etnica e religiosa”.

Allo stesso tempo, la Santa Sede nota che “non tutti gli atti di discriminazione pongono una diretta minaccia alla stabilità della comunità internazionale o hanno la probabilità di sfociare in violenza e conflitto su larga scala”, e che “non c’è alcuna definizione universale alla nozione di crimine di odio”, né un accordo internazionale”.

La Santa Sede ha notato sentenze contrastanti sul crimine di odio all’interno dell’area OSCE, e per questo l’interesse dell’OSCE sul tema è limitato a “quei fenomeni che possono minacciare la sicurezza e la stabilità della regione”, e non tanto per un desiderio di “ignorare alcuni gruppi, ma piuttosto per riflettere la natura dell’organizzazione come una organizzazione di sicurezza”.

Gli Stati si sono piuttosto impegnati a dare una definizione di crimine di odio, e si è arrivati a un vasto consenso nell’area OSCE che “considera la razza, l’etnicità, la nazionalità, la religione e il credo come categorie protette nelle leggi di hate crime nazionali”.

Ma la Santa Sede non può mancare di notare che i crimini di odio “a volte sono frutto di pressioni di lobbying da parte di particolari gruppi di interesse”, e questo in particolare con la definizione dei cosiddetti “nuovi diritti”.

La Santa Sede all’OSCE, il crimine di odio contro i cristiani

In una ulteriore sessione degli incontri sui crimini di odio, la Santa Sede si è concentrata – lo scorso 25 settembre – sui crimini di odio contro i cristiani. La Santa Sede ha sottolineato che i crimini anti-cristiani “principalmente e sempre più prendono di mira luoghi di culto, cimiteri e altre proprietà religiose”, anche dove i cristiani sono in maggioranza, come nella zona ovest, dove “alcuni sentimenti e manifestazioni di intolleranza e discriminazione contro i cristiani continuano ad esistere come l’ultimo pregiudizio accettabile che sembra di ricevere meno attenzione di altre forme di intolleranza, presumibilmente perché il cristianesimo è sempre stato la religione dominante.

Per questo, la Santa Sede chiede di ricordare che i crimini di odio possono riguardare sia le minoranze che le maggioranze, mentre – facendo riferimento ad un rapporto dell’Organizzazione per le Democrazie e i Diritti Umani Internazionali (ODIHR) i crimini commessi a causa dell’odio religioso attaccano sempre più proprietà, “probabilmente perché è più facile identificarle e attaccarle”.

Questo crea un problema, perché “in molte giurisdizioni i crimini contro le proprietà sono considerati meno seri di quelli contro la persona umana”.

La Santa Sede denuncia la scarsa attenzione data a crimini di odio commessi contro le comunità maggioritarie, e lamenta che i crimini a causa di fattori religiosi sono poco registrati, mentre la protezione dei luoghi di culto deve essere una diretta conseguenza della protezione della libertà di pensiero, coscienza religione e credo, come tra l’altro sottolineato anche da Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar Ahmed bin Tayyb nella dichiarazione di Abu Dhabi.

La Santa Sede nota anche che “le risposte alle questioni di sicurezza affrontate dalle comunità religiose devono essere basate sul fatto che gli Stati dell’OSCE hanno la primaria responsabilità di proteggere le comunità dagli attacchi, anche se questi sono perpetrati da attori privati”, e per questo “ogni volta che c’è un attacco, dovremmo chiederci se lo Stato ha fatto il suo meglio per prevenire i crimini, non solo di punirli”.

Per quanto riguarda l’antisemitismo, la Santa Sede apprezza il documento sulla comprensione dei crimini di odio antisemiti e su quelli nei confronti dei musulmani, ma allo stesso tempo sottolinea che queste linee guida saranno affiancate da linee guida sui crimini di odio contro i cristiani.

La Santa Sede sottolinea che tenere “memoria” dei crimini di odio è un “modo per riconoscere il problema e il modo in cui si diffonde”, e per questo la Santa Sede ricorda che gli Stati OSCE si sono impegnati, con decisione ministeriale del 2009, a raccogliere e riportare dati attendibili sui crimini di odio, disaggregare i dati dei crimini di odio per se da quelli di odio per pregiudizio religioso, e ulteriormente andare a scorporare i dati che parlano di crimini di odio contro musulmani, ebrei e cristiani.

Fino ad ora, tuttavia – lamenta la Santa Sede – solo uno Stato su cinque ha fornito questi dati disaggregati, e d’altronde i dati non vanno a dare fino in fondo conto dell’estensione dei crimini di odio.

Presentato in Vaticano il Rapporto UNCTAD 2019

È ormai una tradizione la presentazione in Vaticano del rapporto degli economisti della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, conosciuto con la sigla di UNCTAD.

Il rapporto, presentato lo scorso 26 settembre dal Cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Integrale, ha chiesto una conversione verso “l’economia verde”, e ha sottolineato che le risorse per un modello globale di sviluppo sostenibile ci sono, ma manca una leadership politica capace di avviare il cambiamento.

Come detto, ci si è molto concentrati sulla questione del cambiamento climatico, ma – secondo il rapporto, serve ricerca per trovare risorse, e da fare in tempo limitato, perché ci sono solo 10-15 anni prima che il cambiamento climatico diventi irreversibili.

Ci vuole, insomma, un Global Green New Deal, che punti a rilanciare gli investimenti in nuove tecnologie verdi, restituendo centralità all’azione pubblica. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite, gli Stati dovrebbero promuovere politiche fiscali e finanziarie più giuste, perché questo già aiuterebbe a far trovare le risorse per promuovere uno sviluppo sostenibile, dato che – ha notato Piergiuseppe Fortunato, responsabile UNCTAD per gli affari economici – “gran parte delle risorse inutilizzate sono quelle relative alle tasse evase dalle grandi multinazionali”.

Il rapporto UNCTAD mette in luce anche gli squilibri dovuti all’ineguale distribuzione della ricchezza, nonché le difficoltà nel trasferire capacità tecnologiche e le risorse finanziarie bloccate in investimenti poco redditizi.

Il rapporto UNCTAD chiede di ripensare l’economia, per reperire dai 2 ai 3 trilioni di dollari l’anno da investire solo nei Paesi in via di sviluppo. Ci vuole una nuova leadership, come richiesto da Papa Francesco che ha parlato esplicitamente di una “conversione ecologica” e ha chiesto “onestà, coraggio e responsabilità” ai leader mondiale riuniti a inizio settimana al Climate Action Summit delle Nazioni Unite.

“La minaccia del riscaldamento globale — ha detto il cardinale Turkson — richiede azioni immediate per ridurre le emissioni di gas serra e stabilizzare il clima della terra”.

Da tempo, il Cardinale Turkson insiste sulla necessità di avviare un processo di decarbonizzazione. Il Cardinale ha anche detto che “cura dell’ambiente “non è semplicemente salvaguardia, ma è piuttosto qualcosa che viene dal cuore. Per questo, la vera risposta è etica. Etica vuol dire riconoscere la responsabilità che abbiamo nei riguardi di qualcosa che sta accadendo”.

                                                FOCUS AFRICA

Marocco, fonti governative felici del cardinalato all’arcivescovo Lopez Romero

La decisione di Papa Francesco di creare cardinale l’arcivescovo di Rabat Cristobal Lopez Romero è stata letta in Marocco come un segnale di apertura del Papa nei confronti del Marocco e in particolare un sostegno a favore del dialogo interreligioso del re Mohammed VI, sostengono fonti diplomatiche di Rabat.

L’arcivescovo Lopez Romero verrà creato cardinale il prossimo 5 ottobre. La sua scelta non è stata considerata casuale, dato che, sostengono le fonti, si tratta di un segnale per il Marocco ma anche di altri Paesi, perché è stato privilegiato il Marocco rispetto ad altri due Paesi arabi visitati dal Papa, l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. Ovviamente, il commento diplomatico dà una lettura “politica” della scelta dei cardinali, ma è quantomeno interessante per comprendere le relazioni.

Papa Francesco è stato a Rabat il 30 e 31 marzo, e con il re Mohammed ha firmato una dichiarazione comune su Gerusalemme. Il tema di Gerusalemme fu, tra l’altro, una delle ragioni che portarono il Marocco ad aprire relazioni con la Santa Sede.

I media marocchini hanno più volte sottolineato l’intensa collaborazione tra Marocco e Vaticano, è stata enfatizzata la richiesta fatta all’ONU di dichiarare una “Giornata Mondiale per la Fraternità Umana”, che è parte dell’impegno nato dalla dichiarazione di Abu Dhabi, ma che è anche – secondo i media marocchini – frutto delle visite condotte da Papa Francesco nei Paesi musulmani.

Il cardinalato all’arcivescovo Lopez Romero viene anche letto come una sorta di “ringraziamento” al regno del Marocco per il suo “operato in favore di un Islam aperto e moderato”, riconosciuto da Papa Francesco con la visita alla scuola degli Imam.

L’ambasciatore del Marocco presso la Santa Sede presenta le credenziali

Intanto, lo scorso 26 settembre, Rajae Naji el Mekkaoui, nuovo ambasciatore del Marocco presso la Santa Sede, ha presentato le sue lettere credenziali a Papa Francesco.

Classe 1958, laureata in legge, è stata: Professore di Diritto all’Università Mohamed V, a Rabat; Fondatrice e Presidente dell’Unità di Formazione e Ricerca sul Diritto sanitario; Scrittore di 12 titoli in Diritto; Docente presso vari Istituti di Insegnamento Superiore; Redattrice della Rivista giuridica, politica ed economica del Marocco; Esperta e Consulente di diversi Ministeri; Membro del Consiglio Superiore degli Ulema; Membro della Commissione Reale per la riforma della Costituzione; Membro dell’Alta Autorità per la riforma della giustizia; Membro di Commissioni per le leggi sulla famiglia e l’infanzia, per i Diritti dell’uomo; Membro eletto della Commissione permanente indipendente per i Diritti umani presso l’OIC.

È stata la prima donna a tenere la tradizionale “Conversazione del Ramadan” alla presenza del Re, del Governo, del Corpo Diplomatico e dei grandi Ulema del mondo.

Africa: in vista delle elezioni, un messaggio dei vescovi del Burundi

Al termine della loro assemblea plenaria, che si è tenuta dall’11 al 13 settembre 2019, i vescovi del Burundi hanno voluto inviare un messaggio che prepara anche alle prossime elezioni del 2020.

Nel messaggio, i vescovi invitano i fedeli e tutti coloro che desiderano il bene della nazione a dare valore alle elezioni evitando di rimanere indifferenti. Si tratta, dicono i vescovi, di un momento con conseguenze di vasta portata per la vita del Paese e dei suoi cittadini.

I vescovi apprezzano il percorso del Paese verso la democrazia, ma mettono in luce anche alcuni problemi del Paese, e chiedono ai cristiani di essere sale della terra e luce del mondo in ogni momento.

Il nunzio Gallone presenta le lettere credenziali al Mercato Comune per l’Africa dell’Est e del Sud

Lo scorso 23 settembre, l’arcivescovo Gianfranco Gallone, nunzio in Zambia e Malawi, ha presentato le sue lettere credenziali al Mercato Comune per l’Africa del’Est e del Sud (COMESA) a Chileshe Kapwekwe, segretario generale dell’organizzazione.

Con l’occasione, l’arcivescovo Gallone ha notato che la sua nomina “come rappresentante speciale presso questa organizzazione è espressione delle continue buone relazioni tra la Santa Sede e il COMESA, dato che condividiamo l’obiettivo di contribuire a rafforzare la pace e il bene comune per la popolazione africana.

L’arcivescovo Gallone ha quindi sottolineato che l’impegno della Santa Sede per l’Africa “è chiaramente visibile a partire dalle numerose dichiarazioni di Papa Francesco e dalle sue diverse visite nel continente. Recentemente, durante la sua visita in Mozambico, ha stimolato sforzi per rafforzare la pace e la riconciliazione in quella nazione, mentre in Maurizio e in Madagascar ha chiesto alla Chiesa di prestare servizio ai poveri, specialmente quelli che vivono ai margini della società, che serve l’umanità”.

                                                LE NOTIZIE DAI NUNZI

Lettonia, un anno dalla visita di Papa Francesco

È stato il nunzio in Lettonia, l’arcivescovo Petar Rajic, a celebrare nel santuario di Aglona, in Lettonia, la Messa per il primo anniversario della visita di Papa Francesco nel Paese. L’arcivescovo Rajic è nunzio nominato, ma ancora non ha presentato le lettere credenziali al governo di Riga.

Il nunzio ha portato i saluti di Papa Francesco, il quale ha detto di ricordare ancora la sua visita negli Stati baltici e di desiderare che “la Chiesa locale in Lettonia possa continuare a volgere il suo cuore a Dio ed essere coraggiosa nelle buone opere, affinché tutti noi possiamo conoscere i veri discepoli e i seguaci di Cristo”.

Commentando il Vangelo della domenica, l’arcivescovo Rajic ha notato che “viviamo in un mondo incompleto, nel gioco del peccato e del male” e “sfortunatamente, non siamo immuni ai mali della società e possiamo facilmente essere esposti agli effetti devastanti dell’ambiente e della sua mentalità”, ma “come cristiani e seguaci di Gesù, siamo chiamati ad essere onesti, non disonesti, ad amare e praticare la verità e la giustizia, ad essere figli della luce piuttosto che delle tenebre, ad essere il sale della terra che dà vita alla vita, non individui inesprimibili e inutili”.

Questione del Sinodo in Germania: la posizione del nunzio

L’arcivescovo Nikola Eterovic, nunzio apostolico in Germania, ha voluto dire la sua sul sinodo della Chiesa di Germania, in discussione adesso durante la plenaria della Conferenza Episcopale Tedesca. Il tema del Sinodo è diventato scottante da quando è stato definito “non ecclesiologicamente valido” dalla Congregazione dei Vescovi, che aveva allegato anche un parere del Pontificio Consiglio dei Testi Legislativi. Il cardinale Marx ne aveva parlato a Roma con Papa Francesco, e ha deciso di continuare la sua strada, sottolineando che il sinodo non segue il diritto canonico.

L’arcivescovo Eterovic ha sottolineato che “l’unità tra la Chiesa universale e le Chiese particolari è essenziale”, ha ricordato la lettera che Papa Francesco aveva inviato a giugno e ha detto che quella lettera sottolinea che “la finalità del cammino sinodale deve essere l’evangelizzazione”, ma che per “l’efficacia dell’evangelizzazione, l’unità è una conseguenza essenziale”.

L’arcivescovo Eterovic ha dunque chiesto di porre la questione di Dio al centro delle riflessioni sinodali.

                                                ANNIVERSARI E VIAGGI

Compie un anno l’accordo tra Cina e Vaticano

Lo scorso 22 settembre, ha compiuto un anno l’accordo tra Cina e Santa Sede sulla nomina dei vescovi. Tenuto confidenziale, l’accordo ha portato alle prime nomine di vescovi cinesi alla fine di agosto e ha riportato tutti i vescovi cinesi alla comunione con Roma.

Molti, comunque, i dubbi sull’accordo, specialmente riferiti dal Cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong.

I rapporti diplomatici tra Santa Sede e Cina si rompono nel 1951. I comunisti hanno preso il potere nel 1949, e tra il 1950 e il 1951 la Cina ha fatto pressione sul Vaticano per avere “vescovi indipendenti”. La Santa Sede aveva cercato una via di mezzo, molti vescovi si erano opposti, e così si creò il pretesto per la rottura: un sacerdote della internunziatura di Pechino trovò un mortaio del 1930 tra i suoi rifiuti, e lo diede a un uomo d’affari chiamato Antonio Riva, che lo mise in esposizione nella sua casa come antico. Ma, quando, gli officiali comunisti trovarono il mortaio a casa, sostennero che fosse parte di un complotto per assassinare Mao Tse-Tung. Riva fu condannato a morte e la missione della Santa Sede fu bandita dalla nazione per spionaggio, mentre Tarcisio Martina, il prefetto apostolico regionale, fu condannato alla prigione a vita, e morì nel 1961.

Due erano le condizioni per il ristabilimento delle relazioni: che la Santa Sede non interferisse in temi religiosi in Cina e che, in linea con la politica di “una sola Cina” di Pechino, la Santa Sede rompesse i legami con il governo di Taiwan, stabilita dopo l’espulsione dell’arcivescovo Riberi. La Santa Sede, dopo che le Nazioni Unite avevano riconosciuto il governo di Pechino come governo di Cina, decise di mantenere le relazioni solo a livello di chargéè d’affairs, sottolineando che non avrebbe avuto problemi a lasciare Taiwan, ma solo se si fossero discusse le condizioni della non interferenza negli affari religiosi.

Il tema era proprio quello della nomina dei vescovi, anche perché si era formata la Associazione Patriottica Cattolica Cinese. Nel frattempo, si era formato in Cina un gruppo di vescovi fedeli a Roma, che non si registravano nell’associazione patriottica. Un lungo lavoro di disgelo tra Cina e Santa Sede è cominciato negli anni Ottanta, con i primi colloqui, e nel 2007 si riprese il lavoro diplomatico per creare legami formai con la Repubblica di Cina. Dopo la lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi, le relazioni sono fluttuate: alcuni vescovi sono stati nominati con il doppio consenso di Pechino e Roma, altri hanno rappresentato una rottura.

Sotto Papa Francesco, la Cina ha mandato segni di disgelo, inviando un messaggio di auguri a Papa Francesco e poi aprendo lo spazio aereo per il passaggio del volo papale verso la Corea del Sud.

La situazione della libertà religiosa non è, comunque, mutata moltissimo. Si è arrivati così all’accordo del 22 settembre 2018. Accordo che, va precisato, è solo sulla nomina dei vescovi e non va a riguardare l’eventuale apertura di relazioni diplomatiche della Santa Sede con il Dragone Rosso.

Una nuova visita in Messico per Papa Francesco?

Papa Francesco è già stato in Messico nel 2016. Ma il nuovo governo, guidato da Andrés Manuel Lopez Obrador, lo ha invitato di nuovo, perché vada nel Paese nei prossimi mesi ad affrontare i temi migratori. L’invito sarà portato dal nuovo ambasciatore del Messico presso la Santa Sede, Alberto Barranco.

Barranco ha detto che l’invito si inserisce nell’agenda sul tema migratorio del nuovo governo. Secondo il nuovo ambasciatore, il Papa e il nuovo presidente hanno molti punti in comune, anche il fatto che il nuovo presidente messicano ha deciso di non vivere a Los Pinos, che generalmente è la residenza ufficiale dei presidenti, per vivere nel Palazzo Nazionale.