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Papa Francesco e la Cina: il punto

Arcivescovo Celli in Cina | L'arcivescovo Claudio Maria Celli durante la sua missione in Cina, tra i vescovi Zhuang e Guo, che hanno lasciato su richiesta vaticana la guida delle loro diocesi per aiutare a favorire l'accordo | da Twitter @francescosisci Arcivescovo Celli in Cina | L'arcivescovo Claudio Maria Celli durante la sua missione in Cina, tra i vescovi Zhuang e Guo, che hanno lasciato su richiesta vaticana la guida delle loro diocesi per aiutare a favorire l'accordo | da Twitter @francescosisci

Una delegazione della Santa Sede è stata in Cina la scorsa settimana, per una serie di colloqui e anche per portare a termine due transizioni nelle diocesi cinesi, andando ad insediare due dei sette vescovi precedentemente illeciti cui Papa Francesco ha revocato la scomunica lo scorso 22 settembre.

La notizia è stata diffusa sia dall’agenzia missionaria Asia News, sia dal quotidiano cinese in lingua inglese Global Times, vicino al governo, che in più occasioni ha anticipato le mosse della diplomazia vaticana e che, a inizio settembre, aveva dato notizia dell’imminente arrivo delle delegazione pontificia per andare a concludere l’accordo con il governo cinese sulla nomina dei vescovi, rimasto riservato e considerato provvisorio.

Cosa è accaduto durante il viaggio della delegazione della Santa Sede, guidata dall’arcivescovo Claudio Maria Celli, dagli Anni Ottanta alle prese con il dossier Cina, lavorando sempre per un accordo che permettesse di “allargare la gabbia” dei cattolici di Cina?

In pratica, sono state ufficializzate due delle decisioni che erano state preparate sin da febbraio, quando erano in corso le trattative per l’accordo sulla nomina dei vescovi, e la Cina chiedeva come condizione proprio la riammissione dei sette vescovi illeciti poi definitivamente riammessi.

Monsignor Vincenzo Zhan Silu, vescovo riconosciuto da Pechino e tra i sette vescovi illeciti cui è stata revocata la scomunica, prenderà il posto del vescovo di Mindong Vincenzo Guo Xijin, riconosciuto dalla Santa Sede, ma non dal governo. Guo lascerà il posto di ordinario, e avrà il posto di vescovo ausiliare, un riconoscimento per il lavoro svolto in questi anni.

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La richiesta, che era già stata anticipata a febbraio, sarebbe stata ufficializzata con una lettera firmata dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e dal Cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Papa Francesco avrebbe chiesto al vescovo Guo di continuare a prendersi cura della Chiesa “sotterranea” della diocesi, che è la schiacciante maggioranza – sono 80 mila su una popolazione cattolici di 90 mila persone.

Anche l’altro vescovo riconciliato con la Santa Sede Giuseppe Huang Bingzhang ha ricevuto una diocesi da amministrare: è quella di Shantou, finora guidata dal vescovo sotterraneo Pietro Zhuan Jian Jian.

È una decisione maturata da tempo, anche nell’ambito di una collaborazione della Santa Sede con il governo cinese. L’accordo, infatti, non cessa l’esistenza della Chiesa sotterranea, ma cessa l’esistenza di vescovi illeciti nel territorio.

Il vescovo Fang Jianping, vice presidente della Conferenza Episcopale Cinese, ha detto al Global Times che “la visita della delegazione [vaticana] ha fatto progressi, e la stessa delegazione ha detto che presto visiterà di nuovo la Cina per delineare la nomina dei vescovi”.

Tra gli incontri in programma, anche quello con i sette vescovi illeciti riconciliati, ed ha appunto avuto l’obiettivo di determinare a quali diocesi saranno assegnati. Ci sono 98 diocesi in Cina, ha sostenuto il vescovo Guo Jincai con il Global Times, e 40 sono senza vescovo, mentre di 61 vescovi, 12 sono oltre gli ottanta anni. C’è, insomma, bisogno di nuovi vescovi.

Ed è proprio lì che entra in gioco l’accordo. Il vescovo Guo Jincai è membro dell’Assemblea del Popolo per decisione del Dipartimento Centrale del Partito Comunista, ed è segretario generale e vicepresidente del Consiglio dei Vescovi Cinesi.

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È, insomma, un uomo di governo, e infatti parla di 98 diocesi, quelle “disegnate” dalle autorità cinesi, e non le 137 stabilite dalla Santa Sede. Il vescovo Guo Jincai è stato anche uno dei due vescovi cinesi che ha partecipato al Sinodo, e per lui è stata anche eretta la diocesi di Chengde.

Sempre il Global Times ci tiene a precisare che le nuove nomine non devono essere considerate come il momento in cui i vescovi sotterranei devono lasciare in favore di un vescovo governativo, ma piuttosto come “un risultato delle necessità pratiche degli affari di Chiesa.

Di certo, la nuova primavera tra autorità cinesi e Santa Sede non piace a tutti in Cina. In particolare, il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun è stato a Roma nelle scorse settimane per consegnare al Papa una lettera di sette pagine sulla situazione che vive la Chiesa sotterranea in Cina dopo l’accordo. L’accordo ha anche portato alla presenza di due vescovi cinesi al Sinodo, ma questi sono stati scelti dalle autorità cinesi e hanno partecipato al Sinodo solo fino ad un certo punto, per poi tornare in patria per impegni presi precedentemente.

Resta da comprendere quanto forte sarà la pressione sui vescovi clandestini. Il vescovo Han Zhihai di Lanzhou si è conformato al governo cinese, ed è stato promosso presidente della locale Associazione Patriottica dei Cattolici cinesi, mentre il vescovo Shao Zhumin di Wenzhou non ha fatto nessun atto di obbedienza ed è stato prelevato lo scorso novembre (per la quinta volta in due anni) per delle sedute di indottrinamento.

Al di là dei casi specifici, si prova a dialogare con la Cina su più fronti. Non si parla di diplomazia, e questo tranquillizza (per ora) Taiwan, che sa che se la Santa Sede aprisse un canale diplomatico con Pechino, lo chiuderebbe con Taipei.

Ma ci sono state molte altre occasioni di dialogo. Il solito Global Times ha recentemente sottolineato che, sebbene Cina e Vaticano non abbiano relazioni diplomatiche, ci sono molti scambi culturali e scientifici, e infatti delegati della Pontificia Accademia delle Scienze sono stati in Cina ad agosto e settembre per partecipare a due conferenze sugli sforzi internazionali per combattere il traffico di esseri umani, e le delegazioni cinesi hanno ricambiato la visita in eventi simili che si sono tenuti in Vaticano nel 2017 e il 2018. L’ultima occasione di scambio è stata una conferenza per contrastare il traffico di organi presso la Pontificia Accademia delle Scienze.

In questa direzione vanno anche i gesuiti di Civiltà Cattolica, che hanno pubblicato il libro "Nell'anima della Cina" e che lo scorso 11 dicembre hanno dato vita al China Forum for Civilization dialogue, una piattaforma di dialogo e riflessione con la Cina e altri interlocutori internazionali promossa dalla rivista in lingua italiana e dalla Georgetown University.

Il primo tema comune di confronto è stato l’ecologia, e seguiranno confronti anche su temi con l’intelligenza artificiale ed educazione umanistica nell’era globale. Il comitato consultivo del China Forum è presieduto da padre Federico Lombardi.

Certamente, sarà complicato trovare un equilibrio tra la volontà di un dialogo portato avanti dalla Santa Sede e la sinizzazione promossa dal Partito Comunista Cinese di Xi Jinping.

In Vaticano, il dilemma si spiega così: “La Cina ha nelle mani un coltello, molto affilato. Ogni volta che la Santa Sede stende la mano per prenderlo, lo prende dalla parte della lama, e la sua mano sanguina”.

Non si comprende ancora come funzionerà la scelta dei nuovi vescovi, ma – leggendo quello che il Cardinale John Tong Hon aveva sottolineato in tempi non sospetti – si dovrebbe arrivare alla presentazione al Papa di una terna non sgradita al governo cinese da parte della Conferenza episcopale locale, che promuove prima una ampia consultazione. Va da sé che la Conferenza Episcopale è totalmente nelle mani dei vescovi fedeli al governo.

Sono tutti nodi pratici che le delegazioni vaticane sono chiamate a sciogliere. Papa Francesco ha garantito che l’ultima scelta sarà sempre sua. Ma molte questioni restano aperte.

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