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Diplomazia pontificia, Myanmar e Sud Sudan

I vescovi cattolici del Myanmar hanno chiesto il rispetto dei diritti umani. Tra le nazioni citate nel discorso di Papa Francesco al Corpo diplomatico anche il Sud Sudan, dove è stato prima di Natale l’arcivescovo Paul Richard Gallagher

Papa Francesco, George Poulides | Papa Francesco ascolta l'indirizzo di saluto dell'ambasciatore George Poulides, decano del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Sala delle Benedizioni, 10 gennaio 2022 | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco, George Poulides | Papa Francesco ascolta l'indirizzo di saluto dell'ambasciatore George Poulides, decano del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Sala delle Benedizioni, 10 gennaio 2022 | Vatican Media / ACI Group

Myanmar e Sud Sudan sono due situazioni critiche, che Papa Francesco ha citato sia nell’Urbi et Orbi di Natale che nel discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede lo scorso 10 gennaio. In Myanmar il Papa è stato nel 2017, in una situazione che sembrava migliorare; in Sud Sudan, il Papa sogna di andare in un viaggio ecumenico, e intanto ha mandato prima di Natale il suo “ministro degli Esteri”, per un viaggio di tre giorni di cui vale la pena dare conto, anche a due settimane di distanza, per comprendere cosa si sta muovendo.

Il fronte dei viaggi papali è ancora incerto, molto dipenderà dalle sue condizioni di salute e anche dagli impegni interni del Papa, impegnato nel finalizzare la riforma della Curia che dovrebbe aver luogo a giugno, una volta terminati gli accorpamenti dei dicasteri. Sembra ormai tramontato, invece, un concistoro a febbraio, considerando che prima ci dovrebbero essere delle nuove nomine dei capi dicastero, ma fino ad ora è stato spostato solo il segretario della Congregazione della Dottrina della Fede, l’arcivescovo Giacomo Morandi, nominato vescovo di Reggio Emilia.

Sarà da vedere se il Papa provvederà a sistemare in nunziatura alcune delle personalità rimaste senza incarico (ci sono 11 nunziature attualmente vacanti, alcune importanti come il Venezuela o la Giordania).

Il Papa, intanto, prosegue la sua diplomazia del dialogo, e incontra gli esponenti religiosi dell’Azerbaijan. L’Azerbaijan intende presto stabilire una ambasciata residente presso la Santa Sede. Al di là delle buone relazioni con la Santa Sede, pesa sull’Azerbaijan la situazione in Nagorno Karabakh, dove da tempo viene denunciata la scomparsa del patrimonio cristiano di origine armena.

                                                FOCUS CORPO DIPLOMATICO

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Myanmar, i vescovi chiedono giustizia, pace e riconciliazione

In un Paese che vive una pericolosa escalation di violenza e di attacchi armati, i vescovi del Myanmar, che si sono riuniti in plenaria dall’11 al 14 gennaio, hanno rilasciato una dichiarazione in cui chiedono “con forza a tutte le persone coinvolte di facilitare l’accesso umanitario alle persone sofferenti e sfollate al fine di fornire loro l’assistenza umanitaria di base. La dignità umana e il diritto alla vita non possono mai essere compromessi”.

Inoltre, i vescovi ribadiscono la richiesta per “il rispetto della vita, il rispetto della sacralità dei santuari nei luoghi di culto, l’integrità degli ospedali e delle scuole. Tutti coloro che cercano di aiutare le persone devono essere protetti”.

Nei giorni scorsi, Chiese cattoliche locali e organizzazioni umanitarie avevano lanciato l’allarme di una escalation di violenze e bombardamenti soprattutto in alcune regioni del Paese. Il prossimo 1 febbraio sarà il primo anniversario del Colpo di Stato. In questo anno di tempo, sono state uccise più di 1400 persone, inclusi almeno 50 bambini, e oltre 10 mila persone sono state arrestate, inclusi sacerdoti cattolici e pastori protestanti.

I vescovi si dicono “rattristati dall’attuale situazione del Paese” e preoccupati “per la crescita vertiginosa dei rischi per la vita e la sicurezza di persone innocenti, e in particolare degli sfollati interni, bambini, donne, anziani e malati nelle aree di conflitto, indipendentemente da razza e fede. Migliaia sono in fuga, milioni muoiono di fame”.

I vescovi hanno anche ringraziato quanti si stanno impegnando ad aiutare i rifugiati. Un esempio è quello della cattedrale di Loikaw, dove la diocesi ospita e accoglie circa 200 sfollati, per maggioranza donne, bambini, anziani e malati”.

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Scrivono i vescovi: “In quanto organizzazione fondata sulla fede, la conferenza episcopale cattolica del Myanmar crede fermamente che tutto è possibile a Dio. Incoraggiamo fortemente tutte le nostre diocesi cattoliche a promuovere la pace nel nostro Paese attraverso tutti gli sforzi possibili, specialmente attraverso le preghiere. Con il nostro accompagnamento pastorale, porteremo conforto nel bisogno. Il nostro servizio raggiungerà ogni persona in questo Paese senza distinzione di razza o religione”.

Sud Sudan, la visita dell’arcivescovo Gallagher

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, è stato in Sud Sudan dal 21 al 23 dicembre, per un viaggio che ha alimentato le speranze di un possibile viaggio del Papa nel Paese, cosa che l’arcivescovo non ha escluso e di cui si è parlato anche nell’incontro con il presidente.

L’arcivescovo Gallagher è stato a Juba, capitale del Paese, per incontrare leader politici e religiosi locali, sottolineando di credere che “c’è un grande supporto per la visita.

Si è trattato di una visita pianificata per mesi, coordinata con Lambeth Palace, il supporto organizzativo dell’arcivescovo di Canterbury, anche perché il Papa aveva detto chiaramente, e da tempo, che il viaggio in Sud Sudan sarebbe stato ecumenico, insieme al primate Justin Welby.

Papa Francesco ha ribadito il desiderio di andare in Sud Sudan nel ritiro spirituale per le più alte autorità politiche e religiose del Sud Sudan nel 2019. Dopo vari rinvii, l’arcivescovo Gallagher ha fatto una prima visita nel Paese, che lascia ben sperare per l’organizzazione di un viaggio. “Si è trattato – ha detto – di una visita che è colpita dal COVID 19, ma alla fine abbiamo deciso che saremmo dovuti venire ora. Siamo venuti con l’obiettivo di ascoltare le persone; ascoltare sia i leader politici che quelli della Chiesa, per vedere quale è la situazione qui e quale contributo possono la Santa Sede e Papa Francesco e l’arcivescovo di Canterbury possono fare nel portare avanti il processo”.

Arrivato a Juba nel primo pomeriggio del 21 dicembre, Gallagher è stato ricevuto dall’arcivescovo Huberus Matheus von Megen, che risiede a Nairobi, e da monsignor Ionut Paul Strejac, incaricato di affari della nunziatura a Juba, nonché dall’arcivescovo di Juba e dai vescovi di Malakal e Wau. Già in aeroporto aveva avuto un incontro privato con il ministro degli Affari Esteri Mayiik Ayii Deng, mentre nel pomeriggio aveva incontrato il vescovo Anglicano Precious Omuku e Marta Jarvis, che rappresentavano Lambeth Palace, e alcuni diplomatici con i quali ha parlato della attuale situazione politica, economica e sociale in Sud Sudan.

Nella sera del 21 dicembre, l’arcivescovo Gallagher ha avuto un colloquio con i vescovi del Sud Sudan.

La mattina del 22 dicembre, l’arcivescovo Gallagher ha incontrato il presidente Salva Kiir Mayardit, in una conversazione definita “cordiale” durante la quale è stato riaffermato il supporto del Vaticano per il processo di pace e si è discussa la possibilità di una visita del Papa nel corso di quest’anno insieme all’arcivescovo Welby e al moderatore della Chiesa Presbiteriana di Scozia.

Salva Kiir ha ringraziato il Papa per l’assistenza umanitaria inviata alla popolazione colpita da alluvioni recenti, specialmente nella diocesi di Malakal.

Nel pomeriggio del 22 dicembre, l’arcivescovo Gallagher ha incontrato alcuni rappresentanti del Consiglio Ecumenico delle Chiese del Sud Sudan e della società civile.

Il 23 dicembre, l’arcivescovo Gallagher ha presieduto una Messa nella cattedrale di Juba, cui ha partecipato il terzo vice presidente, Taban Deng Gai.

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Lasciando il Paese, l’arcivescovo Gallagher si è detto “ottimista riguardo l’Africa”, perché “c’è un talento qui che porterà avanti il popolo dell’Africa, inclusa la popolazione del Sud Sudan”.

Papa Francesco ai diplomatici, il discorso del decano

Come di consueto, prima del discorso di Papa Francesco al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il decano del Corpo Diplomatico, l’ambasciatore George Poulides, che rappresenta Cipro, ha indirizzato un discorso in cui metteva in luce alcuni dei grandi temi toccati dalla diplomazia del Papa durante l’anno.

L’ambasciatore ha lodato il Papa perché, durante l’anno della pandemia, “in ogni modo, opportune et inopportune, ha comunicato instancabilmente che non ci si salva da soli”, e ricordato che “dalla crisi sanitaria dovuta al COVID 19 non è possibile uscire ritrovando la normalità perdute con le sue ineguaglianze e sofferenze, ma cercando soluzioni nuove che facciano cambiare i nostri stili di vita”.

Poulides ha ricordato la “rivoluzione della fraternità” proposta dalla Fratelli Tutti, e messo in luce la necessità di curare la casa comune come delineato nella Laudao Si, un messaggio che “ha contribuito a preparare il terreno fertile per un cambio di approccio della politica ambientale, tema dominante della Conferenza delle Parti dell’ONU, meglio conosciuta come COP26”, e che ha compreso anche l’appello congiunto firmato in Vaticano lo scorso 4 ottobre con decine di autorità religiose e scientifiche in cui “si chiede l’adozione di un’educazione all’ecologia integrale che favorisca un modello culturale incentrato sulla fraternità”.

Poulides ha anche ricordato il Global Compact per l’educazione lanciato da Papa Francesco nel 2019, sottolineando che “ciascuno di noi è, e deve sentirsi, protagonista della costruzione di un mondo pacificato, concentrando le nostre azioni in tre direttrici da lei individuate e ben definite: incentivare il dialogo tra le generazioni, promuovere l’educazione come fattore di liberà, garantire condizioni di lavoro che realizzino la dignità umana”.

L’ambasciatore ha poi ricordato i viaggi dell’anno, da quello in Slovacchia a quello a Cipro e Grecia, dove ha auspicato “che l’isola, crocevia delle civiltà, possa divenire un cantiere di pace”.

L’ambasciatore Poulides spende qualche parola in più sul viaggio a Cipro, di cui è stato “testimone diretto”, e durante il quale ha constatato come “la sua presenza non solo susciti entusiasmo, ma unisca e dia speranza”, mentre ricorda che il Papa in Grecia “ha focalizzato l’attenzione sull’importanza dell’accoglienza, perché quando si tratta di migranti, rifugiati e profughi in gioco ci sono vite umane”.

Poulides ha quindi ricordato il primo “storico viaggio in Iraq del Papa,” durante il quale il Papa “ha posto l’accento sul concetto e la prassi della fraternità, proseguendo contestualmente il percorso tracciato dalla Dichiarazione sulla Fratellanza Umana”.

Ma Poulides riconosce anche l’impegno di Papa Francesco “a favore della valorizzazione delle donne e il riconoscimento del ruolo attivo della donna nella società e nella costruzione della storia dell’umanità”.                                                                     

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Svizzera – Santa Sede, una intesa basata sul multilateralismo

La Svizzera si aggiungerà presto ai Paesi che hanno una rappresentanza residente presso la Santa Sede a Roma. Dopo l’udienza di Papa Francesco al Corpo Diplomatico, Denis Knobel, ambasciatore della Confederazione Elvetica presso la Santa Sede, in una intervista a Vatican News ha definito gli obiettivi comuni della diplomazia elvetica e di quella presso la Santa Sede, e sottolineato come il multilateralismo sia un tratto comune delle due diplomazie.

In particolare, Knobel ha sottolineato che il fatto che il Papa abbia menzionato la Svizzera e il fatto che voglia aprire una ambasciata residente è “un qualcosa di veramente nuovo, eccezionale”, e che quella dell’apertura della rappresentanza a Roma è “un lungo processo che abbiamo intrapreso da due anni, per celebrare e intensificare le nostre relazioni diplomatiche e politiche, nonché celebrare il ristabilimento delle nostre relazioni un secolo fa”.

La Svizzera è teatro anche di diversi incontri internazionali, tra cui il bilaterale che c’è stato tra Russia e Stati Uniti. Per Knobel, l’impegno per il multilateralismo è qualcosa che accomuna i due Stati, sebbene ci sia “un apporto differente, poiché è chiaro che il Papa, andando in Iraq, ha un altro modo di comunicare, un altro modo di portare un contributo di quello della Svizzera, la quale ha naturalmente la tradizione umanitaria e quella della città di Ginevra come città di multilateralismo, per via della presenza delle Nazioni Unite”.

Insomma, ha concluso Knobel, “la Svizzera è là. Siamo una piattaforma, siamo un Paese che si impegna a contribuire, e abbiamo gli stessi obiettivi, d’altronde congruenti, tanto che si può delineare una certa complementarietà nei nostri strumenti”.

Bielorussia, il viceministro degli Esteri incontra il Cardinale Parolin

C’era anche il viceministro degli Esteri bielorusso Sergei Aleinik, lo scorso 10 gennaio, all’incontro di Papa Francesco con il corpo diplomatico. Aleinik ha anche la funzione di ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Bielorussia presso la Santa Sede.

Dopo l’udienza, Aleinik ha avuto anche un colloquio con il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano. Secondo un comunicato del ministero degli Affari Esteri di Minsk, sono “state discusse questioni di attualità della cooperazione bilaterale, della cooperazione all’interno delle organizzazioni internazionali e degli sforzi congiunti per rafforzare il dialogo interreligioso”.

Il viceministro Aleinik ha anche incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, e il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Siria, incontro dell’ambasciatore di Siria con il Cardinale Parolin

In questa settimana, Hussam Al-Dine Ala, ambasciatore di Siria presso la Santa Sede, ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. L’incontro è avvenuto nella settimana in cui Papa Francesco ha incontrato il Corpo diplomatico, includendo la Siria, per il decimo anno consecutivo, tra le nazioni sulle quali c’è una speciale attenzione.

Secondo il ministero degli Esteri siriano, l’ambasciatore Ala e il Cardinale Parolin hanno passato in rassegna gli sviluppi generali in Siria e i grandi sforzi compiuti dallo Stato siriano per soddisfare i bisogni primari dei suoi cittadini e facilitare il ruolo dei profughi siriani in patria. Si è parlato anche degli ostacoli che i siriani “devono affrontare a causa dell’unilateralità delle misure coercitive che colpiscono il cittadino siriano nella sua vita”. Il riferimento è alle sanzioni contro la Siria, che da tempo Caritas Internationalis chiede di sospendere, e cui anche il Papa ha fatto riferimento nel suo discorso al corpo diplomatico del 10 gennaio.

L’ambasciatore ha anche “accusato le occupazioni statunitense e turche di aver prolungato la crisi in Siria e aggravato la sofferenza umana”, e in particolare puntato il dito contro gli Stati Uniti che “continuano a sostenere le milizie separatiste e a sponsorizzare la fuga di risorse naturali e il loro contrabbando attraverso il confine per rafforzare l’embargo sulla Siria”.

L’ambasciatore Ala ha anche sottolineato che “il governo siriano desidera arrivare a stabilità perseguendo la riconciliazione nazionale e completando la liberazione dei territori siriani dal terrorismo e dall’occupazione”. La Siria ha chiesto anche il sostegno della Santa Sede al lavoro del Comitato che sta discutendo la Costituzione.

Da parte sua, il Cardinale Parolin ha affermato che Papa Francesco “è ansioso di porre fine alle sofferenze del popolo siriano revocando le sanzioni economiche e portando avanti l’aspetto politico e il lavoro della Commissione Costituzionale”.

                                                            FOCUS ASIA

Azerbaijan, i membri dell’Ufficio Musulmano del Caucaso visitano Papa Francesco

Lo scorso 13 gennaio, Papa Francesco ha ricevuto una delegazione guidata dal presidente dell’Ufficio Islamico del Caucaso, Sheikhulisilam Allanshujkur Pashazade. Dopo un incontro faccia a faccia con Pashazade, il Papa ha incontrato i capi delle confessioni religiose in Azerbaijan, accompagnate da Rahman Mustafayev, ambasciatore azero presso la Santa Sede (residente in Francia). Insieme a lui, anche l’archimandrita Alexey Nikonorov, segretario della diocesi di Baku e Azerbaijan della Chiesa Ortodossa Russa; e il vescovo Vladimir Fekete, ordinario della prefettura apostolica della Chiesa Cattolica in Azerbaijan.

Tra i principali temi di discussione, il dialogo interreligioso, la presentazione di informazioni sulle differenti comunità religiose che vivono in Azerbaijan, la discussione delle prospettive future di cooperazione bilaterale tra l’Azerbaijan e la Santa Sede.

L’Azerbaijan ha annunciato che ha intenzione di aprire una ambasciata residente a Roma nel prossimo futuro.

Corea del Sud, una lettera del Papa al fondo di condivisione dei vaccini

Lo scorso 23 dicembre, Papa Francesco ha inviato una lettera all’arcidiocesi di Seoul per plaudire all’iniziativa del Movimento per la Condivisione dei Vaccini. “Esprimo mia sincera gratitudine per il fondo di condivisione dei vaccini a chi è nel bisogno – ha scritto Papa Francesco – e trasmetto la mia intimità spirituale a tutte le comunità dell’arcidiocesi di Seoul”.

L’arcidiocesi di Seoul aveva inviato lo scorso 17 dicembre 1 milione e 335 mila dollari, raccolti attraverso la campagna di condivisione del vaccino, avviata per il 200esimo anniversario di padre Sung Kim Dae-geon, inviando 1 milione di dollari al Vaticano nel giugno e l’ottobre dello scorso anno. Fino ad ora, dunque, la Corea del Sud ha donato per il Fondo di condivisione dei vaccini 3 milioni 335 mila dollari. I fondi saranno utilizzati dalle associazioni di beneficenza del Papa per aiutare i bisognosi.

                                                FOCUS EUROPA

Un anniversario importante: il riconoscimento di Croazia e Slovenia

Il 13 gennaio 1992, 30 anni fa, la Santa Sede ufficializzò il riconoscimento delle Repubbliche di Croazia e Slovenia quali stati sovrani e indipendenti. La Santa Sede anticipò di due giorni la decisione degli Stati della Comunità Europea (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo, Olanda, Germania, Portogallo, Spagna e Regno Unito). Anche Canada, Ungheria, Malta, Polonia e Svizzera riconobbero le due repubbliche più tardi rispetto alla Santa Sede.
Nella nota consegnata alle autorità federali di Belgrado, la Santa Sede ci teneva a sottolineare che il riconoscimento delle due Repubbliche non era un gesto ostile nei confronti della Yugoslavia, tanto che l’arcivescovo Gabriel Montalvo continuò la sua missione di rappresentante pontificio nella ormai ex Jugoslavia.

Per tutta risposta, Belgrado destituì il suo ambasciatore presso la Santa Sede, Ivica Maštruko.

Quella della Santa Sede non era, comunque, una decisione improvvisa. Già alla fine del novembre 1991, la Santa Sede aveva indirizzato un memorandum ai Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e sulla Cooperazione in Europa, chiedendo un riconoscimento “concertato e condizionato” e “non in ordine sparso delle due repubbliche”. Giorgio Rumi, in un commento sull’Osservatore Romano il giorno dell’annunciò, sottolineò che “i casi della Jugoslavia mostrano incontrovertibilmente il realismo del principio di autodeterminazione, non mai separabile dai diritti delle minoranze come dalle aspettative dell’intera regione”.

Monsignor Piero Pennacchini, allora direttore della Sala Stampa della Santa Sede, spiegò le ragioni della decisione della Santa Sede, e sottolineò che questa, in caso di altre richieste da parte di nazioni della ex Jugoslavia, avrebbe applicato gli stessi criteri stabiliti per Croazia e Slovenia.

Pennacchini spiegò anche che la Santa Sede aveva posto delle condizioni a Zagabria e Lubiana perché la loro indipendenza fosse riconosciuta. E queste erano: rispetto di tutti i principi dell’Atto Finale di Helsinki e della Carta di Parigi; rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali come sanciti dai documenti internazionali, in particolare quelli delle Nazioni Unite, della CSCE e del Consiglio d’Europa; impegno ad attuare le disposizioni nei documenti della CSCE relativi ai principi e alle istituzioni democratiche; accettazione formale delle decisioni dei documenti della CSCE nelle riunioni di Copenaghen e di Ginevra sulle minoranze nazionali; accettazione del controllo, da parte di alti funzionari della CSCE, dell’applicazione delle misure relative alle minoranze nazionali.

Il comunicato vaticano sottolineava anche che “giacché la Comunità europea aveva proceduto sulle stesse linee nel sottoporre il riconoscimento a certe esigenze da chiarire entro il 23 dicembre, i governi croato e sloveno hanno dato rapidamente la loro risposta alla nota di riconoscimento condizionato da parte della Santa Sede. La Santa Sede ha inoltre auspicato che, con il loro ingresso nella comunità delle nazioni quali Stati sovrani ed indipendenti, la Croazia e la Slovenia sappiano contribuire alla pacificazione della regione dei Balcani e alla costruzione di un mondo più fraterno e solidale”.

Croazia e la Slovenia avevano proclamato la loro indipendenza il 25 giugno 1991, riconoscendosi a vicenda. Il primo Paese a riconoscere la loro indipendenza fu la Lituania, a sua volta non ancora riconosciuta dalla comunità internazionale. Il primo Paese membro delle Nazioni Unite (e della NATO) a riconoscere l’indipendenza di Zagabria e Lubiana fu l’Islanda, il 9 gennaio 1991 (lo stesso giorno la decisione fu presa dalla Germania che però attese il 15 gennaio per attuarla). Il 22 maggio 1992 La Croazia e la Slovenia vennero accolte nell’ONU. Oggi entrambi gli Stati sono membri dell’Unione europea, la Slovenia dal 2004 e la Croazia dal 2013.
Il 1º gennaio del 2007 la Slovenia ha adottato l’euro al posto del tallero come mezzo di pagamento. Il 21 dicembre 2007, Lubiana aderì pure allo Spazio Schengen. La Croazia è nel processo. Zagabria intende sostituire la kuna con l’euro il 1º gennaio del 2023 e a essere inclusa nello Spazio Schengen entro la fine del 2024

Papa Francesco incontrerà il presidente di turno della Bosnia

Il 17 gennaio, Papa Francesco incontrerà il presidente di turno della Bosnia Željko Komšić. Sarà il secondo incontro tra i due. Komšić ha infatti fatto visita al Papa il 15 febbraio 2020, mentre nel 2019 era stata la volta del presidente Dodik dal Papa.

Nel colloquio del febbraio 2020, era stato sottolineato che la Santa Sede avrebbe continuato a fornire un sostegno politico – costruttivo alla Bosnia Erzegovina come Stato multi-etnico. In particolare, si sottolineava nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, nel colloquio erano “stati toccati alcuni temi di comune interesse riguardanti l'ambito internazionale e regionale, quali la pace e la sicurezza, la necessità di favorire percorsi di dialogo per affrontare le diverse sfide nei Balcani occidentali e le prospettive per l'allargamento dell'Unione Europea alla regione".

Sul tavolo c’è anche una proposta della Grecia di istituire una “cabina di regia” sui Balcani con la mediazione della Santa Sede, che includerebbe anche la Bosnia. La Santa Sede ha comunque appoggiato un eventuale allargamento europeo, nonché la necessità di una migliore integrazione degli Stati balcanici.

Cruciale, per la Bosnia, sarebbe una nuova Costituzione. Al momento, la presidenza dlelo Stato rappresenta le tre etnie principali: quella bosgnacca (musulmana), quella serba (ortodossa) e quella croata. Komsic, in quota croata, è stato anche oggetto di polemiche, perché non è stato eletto con il voto dei croati, bensì da quello dei musulmani, grazie ad uno stratagemma permesso dalla legge elettorale e organizzato dalla dirigenza dell’SDA, dimostratosi vincente già nel 2006 e nel 2010.

                                                 FOCUS MULTILATERALE

Santa Sede all’OSCE: “Le sfide alla stabilità e alla sicurezza non vengono da fuori Europa”

Il 13 gennaio, si è tenuto il 1350esimo incontro speciale del Consiglio Permanente dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa.

Nel suo intervento, monsignor Janusz Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede all’OSCE, ha sottolineato che la Santa Sede ritiene che l’organizzazione possa e debba continuare a giocare un ruolo decisivo nel fornire sicurezza e stabilità nella sua area e oltre, secondo la sua natura e scopo di una organizzazione di sicurezza regionale.

La Santa Sede denuncia che le minacce a stabilità e sicurezza non vengono da fuori della regione OSCE, e che lo stesso Papa Francesco, durante il suo discorso al Corpo diplomatico, si è detto preoccupato riguardo “la diminuita efficacia di molte organizzazioni internazionali” nell’affrontare alcune sfide internazionali”, puntando in particolare il dito contro le agende a favore dei nuovi diritti.

La Santa Sede dice di apprezzare che la presidenza polacca abbia annunciato di volersi “assicurare che tutte le voci siano ascoltate e tutti i consigli presi in considerazione”, e mete di nuovo in luce che si possono affrontare le sfide con efficacia “solo attraverso il consenso, che richiede una volontà di ascoltare con cura e di prendere in dovuta considerazione gli argomenti di tutti gli Stati partecipanti”.

La Santa Sede mette in luce che le regole dell’OSCE per prendere decisioni hanno “permesso ai 57 Stati partecipanti di raggiungere il consenso in un grande numero di temi”, e che questo impatto può ancora essere importante per affrontare le sfide di oggi.

Accogliendo la presidenza polacca, la Santa Sede chiede di mantenere focus ed enfasi sula libertà religiosa, sottolineando che l’insistenza sulla libertà religiosa è un “dovere distintivo della Santa Sede e chiedendo grande attenzione al tema della “sempre crescente intolleranza e discriminazione contro cristiani, ebrei, musulmani e membri di altre religioni”.

Si tratta di fenomeni “deprecabilI, che non solo costituiscono una violazione della libertà religiosa, ma che possono far sviluppare violenza e conflitti su scala più ampia”, mettendo così a rischio “sicurezza e stabilità dell’area OSCE e infine mettendo a rischio le relazioni pacifiche tra gli Stati membri”.

La Santa Sede plaude alla prospettiva basata sull’uomo che la presidenza polacca ha detto di voler perseguire, perché questa “aiuterà a dare piena attenzione a tutte le vittime di violenza, riconoscendo allo stesso tempo la specificità dell’intolleranza e della discriminazione contro cristiani, ebrei, musulmani e membri di altre religioni e affronti i bisogni speciali delle comunità religiose sotto attacco”.