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Diplomazia pontificia, contatto Papa Francesco – Putin. Un nuovo osservatore a Ginevra

Alla fine, è stato il presidente Putin a chiamare Papa Francesco per gli auguri di compleanno. L’arcivescovo Nwachukwu nominato osservatore permanente a Ginevra.

Papa Francesco e Putin | Papa Francesco e Vladimir Putin, 25 novembre 2013
 | ©POOL/CATHOLICPRESSPHOTO Papa Francesco e Putin | Papa Francesco e Vladimir Putin, 25 novembre 2013 | ©POOL/CATHOLICPRESSPHOTO

Alla fine, c’è stata la telefonata tra Papa Francesco e Putin. Ma non è stato il Papa a chiamare per parlare della crisi ucraina, come si era ventilato, quanto piuttosto Putin a prendere l’iniziativa e a fare una telefonata di auguri di compleanno il 17 dicembre.

Papa Francesco ha nominato un nuovo osservatore permanente presso le organizzazioni internazionali di Ginevra. Le Chiese di Terrasanta in una nota lamentano le nuove restrizioni sul coronavirus e l’attività di acquisizione di terre nel quartiere cristiano di radicali, con una nota che il Ministero degli Esteri di Israele definisce “oltraggioso”. Prove di dialogo tra i vescovi argentini e la presidenza, dopo la legge sull’aborto che aveva creato uno strappo.

                                                            FOCUS RUSSIA

Contatto Papa Francesco – Putin

Prima un telegramma di congratulazioni, poi una telefonata. Il presidente russo Vladimir Putin festeggia così il compleanno di Papa Francesco, con una mossa che tra l’altro ha il compito di cancellare le speculazioni su una conversazione telefonica che il Papa avrebbe chiesto per parlare della situazione ucraina, oggetto di un sentito appello all’Angelus del 10 dicembre.

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Andiamo con ordine. Il Cremlino ha reso noto il testo di un telegramma inviato dal presidente Putin a Papa Francesco in occasione del suo 85esimo compleanno. Putin sottolineava nel telegramma che tutta la vita del Papa “è stata dedicata alla promozione di alti valori spirituali e morali”, e che “è difficile sopravvalutare il suo contributo allo sviluppo delle relazioni tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica romana e al rafforzamento dei legami russi vaticani.

E ancora, il presidente russo sottolinea di avere “molti piacevoli ricordi dei nostri incontri e dei nostri costruttivi e significativi colloqui”, e si è detto fiducioso che “lavorando insieme potremo fare molto per proteggere i diritti e gli interessi dei cristiani e per mantenere il dialogo interreligioso”.

Infine, Putin comunica al Papa di avergli fatto mandare, come dono per gli 85 anni, una scultura di Fëdor Dostoevskij, che Papa Francesco conosce bene, nel 200esimo anniversario dalla sua nascita.

Successivamente, l’agenzia di stampa russa Tass ha reso noto di una telefonata di Putin a Papa Francesco, che avrebbe evidenziato l’alta autorità di Papa Francesco nel mondo, nonché “il suo grande contributo personale allo sviluppo delle relazioni tra Russia e Vaticano”, relazioni che – ha rimarcato il servizio stampa del Cremlino – “sono caratterizzate da un alto livello di comprensione reciproca e somiglianza di posizioni su molti problemi del nostro tempo”.

Sempre la Tass sostiene che Papa Francesco e Putin hanno “convenuto di continuare gli sforzi congiunti volti a sostenere i valori morali e umanitari fondamentali”.

Il contatto avviene un giorno dopo quello che sarebbe dovuto essere un colloquio telefonico tra Papa Francesco e Putin, che si rumoreggiava avrebbe avuto luogo il 16 dicembre su sollecitazione – filtrava da Oltrtetevere – proprio da Papa Francesco.

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Il Papa, infatti, dopo l’appello in favore dell’Ucraina all’Angelus del 10 dicembre, che faceva seguito a notizie dell’ammassamento di truppe russe al confine con l’Ucraina, avrebbe voluto esprimere direttamente al presidente Putin la sua preoccupazione per l’ipotesi di una invasione russa dell’Ucraina.

La notizia della possibile telefonata arriva in un momento favorevole delle relazioni tra Russia e Santa Sede, e appena un mese dopo un viaggio dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, a Mosca, con diversi incontri bilaterali.

La visita di Gallagher in Russia, la presenza del ministro degli Esteri russo Lavrov a Roma per il G20, alcune dichiarazioni congiunte hanno fatto pensare anche ad una possibile visita di Putin in Vaticano, per quello che sarebbe stato il suo quarto incontro con il Papa, dopo le visite del 25 novembre 2013, del 10 giugno 2015 e del 4 luglio 2019.

I rapporti Russia – Santa Sede continuano la prossima settimana, con l’arrivo a Roma del metropolita Hilarion. Questi, direttore del Dipartimento delle Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, sarà in udienza da Papa Francesco il 22 dicembre. Lo stesso Papa aveva anticipato la visita nella conferenza stampa di ritorno dalla Grecia il 6 dicembre, sottolineando che si stava preparando un secondo incontro tra lui e il Patriarca Kirill e che per quell’incontro lui era anche disposto ad andare a Mosca.

L’incontro avrà probabilmente luogo in Kazakhstan, il prossimo settembre, al Festival delle Religioni dove si Papa Francesco che il Patriarca Kirill sono stati invitatti.

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Un nuovo osservatore della Santa Sede a Ginevra

Dopo diversi anni da nunzio in America Centrale e nei Caraibi, torna in Europa l’arcivescovo Fortunatus Nwachukwu, già capo del protocollo della Segreteria di Stato vaticana sotto Benedetto XVI, che viene chiamato al prestigioso incarico di Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite ed istituzioni specializzate a Ginevra e presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio e rappresentante della Santa Sede presso l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni.

Nigeriano, classe 1960, l’arcivescovo Nwachukwu è sacerdote dal 1984 ed è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1994. Ha servito nelle nunziature di Ghana, Paraguay, Algeria e Ginevra, e poi è stato chiamato nella Seconda Sezione della Segreteria di Stato vaticana. Ha un dottorato in diritto canonico sulla logica della diplomazia pontificia basato su una case history sulle relazioni tra Israele e Santa Sede.

Capo del Protocollo della Segreteria di Stato dal 2007 al 2012, l’arcivescovo Nwachukwu stato poi nunzio in Nicaragua dal 2012 al 2017, e dal 2017 ad oggi nunzio a Trinidad e Tobago, Antigua e Barbuda, Barbados, Dominica, Jamaica, Saint Kitts and Nevis, St. Vincent and the Grenadine, delegato apostolico alle Antille, cui si sono aggiunti nel 2018 gli incarichi di nunzio a St. Lucia, Grenada e Bahamas, Suriname e Belize, nonché quello di rappresentante plenipotenziario della Santa Sede presso la Comunità dei Caraibi.

Santa Sede all’ONU di Ginevra, sulla restrizioni di alcune armi

Il 14 dicembre, la Missione della Santa Sede a Ginevra ha parlato alla Sesta Revisione della Convenzione sulla Proibizione dell’Uso di alcune armi convenzionali che possono avere effetti indiscriminati. È un tema importante, perché la Santa Sede in questo modo porta avanti anche il suo impegno verso l’utopia di un disarmo integrale.

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La Santa Sede si è chiesta quale differenza la convenzione (CCW in sigla) ha fatto per i civili nelle aree in conflitto, e ha chiesto di ricordare che c’è un collegamento diretto tra le decisioni prese nel CCW e l’impatto sulle persone sul territorio, e che “le decisioni deboli e la parziale o totale mancanza di implementazione degli obblighi solenni presi possono avere costi in termini di vite umane”.

Secondo la Santa Sede, il “cosiddetto bilancio tra le considerazioni umanitarie e militari è quasi impossibile da definire e ancora meno da determinare finché non si sono visti i risultati di una operazione militare”. Ma “quanti morti, feriti e disabili saranno necessari prima che condanniamo come inaccettabile un certo comportamento militare e determiniamo che quel bilancio è stato rotto?”

La Santa Sede sottolinea che la conferenza offre “una opportunità di fare una valutazione onesta della rilevanza di questo trattato e dei suoi protocolli nel mondo reale”, perché sia il CCW e i suoi protocolli “sono intesi essere parte della fabbrica di legge umanitaria internazionale, che non è un fine in se stesso, ma un mezzo per proteggere i civili nei conflitti armati”.

Ma la conferenza, continua la Santa Sede, dovrebbe anche guardare al futuro, altrimenti rischia di “congelare”, e questo è importante in un mondo “costantemente in cambiamento, particolarmente in termini di tecnologie emergenti e delle loro applicazioni militari”.

Sono tre i temi elaborati dalla Santa Sede. Il primo riguarda i resti degli esplosivi che “non pongono solo problemi di sicurezza per la popolazione locale, ma anche problemi regionali”. Quindi, il traffico illecito di “armi piccole e leggere”, che sono diventate sempre meno convenzionali e sempre più “armi di distruzione di massa” e di sfollamento.

Il terzo tema riguarda la ricerca e lo sviluppo di nuove armi, che presenta importanti sfide, perché queste includono anche “sistemi di armi laser”, tecnologia radio e di altre frequenze, armi antisatellite e persino l’uso di cyber a scopo malevolo, fino all’uso delle LAWS (le armi automatiche letali) e di intelligenza artificiale per scopi di guerra.

Per la Santa Sede, è dunque legittimo chiedere quali siano le sfide “legali, etiche e di sicurezza” intorno al loro uso potenziale, e per questo chiede a tutte le parti che si stanno impegnando nel CCW di prestare attenzione affinché prevalgano “considerazioni etiche ed umanitarie” .

Il tema delle LAWS è da tempo nell’interesse della Santa Sede, che ha anche redato un position paper sul tema depositato nella conferenza.

La Santa Sede ribadisce che “il collegamento della sicurezza nazionale all’accumulazione delle armi” è parte di una logica “falsa”, perché “mentre ci sono comprensibili preoccupazioni per una effettiva sicurezza e il legittimo diritto a difendersi”, la logica del credere “che la sicurezza e la pace di alcuni possano essere separati dalla sicurezza collettiva e dalla pace degli altri” è una autosconfitta, e questa è “una delle lezioni che la pandemia di COVID 19 ha tragicamente dimostrato.

Secondo la Santa Sede, il CCW ha “un importante posto e ruolo nel sistema internazionale”, ed ha moltissime sfide davanti a sé. Dunque “la scelta di compromessi convenienti, ingiusti o inefficienti, o anche peggio l’inazione, è un rischio molto serio che priverà il CCW della sua credibilità”.

La Santa Sede a Ginevra, la questione delle LAWS

Da tempo, la Santa Sede ha messo in luce la questione delle LAWS, le armi automatiche di piccolo taglio, e le loro conseguenze etiche, perché di fatto un uomo che guida un drone non sente la responsabilità di una vita che toglie. Il tema è stato rimesso al centro in un intervento il 15 dicembre alla Conferenza di revisione del CCW, dove è intervenuto il capo delegazione della Santa Sede, monsignor John Putzer.

Quello della Santa Sede è un grido di dolore, perché “i diversi giorni disponibili per la discussione, comparati con i suoi modesti risultati” non possono che essere “un segno allarmante”, che mostra come le LAWS stiano diventando un tema di interessi politici e militari.

La Santa Sede ritiene dunque urgente, per prevenire una corsa alle armi che non farebbe che “accrescere ineguaglianze e instabilità”, che il CCW adotti una agenda “ambiziosa” e che guardi avanti.

Riguardo il position paper della Santa Sede, monsignor Putzer sottolinea che questo mette in luce “alcune preoccupazioni etiche e legali” riguardo l’uso di queste armi, e che “dal punto di vista della Santa Sede, è imperativo assicurare una supervisione adeguata, significativa e consistente” sui sistemi di armi, perché “solo gli umani possono vedere i risultati delle loro azioni e comprendere le connessioni tra causa ed effetto”.

Una significativa supervisione umana – continua la Santa Sede – implica che “alla fine, si faccia riferimento sempre alla persona umana che deve guidare lo sviluppo della ricerca, e usare i sistemi di armi, anche in assenza di specifici regolamenti”.

Questo significa anche che “in nessun momento i sistemi di armi debbano avere la capacità di contraddire ciò che l’autorità umana ha definito come il principale scopo o risultato dell’intervento”, anche perché questo sarebbe in contrasto con il fatto che un sistema sia progettato per un certo scopo e poi agisca diversamente.

Per la Santa Sede, la Conferenza di Revisione è l’occasione per “prendere decisioni ambizioni”, che vadano oltre “uno strumento legalmente vincolante per affrontare le sfide dei LAWS”. In pratica, la Santa Sede chiede di considerare di “stabilire l’Organizzazione Internazionale per l’Intelligenza Artificiale”, per “facilitare ed assicurare il diritto di tutti gli Stati a partecipare al massimo scambio possibile di informazioni scientifiche e tecnologiche per usi pacifici per il bene comune”.

La Santa Sede sottolinea che “nel mezzo della pandemia globale, è importante porre le tecnologie emergenti al servizio dell’umanità”, e dunque la ricerca dovrebbe “essere orientata a combattere le vere sfide che colpiscono la comunità internazionale”, che non saranno vinte con “lo sviluppo di sofisticati sistemi di armi”, ma dal “mettere le tecnologie al servizio della persona umana”.

La Santa Sede a Ginevra, la questione delle migrazioni

È stato il Cardinale Michael Czerny, sottosegretario della sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Integrale, a guidare la delegazione della Santa Sede agli incontri degli ufficiali di Alto Livello a Ginevra lo scorso 15 dicembre.

Nel suo discorso, il Cardinale Czerny ha sottolineato che la Santa Sede reitera il suo supporto all’Accordo Globale per i Rifugiati, ma che, due anni dopo questo accordo è stato siglato, vorrebbe anche porre alcune questioni.

La prima: è stato migliorato l’accesso alla protezione dei rifugiati, soluzioni durevoli e condivisione equa delle responsabilità e dei pesi? La seconda. In che modo la pandemia ha avuto un impatto sulla possibilità degli Statti di portare avanti gli obiettivi?

Il cardinale sottolinea che innegabilmente “la pandemia è diventata una crisi di protezione ed ha tardato il raggiungimento di soluzioni durevoli”, ma allo stesso tempo “ha aiutato a richiamare l’attenzione a parti del sistema di protezione internazionale che necessitano di rafforzamento e riforme”.

Eppure, nonostante ci siano “opportunità davanti a noi”, resta il pericolo che “restiamo indifferenti alla sofferenza dei rifugiati”, e che, soffocati dal sempre crescente numero di sfollati, possiamo facilmente dimenticare che “sono persone umane e famiglie in cerca di sicurezza e pace”.

Il Cardinale Czerny nota anche che “i nuovi e persistenti conflitti e ingiustizie dietro gli esodi di massa dovrebbero portarci a una profonda riflessione sulle loro cause”.

Il Cardinale ricorda le parole di Papa Francesco a Cipro e in Grecia, quando ha parlato di “naufragio di civiltà” e ha detto che questo deve portarci anche a “riconoscere la generosità e la solidarietà mostrata da nazioni che continuano ad accogliere e ospitare persone sfollate”, così come le nazioni “che hanno preso impegni concreti, in particolare, nell’accrescere le quote di sfollati e nell’assicurare l’educazione per i giovani rifugiati”.

Santa Sede a Ginevra, sulla situazione in Etiopia

La Santa Sede è intervenuta lo scorso 17 dicembre al Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra a una sessione speciale sulla grave situazione dei diritti umani in Etiopia.

Nel suo intervento, la Santa Sede ha fatto sapere di aver seguito “con grande attenzione e profonda preoccupazione gli sviluppi sulla grave situazione del conflitto e della violenza che stanno avendo luogo in Etiopia”.

In particolare, la Santa Sede fa sapere di essere “particolarmente preoccupata per le gravi implicazioni umanitarie del conflitto”, e chiede a tutti quanti hanno un interesse nella regione di “assicurare l’accesso della popolazione civile ai servizi basi ed essenziali laddove sono necessari”.

Infine, “la Santa Sede, sperando in soluzioni pacifiche e rapide alle attuali, rimane fiduciosa che il dialogo, in spirito di fraternità, possa sviluppare la tanto desiderata pace”.

                                                FOCUS EUROPA

Francesco Di Nitto nuovo ambasciatore di Italia presso la Santa Sede

Nella delegazione che ha accompagnato il presidente Sergio Mattarella da Papa Francesco, c’era anche Francesco Di Nitto, consigliere diplomatico aggiunto della Presidenza della Repubblica, al Quirinale dal 2013. Sarà lui a prendere il posto di Pietro Sebastiani come ambasciatore di Italia presso la Santa Sede. Lo ha presentato lo stesso Mattarella a Papa Francesco in questa nuova veste, anche se poi ci sarà ovviamente il tempo per una udienza privata alla presentazione delle lettere credenziali.

L’ambasciatore Di Nitto, 59 anni, già nel 2007 era stato nominato Primo consigliere dell’ambasciata di Italia presso la Santa Sede. Dal 2011 al 2013 è stato consigliere diplomatico aggiunto del presidente del Consiglio.

L’ambasciatore Di Nitto prende il posto dell’ambasciatore Pietro Sebastiani, che termina il suo incarico. Nel servizio diplomatico dal 1984, l’ambasciatore Sebastiani era stato rappresentante permanente italiano nelle Organizzazioni delle Nazioni Unite in Italia, ambasciatore in Spagna, direttore generale per la Cooperazione Italiana allo Sviluppo e consigliere diplomatico del presidente della Camera dei Deputati Pierferdinando Casini.

Ambasciatore di Italia presso la Santa Sede dal 2017, Sebastiani ha ricevuto lo scorso 30 novembre il riconoscimento di Magister in cooperazione dalla Pontificia Università Lateranense.

Nominato il nuovo ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede

Sarà Andriy Yurash il nuovo ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede. Il capo del Dipartimento di Affari Religiosi ed Etnici del Ministero della Cultura è stato nominato per la prestigiosa posizione dal presidente Volodymyr Zelensky, con il decreto n. 654/2021 pubblicato sul sito del capo dello Stato il 14 dicembre”.

Yurash è uno studioso di religioni ucraino, esperto politico ed esperto nelle relazioni Stato-Chiesa, sociologia e geografia delle religioni.

È professore associato della Università Nazionale di Lviv Ivan Franko e della Università Nazionale di Pedagogia Dragomanov. Dal 2014 al 2020 ha lavorato al ministero della Cultura Ucraina.

Relazioni Serbia – Santa Sede sono stabili, dice il primo ministro Brnabic

Lo scorso 13 dicembre, Ana Brnabic, primo ministro di Serbia, ha detto che le relazioni tra Serbia e Santa Sede sono caratterizzate da mutuo rispetto e considerazione e non hanno questioni aperte.

Il Primo ministro ha parlato a margine di un colloquio con l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita.

Brnabic ha espresso speciale gratitudine alla Santa Sede per il supporto alla stabilità e alla prosperità dei Balcani occidentali e per l’interesse mostrato sull’attuale situazione nella regione.

Il Primo Ministro ha anche sottolineato che una della principali priorità di Serbia è una regione stabile e ben connessa, che offra migliori condizioni di vita e prospettive ai cittadini, e appoggiato l’iniziativa “Open Balkans”, Balcani aperti.

Brbabic si è detta grata alla Santa Sede per la posizione tenuta sulle regioni di Kosovo e Metohija (la Santa Sede non ha mai riconosciuto il Kosovo, nonostante i continui contatti e anche una visita del Cardinale Pietro Parolin nella regione).

Da parte sua, l’arcivescovo Paglia ha sottolineato che il dialogo, la cooperazione e lo sviluppo dei legami nella regione sono l’unico modo di perseguire la pace e la stabilità e ha sottolineato che la Santa Sede supporta questi sforzi, e allo stesso modo la Serbia, che è un pilastro dei Balcani occidentali. Secondo il presidente della Pontificia Accademia per la vita, la prospettiva europea “è importante per la Serbia e per l’intera regione”, e si è detto convinto della necessità di accelerare il processo di integrazione europea.

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

Le Chiese di Terrasanta attaccano Israele per il trattamento dei cristiani. Israele lo definisce “discorso di odio”

Patriarchi e capi delle Chiese cristiane di Terrasanta hanno denunciato, in una nota, che “frange di gruppi radicali in tutta la Terrasanta” dal 2021 continuano “aggressioni fisiche e verbali contro i sacerdoti, attacchi alle chiese, atti di vandalismo e profanazione contro i luoghi sacri, intimidazioni continue alla libertà di culto”, mostrando così “un tentativo sistematico di cacciare la comunità cristiana da tutta la regione”.

È una situazione che desta “grave preoccupazione”, specialmente – dicono i religiosi - di fronte “all'incapacità dei politici locali, dei funzionari e delle forze dell'ordine di frenare le attività dei gruppi radicali che regolarmente intimidiscono i cristiani locali, aggrediscono il clero e dissacrano i luoghi santi e le proprietà della Chiesa”.

La nota denuncia anche che i radicali continuano “ad acquisire proprietà strategiche nel quartiere dei cristiani, con l’obiettivo di diminuire drammaticamente la loro presenza”, usando spesso “accordi sottobanco e tattiche intimidatorie per sfrattare i residenti dalle loro case e interrompendo ulteriormente le storiche vie di pellegrinaggio tra Betlemme e Gerusalemme”.

Per Patriarchi e capi delle Chiese di Gerusalemme “il pellegrinaggio è un diritto di tutti i cristiani nel mondo”, che tra l’altro porta molti benefici economici (contabilizzati in 3 miliardi di dollari). Ma per ora, e fino al 22 dicembre, tutti sono impossibilitati ad entrare in Terrasanta per arginare la diffusione della pandemia da COVID 19.

I religiosi notano anche che “la comunità cristiana locale, “anche se piccola e numericamente in calo”, fornisce “una quantità sproporzionata di servizi educativi, sanitari e umanitari nelle comunità di Israele, Palestina e Giordania”, ed per questo che, con “l'impegno dichiarato di proteggere la libertà religiosa da parte delle autorità politiche locali di Israele, Palestina e Giordania”, i rappresentanti religiosi chiedono “un dialogo urgente”.

Due gli obiettivi del dialogo. Il primo è di affrontare la questione dei gruppi radicali a Gerusalemme, e quelle dello Stato di diritto, che possa garantire che “nessun cittadino o istituzione debba vivere sotto la minaccia di violenza e intimidazione”.

Il secondo è di iniziare un confronto sulla creazione di “una speciale zona culturale e patrimoniale cristiana per salvaguardare l'integrità del quartiere cristiano nella Città Vecchia di Gerusalemme”, per preservarne “il suo carattere unico e il suo patrimonio”, in favore “della comunità locale, della nostra vita nazionale e di tutto il mondo”.

Alla nota, il ministero degli Esteri di Israele ha diffuso una nota molto dura in cui “rigetta e condanna le accuse di qualunque tipo di discriminazione religiosa riguardo i permessi di ingresso in Israele”, e definisce queste “accuse infondate” come “oltraggiose, false e pericolose”.

Israele si aspetta che “i leader religiosi non si coinvolgano e promuovano un discorso di odio e incitamento senza basi che serve solo ad aggiungere benzina sul fuoco e che può portare violenza e c’è comunque un Comitato per le Eccezioni che “ha a che fare con centinaia di richieste ogni giorno”, esaminando “ogni richiesta senza pregiudizio o discriminazione nei confronti di ogni razza o religione”, e che negli ultimi giorni ha “dato numerosi permessi, a Ebrei e Cristiani”. Anzi, aggiunge il governo, alcune delle richieste approvate “erano quelle che venivano dalle autorità di Chiesa a Gerusalemme, inclusi permessi ai sacerdoti di entrare nella nazione per le festività natalizie”.
Israele si dice orgoglioso della sua “ardente devozione nel salvaguardare e promuovere la libertà di religione e culto” per tutti, e sottolinea di avere “una politica delle porte aperte che permette ai leader della Chiesa di discutere con importanti officiali governativi e autorità una varietà di questioni, inclusi i preparativi per Natale”.

Nel dire che il governo è coinvolto nei preparativi per Natale e gli altri eventi in modo “da permettere l’accesso ai luoghi santi per i devoti”, Israele dice di aspettarsi che “i leader religiosi rinuncino al discorso di odio”, e li invita al contempo a “continuare un dialogo regolare e fruttuoso con il governo di Israele”.

Il nunzio in Israele visita il Patriarcato ortodosso di Gerusalemme

Lo scorso 11 dicembre, l’arcivescovo Adolfo Tito Yllana, nunzio apostolico in Israele e delegato apostolico in Terrasanta, ha visitato il Patriarcato ortodosso di Gerusalemme nel quadro dello status quo, come visita di inizio mandato.

L’arcivescovo Yllana è stato ricevuto dal Patriarca Teofilo di Gerusalemme, e la conversazione ha riguardato la Chiesa di Cipro, dove c’è una esarchia del Patriarcato, e dove sono stati tenuti diversi incontri del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente.

L’arcivescovo Yllana – che è anche nunzio a Cipro, parte della Terrasanta – ha donato al Partiarca Teofilo un ricordo del recente viaggio di Papa Francesco a Cipro, mentre Teofilo ha donato una icona della Theotokos.

Libano, il Cardinale Rai attacca i politici

Nell’omelia dello scorso 12 dicembre, il Cardinale Bechara Boutros Rai, patrtiarca dei maroniti, ha accusato politici non identificati di usare il loro potere per fermare gli incontri del consiglio dei ministri dopo due mesi, servendo così poteri stranieri.

Il Consiglio dei Ministri sta ora lavorando per ricominciare i dialoghi con il Fondo Monetario Internazionale per chiedere un ulteriore prestito, e non si incontra dal 12 ottobre, nel mezzo di una polemica sulle indagini sull’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020. Hezbollah e i suoi alleati politici hanno chiesto di rimuovere l’investigatore capo dell’esplosione, accusandolo di pregiudizio politico.

L’intervento del Cardinale Rai, che non ha mancato di accusare Hezbollah in passato, ha detto di “rigettare completamente” lo scoraggiamento del Consiglio dei Ministro “in rottura della Costituzione attraverso il potere dell’influenza e l’intento di distruggere per servire interessi esterni”. Il Cardinale Rai da tempo è un attore politico riconosciuto in Libano, e ha portato sul tavolo del Papa anche la sua proposta per una neutralità attiva del Libano.

                                               FOCUS AMERICA LATINA

L’incontro dei vescovi argentini con Fernandez

Nella serata del 15 dicembre, il presidente argentino Alberto Fernandez ha ricevuto la commissione esecutiva della Conferenza Episcopale Argentina per il tradizionale saluto natalizio. Dalla promulgazione della legge per l’aborto, fortemente osteggiata dai vescovi, era il primo incontro che la presidenza guidata dal vescovo Oscar Ojea incontrava il presidente.

Oltre al presidente Ojea, per i vescovi hanno partecipato anche i vicepresidenti della Conferenza Episcopale, Marcelo Colombo e Carlos Azpiroz Costa, monsignor Alberto Bochatey, segretario generale, e don Maximo Jurcinovic, direttore della comunicazione. Da parte del governo erano invece presenti Santiago Cafiero, ministro delle Relazioni Esterne, Commercio Internazionale e Culto; Juan Zabaleta, ministro per lo Sviluppo Sociale; e Guillermo Oliveiri, segretario del Culto.

Si è trattato della classica udienza per lo scambio di auguri natalizi, che avviene rta l’altro nella cornice della 189esima riunione della Commissione Permanente della Conferenza Episcopale Argentina.

Come detto, è il primo incontro dopo le frizioni sulla legalizzazione dell’aborto, e lo scorso anno, come protesta, i vescovi non presero parte al consueto scambio di auguri natalizio con la presidenza. Per questo, la decisione del vescovo Ojea di chiedere udienza è stato considerato un segno di distensione con il governo, nella volontà di stabilire un dialogo.

Ora, il dibattitto Stato – Chiesa in Argentina si sposta su un altro progetto di legge, che è quello sull’eutanasia, proposto dai parlamentari radicali Alfredo Cornejo, Jimena Latorre e Alejandro Cacace. Il progetto si chiama “la Buona Morte”, e vole superare l’iniziativa per “la Morte Degna”, che – hanno detto i legislatori – è “incompleto in molti aspetti e trasforma la morte in indegna.

La Chiesa cattolica era interessata a conoscere la posizione del presidente e del governo rispetto alla normativa, con la speranza di non doversi impegnare in una nuova battaglia. La conversazione dei vescovi con il presidente ha riguardato anche il tetma della povertà.

                                    FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Il Cardinale Parolin alla quinta edizione del concorso internazionale Economia e Società

Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha presieduto il 16 dicembre la cerimonia della quinta edizione del concorso internazionale "Economia e società", promosso dalla Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice. Il premio è andato alle opere Recovering Common Goods, di Patrick Riordan (Dublin, Veritas 2017) e Ecología integral. La recepción católica del reto de la sostenibilidad. 1891 (Rerum Novarum) – 2015 (Laudato Sì), di Jaime Tatay (Madrid, Bibioteca de Autores Cristianos, BAC 2018). Si tratta di testi di due gesuiti, selezionati tra 30 opere da 13 Paesi di 4 continenti.

Nel suo intervento, il Cardinale Parolin ha sottolineato che“nessun progresso tecnologico può servire come criterio di valore", e che “quando bisogna scegliere tra diversi mezzi per un determinato fine - spiega - la ragione assistita dalla tecnica è in grado di sbrogliare la situazione”, ma “ci sono situazioni in cui bisogna scegliere tra fini diversi e in quei casi nessun mezzo tecnologico potrà fornire un criterio di valore sulla cui base scegliere”.

In questa cornice, ha detto il Cardinale, non stupisce che molti giovani si buttino in droghe o nell’alcol che "procurano un disinteresse su tutto ciò che concerne il mondo e su un discorso di valori, la ricerca di uno stordimento emotivo, di una pura distrazione, di un momentaneo sollievo".

Parolin sottolinea poi che “la logica di mercato tende a ricomprendere ogni bisogno dell’essere umano all’interno di una unica forma di pensiero: quella delle relazioni di scambio tra equivalenti", e così il consumo incide sempre più nelle scelte dei media.

La risposta è la Dottrina Sociale della Chiesa, la quale “può costituire la via per favorire una convergenza tra i tanti approcci alla questione etica in ambito sia economico che socio-politico. In quanto è un 'prendersi cura', uno ‘stare con’, prima ancora che l'attivazione ed enunciazione di regole; è una dimora, una casa".

Il fine della dottrina sociale è “l’ordine sociale, non solamente giusto ma anche fraterno", mentre "per bene comune si intende allora quello che si realizza assieme al bene degli altri, non già contro, né a prescindere dall’interesse degli altri". E così si oppone a ‘proprio’, come ‘pubblico’ si oppone a ‘privato’.”

Il Cardinale Silvano Maria Tomasi, Delegato Speciale del Sovrano Ordine di Malta è intervenuto con un ampio discorso di apertura osservando che, nella cosiddetta "quarta rivoluzione industriale", mentre le società di consulenza parlano di 'capitalismo più inclusivo', non si fa mai menzione della necessaria conversione morale. Tomasi indica nella "marginalizzazione dell'etica" e nella "privatizzazione della morale" fenomeni da non ripetersi, e mette in guardia sul rischio della "disumanizzazione dei modelli precedenti", specialmente alla luce degli sbilanciamenti ulteriori creati dalla pandemia.

Per questo, la Dottrina Sociale è un "antidoto alla malattia del profitto senza coscienza".