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Diplomazia Pontificia, la questione israelo-palestinese, la risposta al coronavirus

La Santa Sede ribadisce la sua posizione su “due popoli – due Stati”. La posizione sul coronavirus. Le celebrazioni di San Giovanni Paolo II

Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri vaticano | Vatican News Arcivescovo Paul Richard Gallagher | L'arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri vaticano | Vatican News

Per il centenario di San Giovanni Paolo II, l’Ambasciata di Polonia presso la Santa Sede ha raccolto le testimonianze di vari ambasciatori che ricordano il Papa polacco. Le celebrazioni sono avvenute in forma ridotta per via del coronavirus. È stato anche rinviato il consueto incontro di Papa Francesco con le delegazioni di Macedonia del Nord e Bulgaria in occasione della festa dei Santi Cirillo e Metodio, evangelizzatori d’oriente, che si celebra il 24 maggio secondo il calendario giuliano. Le delegazioni visitano anche San Clemente e Santa Maria Maggiore, dove ci sono le reliquie di San Cirillo e dove Papa Adriano II permise l’adozione dei libri in slavo. Quest’anno, andranno solo a San Clemente per via dell’emergenza coronavirus, posticipando la visita a Santa Maria Maggiore e l’incontro con il Papa.

Sono i segni di una ripresa dell’attività diplomatica dopo il coronavirus. In questa settimana: l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri vaticano, ha avuto una telefonata con il capo negoziatore palestinese. La Santa Sede è intervenuta all’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra. Il Papa ha nominato un nuovo nunzio in Bielorussia.

La Santa Sede sulla questione israelo-palestinese

Dopo che il governo israeliano di Benjamin Nethanyahu ha annunciato l’intenzione di annettere parte del territorio occupato in Cisgiordania, Mahmoud Abbas, presidente palestinese, ha annunciato la fine di tutti gli accordi con Israele e gli Stati Uniti. È in questo contesto che, lo scorso 20 maggio, Saeb Erekat, capo negoziatore e segretario generale dell’Organizzazione Mondiale per la Palestina, ha chiamato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per le relazioni con gli Stati.

Secondo un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, Erekat ha voluto informare la Santa Sede “circa i recenti sviluppi nei Territori Palestinesi e della possibilità che la sovranità israeliana venga applicata unilateralmente a parte di dette zone, cosa che comprometterebbe ulteriormente il processo di pace”.

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Da parte sua, la Santa Sede ha ribadito che “il rispetto del diritto internazionale, e delle rilevanti risoluzioni delle Nazioni Unite, è un elemento indispensabile affinché i due popoli possano vivere fianco a fianco in due Stati, con i confini internazionalmente riconosciuti prima del 1967”.

Si legge inoltre nel comunicato che la Santa Sede segue la situazione “attentamente”, ed è preoccupata “per eventuali atti che possano compromettere ulteriormente il dialogo”. La Santa Sede auspica inoltre che israeliani e palestinesi possano trovare “di nuovo, e presto, la possibilità di negoziare direttamente un accordo, con l’aiuto della comunità internazionale, e la pace possa finalmente regnare nella Terra Santa, tanto amata da ebrei, cristiani e musulmani”.

La Santa Sede aveva espresso questa posizione anche quando l’amministrazione USA aveva divulgato il piano “Peace to prosperity” lo scorso gennaio. Gli USA ribadiscono la soluzione dei due Stati, ma vogliono che Gerusalemme sia capitale “indivisa” da Israele. La Santa Sede punta invece al mantenimento dello status quo, e la Palestina è arrivata anche a chiedere di promuovere una conferenza su Gerusalemme, per ribadire il carattere internazionale della Città Santa.

Mahmoud Abbas ha ribadito il netto rifiuto della proposta di pace statunitense, e condannato la decisione dell’amministrazione Trump di trasferire l’ambasciata a Gerusalemme, riconoscendo la città come capitale di Israele.

Un rapporto di Oxfam ha notato che in Cisgiordania, intanto, si sono registrati 127 attacchi su civili palestinesi, mentre continuano le demolizioni di immobili ritenuti abusivi e gli sfollamenti forzati.

Coronavirus, l’intervento della Santa Sede all’Organizzazione Mondiale della Salute

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Si è tenuta in videoconferenza la 73esima Assemblea mondiale della Salute, programmata il 18 e 19 maggio 2020. La Santa Sede ha notato, nel suo intervento, l’impatto delle strutture cattoliche nella risposta alla crisi e ha chiesto di considerare l’importanza delle organizzazioni religiose.

A prendere la parola è stato l’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore della Santa Sede presso l’ONU ed alte organizzazioni internazionali a Ginevra.

L’arcivescovo ha notato che la situazione senza precedenti generata dal coronavirus “porta una nuova luce sull’interdipendenza tra le nazioni e, in particolare, sulla necessità di considerare la salute come un bene comune primario, che richiede solidarietà e azione coordinata a livello globale”.

L’arcivescovo ha notato che ci sono 5 mila ospedali cattolici e oltre 16 mila dispensari in tutto il mondo che lavorano per “appoggiare e rafforzare gli sforzi dei governi per dare assistenza sanitaria a tutti”. Inoltre, la Chiesa ha reso le sue strutture   “disponibili a supportare il responso globale alla pandemia del COVID 19”, mentre “dall’inizio della pandemia, molti ordini religiosi, parrocchie e sacerdoti sono stati in prima linea, prendendosi cura di quelli che sono stati contagiati e dei loro famigliari”.

La Santa Sede si è anche impegnata a dare un contributo al Fondo di Emergenza dell’OMS per la fornitura di equipaggiamento personale protettivo e ha già fatto diverse donazioni alle regioni che hanno bisogno di aiuto urgente, mentre la creazione della Commissione Vaticana Covid 19 testimonia un impegno forte da parte della Santa Sede.

La Santa Sede chiede all’OMS di mantenere un dialogo con gli ordini religiosi, e ricorda che “nel mezzo della pandemia, siamo tutti provocati a portare generosamente il meglio delle nostre abilità per affrontare la pandemia in tutti i suoi aspetti a in ogni parte del mondo”.

La Santa Sede supporta anche l’appello per un cessate il fuoco globale, lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e sostenuto da Papa Francesco.

Papa Francesco nomina il nunzio in Bielorussia

È monsignor Ante Jozic il nuovo nunzio in Bielorussia: la nomina è stata annunciata lo scorso 21 maggio. Monsignor Jozic era stato inizialmente destinato alla nunziatura in Costa d’Avorio, con nomina del febbraio 2019. Ma la sua ordinazione episcopale, prevista l’1 maggio, era saltata a causa di un brutto incidente stradale. Successivamente, era stato scelto monsignor Paolo Borgia come nunzio in Costa d’Avorio. L’ordinazione episcopale di Jozic era prevista per lo scorso 21 marzo, ma è stata posticipata a causa della pandemia. È arcivescovo titolare eletto di Cissa.

Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1999, monsignor Jozic ha servito nelle nunziature di India, Federazione Russa e Filippine. Dal 2009 al 2019 è stato a capo della Missione di Studio della Santa Sede ad Hong Kong. In pratica, monsignor Jozic era il collegamento tra la Santa Sede e le diocesi nelle 33 province di Cina.

Coronavirus, il no alle restrizione ai luoghi di culto in Francia

Era stato deciso che il divieto di riunirsi nei luoghi di culto sarebbe rimasto fino al 2 giugno. Ma, in seguito a un ricorso, il Consiglio di Stato Francese ha stabilito che il governo deve revocare questo divieto generale, ed emanare al suo posto misure strettamente proporzionate ai rischi per la salute, per cominciare una uscita dal confinamento.

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La decisione è stata accolta dalla Conferenza Episcopale Francese con un lettera scritta dall’arcivescovo Eric de Moulins Beaufort, presidente dei vescovi di Francia, al primo ministro. La lettera è stata inviata lo scorso 15 maggio, e chiedeva sostanzialmente al governo di rispettare la decisione del Consiglio di Stato.

Centenario di San Giovanni Paolo II

Lo scorso 18 maggio, sono ricorsi cento anni dalla nascita di San Giovanni Paolo II. L’ambasciata di Polonia presso la Santa Sede ha raccolto sulla sua pagina web una serie di ricordi di vari ambasciatori.

Callista Gingrich, ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, ha ricordato che Giovanni Paolo II è stato il primo Papa a visitare la Casa Bianca nel 1979, e che ha compiuto in tutto sette viaggi apostolici negli Stati Uniti. L’ambasciatore ha in particolare ricordato il primo viaggio di Giovanni Paolo II in Polonia, laddove “il suo grido per la libertà ha rappresentato una risorsa di forza per milioni di persone in tutto il mondo.

Bogdan Patashev, ambasciatore di Bulgari presso la Santa Sede, ha voluto invece sottolineare la decisione del Papa santo di proclamare i santi Cirillo e Metodio come “patroni d’Europa, insieme a San Benedetto, dando una chiara dichiarazione della sua visione dell’unità del continente europeo, allora separato dalla Cortina di Ferro.

Georges Poulides, ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede e decano del Corpo diplomatico accreditato, ha invece ricordato che Giovanni Paolo II “ha unito l’Europa dall’Atlantico agli Urali, ha cambiato il mondo, diventando artefice di una rivoluzione pacifica che si attendeva da tempo e che riguardava in special modo i giovani, la famiglia, le questioni sociali, il dialogo tra le religioni”, operando come “artigiano di pace”, ma anche incarnando “lo spirito del Concilio Vaticano II”, dando “nuovo impulso al dialogo interreligioso”.

“il suo straordinario magistero a favore del dialogo e della pace – ha proseguito Poulides - vive ancora dentro i nostri cuori, ancora oggi rappresenta una bussola sicura che ci indica la via della fratellanza e continua fonte di ispirazione per il nostro operato diplomatico”.

Nevan Pelicaric, ambasciatore di Croazia presso la Santa Sede, ha notato di poter dire con certezza che “dopo la Polonia, nessun altro Paese ha dedicato così tante chiese, istituzioni, monumenti e lapidi a Giovanni Paolo II come ha fatto la Croazia”.

Dall’ambasciata di Croazia è arrivata anche la testimonianza di Zlata Penic Ivanko, consigliere di ambasciata, la quale ha ricordato che Wojtyla “era un grande amico dei croati e a ha visitato la Croazia tre volte”.

L’ambasciatore di Ungheria presso la Santa Sede Eduard Habsburg Lothringen ha raccontato che “prima raffigurazione di San Giovanni Paolo II nella Basilica di San Pietro si trova proprio nella Cappella ungherese delle Grotte vaticane”, e che fu “Giovanni Paolo II a consacrare, quarant’anni or sono l’8 ottobre 1980, la nuova cappella dedicata alla Magna Domina Hungarorum”.

L’ambasciatore ha richiamato l’omelia di Giovanni Paolo II, il quale aveva sottolineato che “dall’opera dei santi che abbiamo commemorato è nata una civiltà europea basata sul Vangelo di Cristo, ed è scaturito un fermento per un autentico umanesimo, permeato di valori perenni, radicandosi, altresì, un’opera di promozione civile nel segno e nel rispetto del primato dello spirituale”.

Giovanni Paolo II inviò anche benedizioni agli ungheresi che al tempo erano di là della Cortina di Ferro, esortandoli a “conservare fedelmente e di accrescere sempre più le ricchezze spirituali del passato, e cioè il prezioso patrimonio religioso e il generoso amore alla patria”.

Jan Tombinsky, ambasciatore dell’Unione Europea presso la Santa Sede, polacco, ha invece ricordato come il Cardinale Wojtyla “era una figura ben nota e riconoscibile a Cracovia”, visibile e presente anche nelle grandi processioni che anche in tempo di comunismo fendevano la città di Cracovia. E ha notato come il cardinale non fosse considerato “attraente” per le omelie, perché “i giovani preferivano andare a Messa con una chitarra e cantare, cosa popolare negli Anni Settanta”.

Tombinsky ha raccontato che inizialmente le autorità comuniste videro nell’elezione di Wojtyla “la possibilità di ricostruire almeno parzialmente la fiducia sociale”, ma la visita del Papa nel 1979, che mostrò l’attaccamento dei polacchi alla Chiesa sfidando l’ideologia ufficiale, creò invece un corto circuito nel sistema.

L’ambasciatore Tombinsky era tra i giovani ammessi al servizio d’ordine, e notò un miliziano che chiese immagini del Papa per tutto il suo reparto.

Tombinsky ha poi sottolineato che l’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981 “fu percepito come un colpo diretto alle aspirazioni appena risvegliate del popolo polacco e al loro avvocato più importante sulla scena internazionale”, che portò anche ad una Marcia Bianca a Cracovia.

Tombinsky poté incontrare il Papa all’università Jagellonica nel 1983, dove il Papa aveva ricevuto una laurea honoris causa, perché fu tra i cinque studenti che donarono al Papa il suo cappello accademico. “In una breve conversazione – ha scritto - gli chiesi di ricordare e sostenere i nostri amici arrestati e imprigionati a causa delle loro credenze politiche”.

Sally Axworthy, ambasciatore del Regno Unito presso la Santa Sede, ha invece posto l’accento sulla visita di San Giovanni Paolo II in Gran Bretagna, visita che segnò un momento storico nelle relazioni diplomatiche tra il Regno Unito e la Santa Sede, in quanto nel 1982 furono ristabiliti pieni legami diplomatici e fu nominato il nostro primo ambasciatore dal XVI secolo, Sir Mark Evelyn Heath. (Il Regno Unito aveva avuto un Inviato presso la Santa Sede dal 1914)”.

Si trattò di una visita di sei giorni, durante i quali il Papa toccò nove città in Inghilterra, Galles e Scozia, e pose l’ecumenismo al centro della sua visita. “Nella Cattedrale di Canterbury – ha ricordato l’ambasciatore Axworthy - il Papa e l'allora Arcivescovo di Canterbury, Robert Runcie, camminarono insieme per ricevere un gioioso applauso. Con la sua visita alla cattedrale fondata da Sant'Agostino di Canterbury nella sua missione in Inghilterra affidatagli da Papa Gregorio Magno nel VI secolo, San Giovanni Paolo II ha affermato con forza la determinazione delle chiese a camminare insieme. Questo dialogo ecumenico ha continuato a prosperare da allora”.

Malinda Dodaj, incaricato d’Affari dell’Ambasciata di Albania presso la Santa Sede, ha ricordato gli interventi di Giovanni Paolo II per aiutare l’Albania e gli albanesi ovunque si trovassero, e in particolare la sua visita in Albania del 1993. Congedandosi, il Papa disse di aver visto negli albanesi “il coraggio di una nuova democrazia, una democrazia che si sta muovendo con fiducia verso la libertà, dopo tanti anni infiniti e oscuri di dittatura e ateismo soffocante”.

Vaclav Kolaja, ambasciatore della Repubblica Ceca presso la Santa Sede, ha ricordato che la prima volta che ha visto l’immagine fu alla fine degli Anni Settanta, in una foto appesa in sagrestia della Chiesa dell’Elevazione della Santa Croce nel mio paese nativo Strání”, una immagine che già mostrava un carisma particolare. Quindi, ha ricordato l’attentato del 1981, e quindi alla visita di Giovanni Paolo II in Cecoslovacchia nel 1990.

Fu durante questa visita che l’ambasciatore Kolaja vide Giovanni Paolo II “”per la prima e ultima volta dal vivo”, durante l’incontro a Campo di Letná a Praga in aprile del 1990. La Cecoslovacchia era il primo Paese di là della Cortina di Ferro visitato da Giovanni Paolo II dopo la caduta del Muro.

Giovanni Paolo II tornò in Cechia nel 1995 e nel 1997. Sebbene non abbia potuto incontrare mai il Papa polacco personalmente, l’ambasciatore Kolaja ha “apprezzato molto di aver potuto partecipare come l’Ambasciatore del nostro paese presso la Santa Sede alla messa in onore di San Giovanni Paolo II nella Basilica di San Pietro in Vaticano in occasione del 30esimo anniversario della canonizzazione di Sant’Agnese di Boemia”.

Jakob Stunf, ambasciatore di Slovenia presso la Santa Sede, ha invece voluto sottolineare che Giovanni Paolo II “sin dagli inizi ha supportato con grande benevolenza il processo di indipendenza slovena, ha contribuito in modo determinante affinché l'Europa iniziasse di nuovo a respirare con due polmoni ed ha anche visitato la Slovenia due volte, nel 1996 e nel 1999.

Jean Cornet d’Elzius, ambasciatore del Belgio presso la Santa Sede, ha ricordato di aver potuto ricevere la comunione dal Papa durante la Messa delle Ceneri a Santa Sabina, di aver partecipato ad alcune celebrazioni della visita del Papa in Belgio del 1985, e di essere a Roma durante le ore finali della sua vita.

Il Papa polacco – ha aggiunto – aveva “un legame speciale con il Belgio”, perché “per evitare la deportazione e il lavoro forzato in Germania, il giovane Karol Wojtyla si fece assumere alla fabbrica Solvay a Podgorze”. In più, Wojtyla aveva risieduto al Collegio Belga durante i suoi studi a Roma.

Presenta la credenziali l'ambasciatore argentino presso la Santa Sede

È arrivata a Roma nel centro della crisi del coronavirus, e dovrà gestire i rapporti tra la Santa Sede e la presidenza argentina Fernandez, che ha mostrato già le sue prime frizioni con l'approvazione della legge sull'abortoMaria Fernanda Silva, ambasciatore di Argentina presso la Santa Sede, ha presentato le lettere credenziali al Papa il 23 maggio. 

Silva ha già lavorato nell'ambasciata come numero 2, e ha una lunga esperienza. Laureata in Scienze politiche con specializzazione in Relazioni Internazionali nella Pontificia Università Cattolica Argentina, è nel servizio diplomatico argentino dal 1993. Ha lavorato nell’ufficio di Arbitrato Internazionale Argentina / Cile a Laguna del Desierto; alla direzione dell’America del Sud nella segreteria dell’ambasciata argentina a Santiago di Cile; come rappresentante argentina alla Commissione Economica per l’America Latina; come prima segretaria nella direzione dell’Europa Occidentale e consigliera nel gabinetto di Rafael Bielsa quando questi era cancelliere nel governo di Nestor Kirchner. 

Settimana per la Laudato Si, il nunzio in Kenya pianta un albero

La celebrazione della settimana della Laudato Si nel suo quinto anniversario è stata sottolineata dall’arcivescovo Hubertus van Megen, nunzio in Kenya, con il gesto di piantare un albero.

È successo lo scorso 18 maggio a Nairobi. Il nunzio ha detto che “la creazione non rivela solo la nostra comunione simbolica con il Divino, ma è anche un concreto mezzo per la comunione nella famiglia umana e nella più larga comunità biotica”.

Alla cerimonia c’erano 15 persone, ed è stata trasmessa in diretta televisiva. L’arcivescovo Van Megen ha sottolineato che “tutto è correlato, noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio”, e ha sottolineato che il Papa “è anche critico per le enormi diseguaglianze che viviamo, perché mentre tolleriamo qualcuno, ci consideriamo migliori degli altri”.

La cerimonia a Nairobi era stata organizzata dal Global Catholic Climate Movement.

Taiwan, il presidente inizia il secondo mandato

C’era anche monsignor Arnaldo Catalan, incaricato di affari presso la Nunziatura Apostolica a Taiwan, all’inaugurazione della presidenza di Tsai Ing-wen a Taipei. La presidente di Taiwan ha iniziato il secondo mandato presidenziale.

Taiwan ha mostrato, in questi giorni di pandemia, di essere un buon partner per la Santa Sede, con molte iniziative umanitarie e di sostegno in tempo di coronavirus. La Santa Sede è uno dei pochi Stati che ancora riconoscono Taiwan come Stato.