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Diplomazia Pontificia, la situazione in Ucraina, il nuovo nunzio in Russia

Telefonata tra Papa Francesco e il presidente ucraino Zelenskyi. Il nuovo nunzio in Russia. Le questioni non risolte del trattato di Trianon

Papa Francesco e il presidente Zelensky | Papa Francesco e il presidente Zelensky nell'incontro dell'8 febbraio 2020 in Vaticano | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco e il presidente Zelensky | Papa Francesco e il presidente Zelensky nell'incontro dell'8 febbraio 2020 in Vaticano | Vatican Media / ACI Group

Papa Francesco ha ricevuto, ancora una volta, l’invito a visitare l’Ucraina da parte del presidente Zelensky, durante un colloquio telefonico intercorso tra i due. In questo tempo di pandemia, sono stati molti gli scambi telefonici del Papa, per quella che può essere considerata una vera e propria diplomazia al telefono.

Nella settimana, è stato anche nominato il nuovo nunzio in Russia, mentre il cardinale Parolin ha ricevuto il ministro degli Esteri francese.

                                                FOCUS SANTA SEDE

Papa Francesco, conversazione telefonica con il presidente ucraino

Volodymir Zelensky, presidente ucraino, ha avuto un colloquio telefonico con Papa Francesco alle 17.30 del 5 giugno. Ne dà notizia il sito della presidenza ucraina.

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Il colloquio era parte dello sviluppo del dialogo avviato durante la visita ufficiale del presidente in Vaticano l’8 febbraio 2020.

Secondo il comunicato della presidenza, “le parti hanno discusso della situazione di crisi odierna causata dalla pandemia di COVID-19, e in primo luogo le sfide umanitarie che il mondo deve affrontare. Papa Francesco ha affermato di apprezzare il desiderio di solidarietà dell'Ucraina”.

Il presidente Zelensky ha dichiarato che “il sostegno di Sua Santità all’unità, alla solidarietà e all’apertura dell’Europa è importante per l’Ucraina. È importante lavorare ora per ripristinare la fiducia reciproca e rafforzare la cooperazione del continente”.

Il presidente ha informato Papa Francesco delle misure adottate durante la quarantena, e apprezzato la collaborazione delle Chiese ucraine nel contrastare il contagio.

Altro tema di conversazione è stata la situazione di sicurezza nel Donbass. Il presidente Zelensky ha chiesto alla Santa Sede di mediare per “il rilascio di tutti gli ucraini detenuti illegalmente nella parte occupata del Donbass, nella Crimea occupata e in Russia”.

Il presidente ha sostenuto che “stiamo cercando una soluzione per un accordo pacifico. L’Ucraina non violerà le zone rosse”.

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Da parte sua, il Papa ha apprezzato la ricerca di una soluzione pacifica, e ha chiesto al presidente di trasmettere i saluti al popolo ucraino.

Si è discusso anche di cooperazione bilaterale in campo umanitario, convenendo sulla necessità di rafforzare la cooperazione in materia di protezione della salute e dell’ambiente e di attuare iniziative comuni. Il presidente ha confermato l’invito a Papa Francesco a visitare l’Ucraina.

Il ministro degli Esteri francese in Vaticano

C’è stata anche una visita in Vaticano, nell’agenda del viaggio in Italia di Jean-Yves Le Drian, ministro degli Esteri francese. Il 4 giugno, il ministro ha incontrato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per le relazioni con gli Stati.

Si è trattato, secondo il ministero degli Esteri francese, di un “lungo colloquio”, durante il quale è stato discusso anche il piano di risanamento europeo. Il Cardinale Parolin avrebbe sottolineato la “forte richiesta” della Santa Sede che i finanziamenti del recovery fund arrivino fino alle famiglie.

Altri temi di discussione, il piano di moratoria del debito per i Paesi più poveri, annunciato al G7 dello scorso 14 aprile. La Sana Sede ha più volte chiesto, anche attraverso Caritas Internationalis, la totale cancellazione del debito dei Paesi più poveri nel contesto del coronavirus.

Quindi, l’Africa, con la crisi in corso nel Sahel, dove sempre più cristiani sono perseguitati. A maggio, sono stati segnalati attacchi terroristici nel Niger occidentale, e la Santa Sede ha mostrato la sua preoccupazione per la situazione nella regione. Vale la pena ricordare che la Santa Sede ha una fondazione dedicata proprio al Sahel, la Fondazione Giovanni Paolo II, con un consiglio di amministrazione che fa capo al dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

Altro tema di discussione, la situazione in Medio Oriente, e in particolare il conflitto israelo – palestinese. Lo scorso 20 maggio, Saeb Erekat, capo negoziatore e segretario generale dell’Organizzazione Mondiale per la Palestina, ha chiamato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per le relazioni con gli Stati, per discutere della situazione, dato che il governo di Benjamin Nethanyahu ha annunciato l’intenzione di annettere parte del territorio occupato in Cisgiordania La Santa Sede si è sempre pronunciata a favore di una soluzione negoziata per “due popoli e due Stati”, e chiesto che sia rispettato lo status quo per la città di Gerusalemme. Durante l’incontro con il ministro degli Esteri francese, si è concordata la necessità di una maggiore pressione internazionale.

Parlando del mondo post-pandemia, entrambe le delegazioni hanno condiviso l’auspicio che un vaccino contro il Covid 19 sia considerato “un bene comune dell’umanità”, mentre si è parlato anche della ricostruzione dell’ordine internazionale basato sul multilateralismo e sulla solidarietà.

Dall’11 al 13 novembre, si terra a Parigi la Terza Edizione del Forum per la Pace, e il tema sarà proprio “La costruzione di un mondo migliore dopo la pandemia”. Il ministro degli Esteri francese ha invitato il Cardinale Parolin a partecipare.

L’arcivescovo D’Aniello nunzio in Russia

Il nuovo nunzio in Russia è l’arcivescovo Giovanni D’Aniello, finora nunzio in Brasile. Si riempie, dunque, un’altra casella importante dello scacchiere diplomatico della Santa Sede, ma si lascia vacante una sede importante come il Brasile. Resta ancora senza nunzio anche il Regno Unito.

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D’Aniello succede all’arcivescovo Celestino Migliore, che Papa Francesco ha destinato come suo “ambasciatore” in Francia.

L’arcivescovo D’Aniello, 65 anni, sacerdote dal 1978, è entrato presto nei ranghi della diplomazia pontificia ed è nunzio dal 2001. È stato “ambasciatore del Papa” nella Repubblica Democratica del Congo dal 2001 al 2010, mentre dal 2010 al 2012 ha servito come nunzio presso Thailandia, Cambogia, Myanmar e Laos. Da lì, nel 2012, mentre in Brasile era presidente Dilma Roussef, D’Aniello è stato chiamato alla nunziatura di Brasilia, per succedere all’allora arcivescovo (oggi Cardinale) Lorenzo Baldisseri, che era stato richiamato a Roma come segretario della Congregazione dei Vescovi.

La nomina a Mosca è particolarmente importante, sia per i rapporti ecumenici che per la vicinanza che la diplomazia del Papa ha mostrato con la Russia: il presidente Putin è stato tre volte in visita da Papa Francesco.

D’Aniello è il sesto rappresentante della Santa Sede in Russia dal 1990, e successore del primo nunzio a pieno titolo.

I rapporti tra Santa Sede e Russia sono particolarmente positivi, anche grazie alle relazioni tra la Chiesa Cattolica e il Patriarcato di Mosca, che hanno portato nel 2016 al primo incontro tra un Papa e un patriarca di Mosca all’Avana, e poi alla traslazione delle reliquie di San Nicola in Russia nel 2018. Il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha visitato la Russia nel 2017, e due settimane dopo la visita un tribunale russo ordinò la restituzione alla Chiesa cattolica di un edificio che era stato sequestrato alla Chiesa dal governo sovietico. Non si trattava di una decisione definitiva, ma era comunque un primo passo.

Il presidente Putin è stato da Papa Francesco il 4 luglio 2019 , il 25 novembre 2013 e il 10 giugno 2015

                                                FOCUS INTERNAZIONALE

Cina e Santa Sede

La Santa Sede non si è pronunciata ufficialmente sulla situazione ad Hong Kong. Non è stato ancora nominato un nuovo vescovo, dopo la morte del vescovo

dopo la morte del vescovo Yeung ming-Cheung. L’amministrazione apostolica della diocesi è affidata al Cardinale John Tong.hon, vescovo emerito. Secondo indiscrezioni, il nuovo vescovo Peter Choy Wai-man, attuale vicario della diocesi, che non dispiace a Pechino. La scelta sarebbe caduta su di lui e non sull’ausiliare Joseph Ha Chi-shing perché questi è più vicino alle posizioni del cardinale Zen, che non ha mancato di criticare con forza l’accordo a più riprese.

Sorvolando Hong Kong nel suo itinerario verso il Giappone lo scorso novembre, Papa Francesco aveva inviato un telegramma ad Hong Kong. Papa Francesco ha minimizzato il telegramma inviato ad Hong Kong, sottolineando che si tratta di un telegramma di cortesia inviato a tutti gli Stati. Hong Kong, tra l’altro, non è uno Stato, ma è sotto la Cina. Il Papa poi ha detto di amare la Cina.

Per canto suo, la Cina ha dimostrato di apprezzare le attenzioni del Papa, e due giorni dopo Geng Shuang, ministro degli Esteri, ha sottolineato che del Papa “la Cina apprezza l’amicizia e la gentilezza”, e per questo Pechino “guarda con apertura agli scambi reciproci con il Vaticano.

Nel suo itinerario di viaggio, Papa Francesco ha sorvolato Cina e Taiwan, e ad entrambi ha mandato un telegramma. Anche qui, i dettagli sono importanti: la Cina è stata salutata come “nazione”, mentre i saluti a Taiwan sono rivolti “al popolo di Taiwan”, nonostante la nunziatura a Taipei sia significativamente chiamata “nunziatura di Cina”.

Si è trattato, anche in questo caso, di un gesto forte nei confronti di Pechino. L’incontro poi dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano, con il suo omologo cinese a Wang Yi il 14 febbraio 2020, durante la conferenza OSCE di Monaco. Si è parlato anche dell’accordo confidenziale Cina – Santa Sede sulla nomina dei vescovi. Siglato il 18 settembre 2018, l’accordo aveva valore di due anni e scade ad agosto. Per ora, si parla di un prolungamento di almeno 12 mesi dell’accordo, che per ora ha portato solo due nomine episcopali e tra l’altro concordate già precedentemente all’accordo.

Da qui, anche la decisione della Santa Sede di non fare adesso interventi pubblici sulla questione di Hong Kong, che ha visto comunque la Chiesa in prima linea. Lo scorso 28 maggio, in una intervista concessa a Catholic News Agency, il Cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, ha affermato che le nuove leggi di sicurezza cinesi su Hong Kong “possono mettere a rischio la libertà religiosa dei cattolici e di altri credenti”.

Le nuove leggi puntano a criminalizzare qualunque cosa Pechino consideri “interferenza straniera” attività secessioniste o sovverrsione del potere statale.

Secondo il Cardinale Zen, “Hong Kong è semplicemente completamente sotto il controllo della Cina”, nonostante sia una regione amministrativa speciale della Cina.

Le nuove leggi hanno portato a varie proteste, appoggiate anche da molti leader cattolici, a partire dal vescovo ausiliare di Hong Kong Ha chi-shing, mentre ad aprile la Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Hong Kong ha chiesto al governo di rispondere alle manifestazioni pro democrazia.

Il Cardinale Zen ha espresso preoccupazione che la Santa Sede nominerà “un nuovo vescovo, vicino a Pechino, che non sarà così insistente sui valori democratici”, mentre la stessa comunità cattolica “è divisa, dato che tutti ad Hong Kong devono prendere una posizione”.

Il cardinale Zen ha lamentato che non esiste più “una nazione, due sistemi”, e tutti comprendono che “Hong Kong è molto utile alla Cina per lo scambio di moneta e altre cose, come investimenti in imprese estere. E ora sono pronti a distruggere tutto, e non possiamo fare nulla perché Hong Kong è piccola cosa”.

Il Cardinale Zen ha anche detto che “non siamo contro l’avere una legge, ma vogliamo che sia ben formulata, perché la legge che hanno presentato è contro tutte le nostre libertà”. Il Cardinale ha quindi lamentato che la Cina non ha mantenuto la promessa di una elezione democratica.

Il “ministero” degli esteri vaticano

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha avuto il 2 giugno una conversazione telefonica con Rehman Chishti, inviato speciale del Primo Ministro di Gran Bretagna per la libertà religiosa. In un tweet, Chishti ha affermato che si è trattato di una “buona conversazione” che ha riguardato il suo lavoro.

Lo scorso 26 maggio, l’arcivescovo Gallagher ha preso parte in videoconferenza alla Conferenza Internazionale dei Donatori in Solidarietà con i Rifugiati e migranti venezuelani.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che “la situazione umanitaria in Venezuela si è deteriorata e come conseguenza è aumentata l’emigrazione venezuelana. La Santa Sede mantiene l’impegno di continuare ad appoggiare il Venezuela e la regione con assistenza umanitaria”.

                                    FOCUS AMBASCIATE E NUNZIATURE

Il Congedo dell’Ambasciatore di Indonesia presso la Santa Sede

Lo scorso 30 maggio, Antonius Agus Sryono, ambasciatore di Indonesia presso la Santa Sede, ha fatto visita di congedo al Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Peitro Parolin. Il 9 maggio, Agus Sryono aveva avuto l’incontro di congedo con Papa Francesco.

Agus Sryono era ambasciatore di Indonesia presso la Santa Sede dal 2016, e vi era arrivato dopo una serie di incarichi nel Ministero degli Affari Esteri. Durante il suo mandato, ha anche stabilito i contatti per un viaggio del Papa in Indonesia, che avrebbe dovuto avere luogo a settembre come parte di un giro asiatico che avrebbe portato Papa Francesco anche in Timor Est e Papua Nuova Guinea.

Il nunzio in Argentina

Arriverà in Argentina ad inizio mese, l’arcivescovo Miroslaw Adamczyk, che Papa Francesco ha nominato suo “ambasciatore” a Buenos Aires. L’arcivescovo Adamczyk era nunzio a Panama, e il ministero degli Esteri di Panama lo ha salutato il 29 maggio decorandolo in riconoscenza “per il suo lavoro diplomatico e pastorale”.

Croazia, il nunzio Lingua celebra la Messa della Madre di Dio della Porta di Pietra

Lo scorso 31 maggio, a Zagabria, si è festeggiata la Madre di Dio della Porta di Pietra, proclamata patrona della citta dal cardinale Franjo Kuharic, arcivescovo di Zagabria. L’immagine della Vergine rimase intatta miracolosamente a seguito di un pauroso incendio che distrusse l’intera città tra il 30 e il 31 maggio 1731.

Nella omelia, ha menzionato il centenario di Giovanni Paolo II e ne ha ricordato l’amicizia per il popolo croato e le sue tre visite nel Paese, durante le quali beatificò il Cardinale Aloizje Stepinac nel 1998 e Ivan Merz nel 2003.

“Non è stato difficile per me – ha detto il nunzio – notare quanto la devozione mariana abbia toccato il cuore dei croati. Questa è la ragione della speranza per il nostro futuro comune”.

                                                FOCUS ANNIVERSARI

100 anni dal Trattato di Trianon

Lo scorso 4 giugno, è stato ricordato il centenario del Trattato di Trianon. Il trattato, che fece seguito alla Prima Guerra Mondiale, ridisegnò la geografia dell’Europa balcanica, e in particolare quella dell’Ungheria, che si trovò privata di due terzi del territorio e con la popolazione ungherese sparsa in altri Stati.

In occasione del centenario, l’ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede ha pubblicato una riflessione, ricordando che gli ungheresi considerano “il Trianon” come “una delle più grandi tragedie ungheresi”, che ha “imposto la separazione di milioni di ungheresi che si trovano a vivere in Paese diversi” e ha anche posto “una molteplicità di potenziali conflitti tra l’Ungheria e i suoi vicini, causando problemi politici, economici, giuridici e psicologici tuttora irrisolti”.

Nel 2010, il Parlamento ungherese ha approvato la legge XLV, legge sulla Coesione Nazionale, con la quale si “prendeva atto che l’unità della nazione ungherese al di sopra dei confini è una realtà che fa parte dell’identità degli ungheresi” e con cui il governo ungherese prendeva l’impegno di promuovere questa unità. La legge, allo stesso tempo, affermava di rispettare “il diritto di altre nazioni a pensare diversamente circa le questioni che sono importanti per gli ungheresi”, e rendeva onore a quanti “hanno contribuito al rafforzamento spirituale ed economico degli ungheresi”, ma anche a quanti hanno “subito discriminazioni offese”.

La legge prendeva atto anche dei fallimenti dei tentativi di risolvere le questioni create dal Trianon, e annunciava l’approccio della “mano tesa”. Un tema che anche Papa Francesco ha affrontato lo scorso 1 giugno, dopo aver visitato il santuario mariano di Csiksomlyo, in romeno Sumuleu Ciuc, durante il suo viaggio in Romania nello scorso anno.

L’ambasciata di Ungheria sottolinea che l’impegno dell’Ungheria nella mano tesa si concretizza nel lavoro con i Paesi vicini, come sottolinea la legge del 2010, che parla di una collaborazione “basata sul rispetto reciproco di Paesi uguali, democratici e sovrani” con l’obiettivo di contribuire “ad un futuro pacifico dei popoli che convivono nel Bacino dei Carpazi, basato sulla mutua comprensione e collaborazione”.

Da segnalare, nel centenario del Trianon, le dichiarazioni di Igor Matovic, primo ministro di Slovacchia, che ha enfatizzato in occasione dell’anniversario che ungheresi e slovacchi hanno una storia condivisa e chiesto una collaborazione nel costruire Slovacchia e Ungheria insieme.

Le parole di Matovic si iscrivono in una sorta di “nuovo corso” della politica slovacca, che già negli scorsi giorni ha chiesto perdono per la soppressione della Chiesa Greco Cattolica slovacca attraverso il nuovo presidente dell’Assemblea nazionale.

Matovic ha detto che “è pienamente comprensibile” che alcuni cittadini stiano ancora soffrendo delle conseguenze del Trianon, ha affermato che “gli ungheresi slovacchi hanno permesso alla nostra nazione al nostro popolo di conoscere un’altra cultura”, e ha detto di voler inserire l’insegnamento della lingua slovacca nelle scuole ungheresi, perché “non vuole perdere talentuosi giovani ungheresi perché non parlano slovacco”.

Matovic ha infine sottolineato che vorrebbe che gli ungheresi che vivono in Slovacchia sentano che la nazione appartiene anche a loro e ed è una casa accogliente e sicura.

100 anni di relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Romania

Liviu Zapirtan, ambasciatore della Romania presso la Santa Sede, ha commemorato con un intervento i 100 anni di relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Romania. Relazioni che venivano aperte in una situazione particolare anche per la Santa Sede, mentre “Papa Benedetto XV doveva gestire la condotta della Santa Sede in una evoluzione della scena internazionale” creatasi con la Grande Guerra.

In più, la Santa Sede non fu chiamata a partecipare alle negoziazioni di pace, né alle consultazioni che avevano preparato alla Società delle Nazioni, ma Benedetto XV aveva anche l’idea di avere rapporti con gli Stati, e anche con i nuovi Stati che nascevano dopo la Prima Guerra Mondiale.

D’altra parte – nota l’ambasciatore Zapirtan – “i nuovi Stati, come la Romania, avevano anche dei problemi da regolare con il Vaticano, considerando il fatto che alcune popolazioni cattoliche e greco cattoliche si trovarono nella situazione di essere incluse in nuovi quadri politici”. E fu questo lo sfondo che portò alla firma del concordato.

Anche perché “per la Romania, la situazione dei culti presentava delle particolarità, in quanto, a seguito del passaggio della Transilvania e di altre province sotto l’autorità di Bucarest, una forte comunità di greco-cattolici era percepita come una minaccia per la Chiesa ortodossa”, e questa si presentò come “uno dei pilastri dell’identità nazionale”.

Zapirtan ricorda che non si deve “dimenticare l’immenso contributo della Chiesa uniate alla fondazione della coscienza nazionale, alla costruzione della storia e alla strutturazione della lingue romena”.

La storia delle relazioni tra Santa Sede e Romania inizia l’1 giugno 1920, con la nomina di Re Francesco del suo primo inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso la Santa Sede.

Il regime comunista interruppe le relazioni nel 1950, e nel 1990 sono state ripristinate “in una nuova Europa, con una prospettiva di normalità, di pace e di convivialità”, e Giovanni Paolo II ha visitato il Paese nel 1999, mentre Papa Francesco vi è andato nel 2019.