La storia di Giona, identità comune per le tre religioni del libro. Una basilica capolavoro che era centro di una Patriarcato che si estendeva dall’Ungheria al Veneto. E l’impegno per la pace, che si fa con la cultura, ma anche con la diplomazia.
È terminato lunedì 9 luglio il viaggio dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher in Corea del Sud. Tra gli ultimi appuntamenti del “ministro degli Esteri” vaticano, uno con i parlamentari cattolici di Seoul. Nel frattempo, ha creato indignazione l’aggressione al Cardinale Brenes e al nunzio Sommertag in Nicaragua. Dopo l’evento di Bari, una prima ricaduta diplomatica: il Patriarcato di Mosca ha annunciato la collaborazione con la Chiesa cattolica per la ricostruzione di Chiese in Iraq.
Se il lavoro della Santa Sede nel concerto internazionale è universalmente riconosciuto, c’è stata anche una opposizione alla sua presenza come Stato sovrano nelle organizzazioni internazionali, sfociato a metà anni Novanta nella campagna “See change”. Ma oggi è ancora così? L’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York, sostiene che no, non è più così, anche se una certa resistenza ideologica resta.
Non solo l’impegno nei negoziati. La Santa Sede partecipa ai lavori delle Nazioni Unite con un compito particolare di evangelizzazione, che in realtà permea tutta l’attività della diplomazia pontificia. Per la Santa Sede, la diplomazia è uno dei mezzi con cui diffondere e proteggere la fede. Ne parla l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di New York.
Perché le Nazioni Unite sono importanti per la Santa Sede? Perché c’è una missione e un Osservatore permanente negli organismi internazionali? Spesso, quando si parla di diplomazia pontificia, si cerca proprio di comprendere il motivo della presenza della Santa Sede nei grandi organismi multilaterali. E forse il modo più semplice di rispondere è quello dell’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU di New York: “Crediamo che tutte le nazioni debbano stare insieme per il bene di tutta la comunità internazionale”.
Il Cardinale Pietro Parolin, tornato dalla missione nei Balcani, ha incontrato il 3 luglio l’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk, che ha poi incontrato Papa Francesco. Il 2 luglio, è stato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro degli Esteri vaticano, ad incontrare il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, prima di partire per la Corea. La diplomazia pontificia si snoda così questa settimana tra Balcani, Corea del Sud ed Ucraina.
Non ha potuto prendere parte al Concistoro, perché il suo viaggio in Montenegro e Serbia era già fissato da tempo. Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è in questi giorni in Montenegro e Serbia, per una serie di incontri bilaterali che puntano a rafforzare il ruolo della Santa Sede nella Regione.
Per la sesta volta, il presidente boliviano Evo Morales incontra Papa Francesco. L’ex cocalero, in Vaticano in passato anche in occasione degli incontri dei Movimenti Popolari per il suo passato di sindacalista dei raccoglitori di coca, è stato da Papa Francesco dopo il Concistoro, dove ha accompagnato il neo-cardinale boliviano Toribio Porco.
La battaglia diplomatica della Santa Sede è fatta soprattutto di dettagli. L’obiettivo è quello di fare sì che, in ogni documento, non compaiano delle categorizzazioni che mettono parte l’essere umano e la sua dignità che viene dall’essere immagine di Dio. E tra queste categorie, quella di gender. I motivi li ha spiegati la Santa Sede in un intervento a Ginevra su un particolare documento, che potrebbe avere una ricaduta anche sull’Accordo Globale per rifugiati.
Il tema della libertà religiosa in Ucraina è stato oggetto di un incontro a porte chiuse organizzato dall’ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede, e nell’occasione l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ha tenuto un intervento in cui ha sottolineato l’importanza del dialogo e della diplomazia pontificia nel portare luce su situazioni dimenticate, come è appunto il conflitto in Ucraina.
L’apertura di una nunziatura in Sud Sudan è stata annunciata con gioia dai vescovi del Paese, e rappresenta un passo avanti nei rapporti diplomatici con la Santa Sede che sono stati stabiliti a partire dal 2013. La notizia arriva al culmine di una settimana che è stata importante per la diplomazia vaticana soprattutto per gli incontri non annunciati nei bollettini ufficiali: quello di Papa Francesco con lo sceicco Abdullah Bin Zayed al Nahyan degli Emirati Arabi Uniti, e quello del Cardinale Pietro Parolin con il presidente del Senato del Kazakhstan Kassym-Jomart Takyev.
Quale è l’agenda della diplomazia pontificia? La ha delineata il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in un intervento lo scorso sabato nell’ultima sessione della conferenza internazionale organizzata dalla fondazione Centesimus Annus pro Pontifice. Dalla famiglia alla pace nel mondo, il Cardinale ha parlato degli obiettivi fondamentali della diplomazia del Papa. Nel frattempo, si parla di un possibile viaggio del Papa in Iraq (poi smentito) e il Santa Marta Group, che si occupa di traffico di esseri umani, viene onorato ad una serata di gala organizzata dalla Missione della Santa Sede presso l’ONU di New York.
La nomina del nuovo nunzio a Singapore conclude in qualche modo il giro di nomine degli “ambasciatori del Papa” in sedi particolarmente importanti. La sede di Singapore ha un peso diplomatico perché è anche quella da cui si curano le relazioni con il Vietnam, che non ha rapporti diplomatici con la Santa Sede, ma che sta trattando per aprirli.
L’appello di Papa Francesco per la situazione che si è creata al confine della striscia di Gaza è stato seguito da una dichiarazione della Santa Sede presso il Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra.
La recente visita del premier romeno Viorica Dancila ha lanciato l’idea di “uno strumento pattizio” tra Santa Sede e Romania per quanto riguarda il mutuo riconoscimento dei titoli di studio. Ma c’è un altro concordato in vista: è quello con l’Angola.
Due rapporti usciti nella scorsa settimana rappresentano una necessaria lettura per la diplomazia pontifica, per comprendere sia la situazione che vivono i cristiani in Europa, sia la persecuzione religiosa nel mondo. Sono questi i dati da cui partono le contromisure. Nella settimana, anche due interventi alle Nazioni Unite, uno a New York e uno a Ginevra, sui temi dei rifugiati e della Non Proliferazione delle Armi Nucleari.
Si è parlato di questione palestinese e di costruzione della pace alle Nazioni Unite di New York; di disarmo nucleare e sviluppo alle Nazioni Unite di Ginevra; ma è arrivata anche una richiesta di mediazione arrivata direttamente dal Camerun. Questi i temi della settimana della diplomazia pontificia.
Il viaggio in Arabia Saudita del Cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, è il culmine di una settimana che la diplomazia della Santa Sede ha dedicato per buona parte al Medio Oriente e agli Stati del Golfo. Nel corso della settimana, anche tre interventi alle Nazioni Unite e un dibattito in Canada che tocca, in qualche modo, anche il tema della diplomazia.
Grande attività, questa settimana, nelle missioni della Santa Sede alle Nazioni Unite di Ginevra e New York. A Ginevra, si è discusso il global compact sui rifugiati, ma si è tenuta anche una sessione speciale sulla Repubblica Democratica del Congo, un tema che la Santa Sede ha molto a cuore. A New York, sono terminate le riunioni della Commissione sullo Sviluppo Sociale, che da tempo si distingue per una agenda che cerca di introdurre il diritto all’aborto (mascherato da diritto alla salute riproduttiva) nei documenti ONU. Ma anche la Laudato Si continua a generare discussione. Ne ha parlato anche il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, alla Conferenza Episcopale di Oceania.
“La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio”. San Giovanni XXIII cominciava così, 55 anni fa, l’enciclica Pacem in Terris. Ancora oggi, quell’enciclica continua a rappresentare il cardine dell’attività diplomatica della Santa Sede.