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Diplomazia pontificia, come il tema degli abusi ha toccato la Santa Sede

Cardinale Parolin e Nevan Mimica | Il Cardinale Pietro Parolin con il commissario UE Nevan Mimica al termine del loro incontro in Vaticano del 15 febbraio 2019 | Twitter @MimicaEU Cardinale Parolin e Nevan Mimica | Il Cardinale Pietro Parolin con il commissario UE Nevan Mimica al termine del loro incontro in Vaticano del 15 febbraio 2019 | Twitter @MimicaEU

Il tema degli abusi, in discussione in questi giorni in Vaticano, ha anche una ricaduta diplomatica. Più e più volte si è cercato, infatti, di far passare i vescovi come dipendenti del Papa, e quindi considerare la Santa Sede come un’azienda, non come uno Stato sovrano con un capo. Ma non c’è solo il tema della sovranità. L’attacco alla Chiesa e alla sua dottrina viene mosso anche dal punto di vista legale, in qualche modo per minare l’autorevolezza della Santa Sede, considerata da sempre e da tutti un Paese terzo cui affidarsi per le mediazioni. E così è successo nel dibattito su due Convenzioni ONU nel 2014.

Nella settimana diplomatica, non ci sono stati discorsi nel multilaterale. Il Cardinale Parolin ha ricevuto però in Vaticano il commissario UE per lo sviluppo Mimica, mentre il Cardinale Sako ha parlato della situazione in Iraq alla Commissione per la sicurezza di Monaco di Baviera.

Quando il tema degli abusi colpisce anche la diplomazia

Sinodalità, responsabilità, collegialità: sono stati questi i temi che si sono sviluppati in questi tre giorni di incontri sulla “Protezione dei Minori nella Chiesa. Il tema è cruciale, e riguarda soprattutto vescovi, sacerdoti, fedeli, chiamati insieme a rispondere al fenomeno con rinnovato vigore, a partire dalle norme già delineate da Benedetto XVI che, come ha detto anche Papa Francesco tornando dal viaggio a Panama, è stato quello che più di tutti ha lottato contro il dramma degli abusi.

Ma la questione degli abusi ha anche un risvolto diplomatico. Ed è successo in particolare in due casi, entrambi nel 2014: quando la Santa Sede dovette presentare due rapporti, al Comitato ONU sulla Convenzione per i Diritti del Fanciullo e la Convenzione sulla Tortura, entrambe ratificate dalla Santa Sede.

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Le convenzioni ONU prevedono un rapporto presentato di fronte un comitato ogni tre anni. Il rapporto riguarda il modo in cui lo Stato ratificatore applica la convenzione all’interno dei suoi confini, e riceve una valutazione. Non è vincolante. Gli Stati saltano spesso processi di revisione.

Per quanto riguarda la Convenzione del Fanciullo, la Santa Sede non ha presentato il rapporto nel 2017, ma lo ha fatto nel 2014. E la risposta della commissione era stato durissimo, fino a chiedere un cambio nel diritto canonico e ad attaccare il “codice del silenzio” della confessione

Il rapporto del Comitato affermava che “la Santa Sede ha permesso abusi su migliaia di bambini”, e nelle dichiarazioni conclusive che chiedevano, in più punti, addirittura il cambiamento del diritto canonico. Nelle dichiarazioni, veniva attaccato, senza mai citarlo, il segreto della confessione (“a causa di un codice del silenzio imposto su tutti i membri del clero sotto pena di scomunica…”); e ci si lamentava che “la Santa Sede continua a porre enfasi sulla promozione della complementarietà e dell’eguaglianza in dignità, due concetti che differiscono dall’eguaglianza per legge e per pratica delineata nell’articolo 2 della Convenzione e che sono spesso usati per giustificare legislazioni e politiche discriminatorie”.

In realtà, l’articolo 2 della Convenzione Internazionale per i diritti dell’infanzia impegna semplicemente gli Stati parti a rispettare la Convenzione “senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere del fanciullo o dei suoi genitori o tutori, della loro origine nazionale, etnica o sociale, della loro ricchezza, della loro invalidità, della loro nascita o di qualunque altra condizione”.

È questo, però, il tenore delle discussioni a livello internazionale, dove vengono anche inserite forzature in maniera strumentale. Quando fu discussa la Convenzione contro la Tortura, il Comitato cercò di inserire la pedofilia tra le fattispecie discusse dalla convenzione. Ma questo, lamentava la Santa Sede, sarebbe stato forzare lo spirito della convenzione.

Era un modo di attaccare la Chiesa attraverso il grimaldello della pedofilia. E, sebbene il tema non rientrasse realmente nel dibattito. , gli abusi sui minori sono stati parte della discussione. La Santa Sede ha risposto con delle cifre precise. Ovvero, 848 sacerdoti ridotti allo stato laicale per casi di abusi, 2572 puniti su 3420 casi di credibili abusi sui minori venuti fuori nell’ultimo decennio.

More in Vaticano

“Qualunque sguardo serio rivolto alla realtà intorno al mondo di ciò che la Santa Sede e le chiese locali stanno facendo dimostra chiaramente e senza ambiguità che certamente non c’è stato un clima di impunità”, aveva detto il nunzio Silvano Maria Tomasi, allora osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra.

Era la prima volta che questi dati venivano forniti in maniera così precisa. Provenivano direttamente dalla Congregazione della Dottrina della Fede.

Mentre, a livello diplomatico, il tema del segreto della confessione è un altro dei campi di battaglia. Non è un caso che Benedetto XVI, al culmine della crisi sugli abusi in Irlanda, decise di inviare lì come nunzio l’arcivescovo Charles J. Brown, officiale della Congregazione della Dottrina della Fede. Non un diplomatico, ma un canonista che avrebbe potuto gestire al meglio la situazione.

Anche in Irlanda si arrivò ad attaccare il segreto della confessione. Mentre il tema è stato ora prepotentemente riproposto in Australia, dove due leggi federali minacciano di criminalizzare i sacerdoti che non denunciano casi di abusi appresi in confessione.

Il Cardinale Parolin incontra il commissario europeo Mimica

Lo scorso 15 febbraio, Neven Mimica, commissario europeo per la Cooperazione Internazionale e lo Sviluppo, si è incontrato in Vaticano con il Cardinale Pietro Parolin e il Cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. I tre hanno discusso dei modi in cui cooperare per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibili enfatizzando l’importanza dello sviluppo umano.

La visita è venuta a seguito del primo Dialogo per lo Sviluppo che ha avuto luogo tra la Direzione Generale per la Cooperazione Internazionale e lo sviluppo della Commissione e il Dicastero vaticano. In quell’occasione, si erano definite dei campi di possibile cooperazione.

In una dichiarazione diffusa dopo l’incontro, Mimica ha detto di “non vedere l’ora di approfondire la nostra comprensione su aree di comune interesse, per collaborare su sfide societarie e globali come la migrazione e la crescita delle diseguaglianze”.

Ci saranno ulteriori collaborazioni tra esperti e scambi di informazioni, e comune partecipazione in un numero di iniziative ed eventi organizzati da entrambi.

Conferenza di Monaco, la presenza della Santa Sede e dei patriarchi mediorientali

Si è tenuta la scorsa settimana a Monaco di Baviera la 55esima Conferenza Internazionale Non Governativa sulla sicurezza.

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli esteri” vaticano, c’era, ed ha avuto il 15 febbraio un incontro con Federica Mogherini, alto rappresentante degli Affari Esteri e della Politica di Sicurezza dell’Unione Europea. L’incontro non è stato seguito da un comunicato stampa che ha delineato i contenuti della conversazione, ma solo da una “photo opportunity”.

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E c’erano anche il Cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, e Mor Ignatios Aphrem II, patriarca siro ortodosso di Antiochia. I patriarchi hanno partecipato ad incontri bilaterali con rappresentanti politici di diversi Paesi e sono intervenuti ad un panel sulla condizione delle comunità religiose in Medio Oriente organizzato il 16 febbraio dalla Hanns Seidel Foundation.

Nel suo intervento, il Patriarca Sako ha notato che, fin dal crollo dell’Impero Ottomano, le potenze occidentali non hanno mai mostrato l’intenzione di favorire in Medio Oriente la nascita di Stati di diritto. In più, i cristiani mediorientali sono etichettati come “alleati” delle politiche occidentali in Medio Oriente sia per la questione del conflitto israelo-palestinese sia per un pregiudizio che risale al tempo delle Crociate.

In pratica, secondo il Cardinale Sako la politica occidentale ha “incoraggiato il conflitto in Medio Oriente”, mentre in Iraq la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003 ha creato un “vero e proprio caos”, che ha creato instabilità e che ha “contribuito al dilemma dei cristiani”, mentre il governo di Baghdad “non ha fatto nulla per il rientro degli sfollati interni”, e, per quanto riguarda “l’emergenza della piana di Ninive”, il governo iracheno – ha detto il Patriarca – “non ha fatto nulla per aiutare gli sfollati interni a far ritorno alle proprie case, anche a causa di prassi corrotte che spingono alcuni a chiedere soldi per il restauro di case e chiese distrutte durante il conflitto”.

Secondo il Cardinale Sako, i patriarchi possono uscire dalla crisi solo se si riconoscono l’uguaglianza de diritti per ogni cittadino, se si eliminano dai programmi scolastici ogni istigazione alla discriminazione e se si punta ad eliminare “l’ideologia della jihad nell’Islam o della Guerra Santa nel cristianesimo e nelle altre religioni”.

Il Patriarca Ortodosso Mor Ignatios Aphrem III ha parlato della situazione in Siria, ricordando anche i due vescovi ortodossi scomparsi nell’aprile 2013 (il greco ortodosso Boulos Yazigi e il siro ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim) e lamentando che non c’erano rappresentanti del governo siriano al summit della sicurezza.

Il Patriarca Aphrem ha parlato anche delle sofferenze di una popolazione devatata dal conflitto.

Una visita di Papa Francesco in Uganda?

Non sarebbe ancora confermata la visita di Papa Francesco in Uganda, nonostante la sicurezza con cui la aveva annunciata la scorsa settimana il ministro del Territorio di Kampala. L’arcivescovo Cyprian Lwanga di Kampala ha infatti dichiarato la scorsa settimana che “non c’è ancora confermata dell’atteso viaggio in Uganda del Papa”. L’arcivescovo ha anche smentito di aver chiesto al governo 9 miliardi di scellini ugandesi (pari a circa 216 mila euro) per l’organizzazione della visita.

“L’unica cosa che so – ha detto – è che il governo deve mantenere la promessa per la costruzione del santuario dei martiri in Namugongo”, soldi che sarebbero una compensazione per il terreno della Chiesa usato per l’aeroporto di Entebbe.

Qualora fosse confermata, la visita di Papa Francesco avrebbe luogo a luglio, per celebrare i cinquanta anni del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e di Magadascar, che fu inaugurato da Paolo VI a Kampala il 31 luglio 1969.

Non sarebbe l’unico viaggio dell’anno di Papa Francesco in Africa. Sono stati confermati da fonti locali (ma non dalla Santa Sede) i viaggi di Papa Francesco in Mozambico e Madagascar, in un itinerario che fonti locali dicono includerebbe anche una visita sulle isole Mauritius.

La situazione umanitaria in Venezuela

Mentre in Venezuela è in atto uno scontro tra Nicolas Maduro e l’autoproclamato presidente Guaidò per l’accesso degli aiuti umanitari nel Paese, i vescovi hanno rilasciato una nota il 21 febbraio, in cui notano che “il deterioramento generale delle condizioni di vita ha portato il Paese a situazioni limite, soprattutto per quanto riguarda le questioni alimentari e sanitarie”, ribadiscono la richiesta di aprire un “canale umanitario”, e sottolineano che “il regime ha l’obbligo di rispondere alle necessità della popolazione, e per questo di facilitare l’ingresso e la distribuzione” degli aiuti umanitari. I vescovi sottolineano anche che la Caritas locale “rinnova il suo impegno a partecipare, insieme ad altre organizzazioni, al ricevimento e la distribuzione degli aiuti umanitari”, portando la sua personale esperienza. I vescovi ribadiscono anche il no ad “ogni tipo di violenza”, ma anche ad ogni “tipo di manipolazione”.

Ucraina, il nunzio viaggia nei territori occupati

L’arcivescovo Claudio Gugerotti, nunzio in Ucraina, ha visitato lo scorso 16 febbraio la città occupata di Donetsk. Lì, nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe Artigiano, l’ambasciatore del Papa ha celebrato una Messa insieme al vescovo Jan Sobilo, ausiliare di Kharkiv-Zhaporizia, che è stato anche leader dell’iniziativa “Il Papa per l’Ucraina”, padre Mykola Piletsky, rettore della chiesa, e altri sacerdoti locali.

Non è la prima volta che il nunzio si reca nella zona occupata. L’arcivescovo Gugerotti è stato a Donetsk il 25 marzo 2016, il 17 dicembre 2016, l’11 luglio 2017, il 16 dicembre 2017 e il 30 marzo 2018.

La Santa Sede ha preso posizione neutrale nel conflitto, che Papa Francesco non ha esitato a chiamare “un conflitto dimenticato”.

Lo scorso 21 gennaio, l’arcivescovo Gugerotti è stato in udienza da Papa Francesco.

A dicembre, l’arcivescovo Gugerotti ha dovuto chiarire che la Santa Sede non prendeva posizione sulla questione dell’autocefalia ucraina.

Corea del Sud, il nunzio partecipa alla Messa per i dieci anni dalla morte del primo cardinale coreano

Lo scorso 21 febbraio, sono stati circa 3 mila i coreani che si sono riuniti nella cattedrale di Myengdong, a Seoul, per commemorare i dieci anni dalla morte del Cardinale Stephen Kim Sou-hwan. La messa è stata celebrata dal Cardinale Andrew Yeom Soo-jung, e concelebrata da molti vescovi e sacerdoti, mentre il nunzio apostolico, l’arcivescovo Alfred Xuereb, ha dato un indirizzo di saluto.

Il Cardinale Parolin sulla questione Franco

Una lettera alla vicepremier spagnola Carmen Calvo del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, è stata rivelata sulla stampa iberica in questa settimana. Della lettera, di cui non si è avuto il testo completo, si è detto che la posizione del Cardinale sull’esumazione di Francisco Franco va un po’ al di là di quella della Conferenza Episcopale Spagnola. In realtà, la lettera andava a ribadire la posizione della Santa Sede, e rappresentava un modo di mettere per iscritto le posizioni espresse ed evitare ogni strumentalizzazione da parte del governo. Per essere chiari, la Santa Sede non entra in affari di politica interna degli Stati.  

Andiamo con ordine. Il 29 ottobre 2018, il vicepremier spagnolo Carmen Calvo ha incontrato il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. Tra i temi dell’incontro, anche la traslazione delle spoglie di Francisco Franco, dittatore spagnolo dal 1939 al 1975, anno della sua morte. Fu sepolto a Los Caidos, monumento nazionale dedicato a vincitori e vinti della guerra civile spagnola (1936-1939) costruito proprio sotto il regime del generale Franco, ma lo scorso agosto il governo socialista spagnolo ha approvato un decreto che apre la strada alla riesumazione dei resti di Francisco Franco. La famiglia del dittatore, che ha guidato la Spagna per 36 anni, ha quindi espresso la volontà di portare le spoglie in uno spazio di loro proprietà nella cripta della cattedrale dell’Almudena di Madrid.

Dopo l’incontro, la Sala Stampa della Santa ha diffuso una dichiarazione dell’allora direttore Greg Burke in cui si sottolineava che "Il cardinale Pietro Parolin non si oppone alla riesumazione di Francisco Franco, se così deciso dalle autorità competenti; ma in nessun momento si è pronunciato sul luogo di sepoltura. È vero che la signora Carmen Calvo ha espresso la sua preoccupazione per la possibile sepoltura dei resti nella cattedrale dell'Almudena, così come il suo desiderio di esplorare altre alternative, anche attraverso il dialogo con la famiglia. Il Cardinale Segretario di Stato ha ritenuto opportuna questa soluzione”.

In pratica, non c’è nessun appoggio da parte della Santa Sede alla posizione del governo, né una opposizione alla sepoltura alla Almudena, che non può spettare alla Santa Sede, ma semplicemente un invito al dialogo.

Entro 15 giorni, la famiglia Franco è chiamata a comunicare al ministero della Giustizia dove intende esumare i resti dell’ex capo dello Stato, e se non lo farà sarà lo stesso esecutivo a decidere un luogo di sepoltura che non sarà la tomba di famiglia alla Almudena.

Haiti, il nunzio partecipano al dialogo nazionale

Nel corso del dialogo nazionale lanciato lo scorso 14 febbraio, il presidente di Haiti Jovenel Moïse si è incontrato lo scorso 19 febbraio con l’ex presidente provvisorio Jocelerme Privert e poi con il nunzio apostolico, l’arcivescovo Eugene Martin Nugent. Con l’ambasciatore del Papa, il presidente ha parlato della necessità di impegnarsi in un dialogo inclusivo con tutti i settori della vita nazionale, con l’idea di trovare una soluzione pacifica e democratica ai problemi sociali, economici e politici della nazione.

Da parte sua, il nunzio apostolico ha rinnovato il suo desiderio di continuare a lavorare per rafforzare le relazioni storiche tra la Repubblica di Haiti e la Santa Sede.

Le relazioni diplomatiche tra Haiti e Santa Sede furono aperte alla fine del XIX secolo, con una delegazione apostolica. Nel 1915, questa delegazione fu elevata al rango di internunziatura, mentre il 17 ottobre 1930 fu stabilita la nunziatura apostolica, che prese parte del territorio della delegazione apostolica delle Antille. Questa fu poi soppressa nel 1938, e fu assegnata alla competenza della nunziatura apostolica di Haiti l’isola di Porto Rico e tutte le piccole Antille. L’ultimo nunzio ad Haiti prima dell’arcivescovo Nugent è stato l’arcivescovo Bernardito Auza, ora osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite.

Il nunzio nelle Filippine visita la provincia di Kalinga

L’arcivescovo Giordano Caccia, nunzio nelle Filippine, ha visitato la scorsa settimana la provincia di Kalinga nell’anniversario della fondazione”. Il nunzio è arrivato il 20 febbraio nella provincia, e ha celebrato Messa per la popolazione della provincia nella cattedrale di San Williams. Il governatore Jocel Baac ha detto che il nunzio è “venuto e ha apprezzato la nostra situazione pacifica nella nostra provincia”, su invito del vescovo Andaya, che “ha visto un passaggio della provincia da una situazione difficile ad una situazione di pace”.

Dopo la Messa, il nunzio ha anche preso parte ad una cena nel Campidoglio. Nel suo messaggio, l’arcivescovo Caccia ha detto: “Non ci può essere pace senza giustizia, nessuna giustizia senza perdono. Buona fortuna! Cercate pace e riconciliazione, vivete come fratelli e sorelle. Abbracciate amicizia e fraternità come una via di pace per superare il circolo vizioso di odio, in modo che questo non sia tramandato da generazione in generazione.”

La situazione in Nicaragua

In Nicaragua, l'arcivescovo Waldemar Stanislaw Sommertag, nunzio apostolico, ha detto in una intervista che si devono dare speranze nel prossimo dialogo nazionale, che comincia il prossimo 27 febbraio. "Non c'è altra alternativa al dialogo, è l'unica via che abbiamo. 

Ancora non si sa se la Chiesa cattolica parteciperà. L'arcivescovo Sommertag ha infatti detto che "sta attendendo l'autorizzazione". La Chiesa Cattolica è entrata nel dialogo nazionale come mediatore, ma il dialogo si è interrotto dopo gli attacchi ricevuti dai vescovi.