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Diplomazia pontificia, verso l’Urbi et Orbi di Papa Francesco

Cardinale Parolin in Mali | Il Cardinale Parolin a Bamako con il presidente El Hadj Ibrahim Boubacar Keïta, 16 novembre 2018 | Holy See Press Office Cardinale Parolin in Mali | Il Cardinale Parolin a Bamako con il presidente El Hadj Ibrahim Boubacar Keïta, 16 novembre 2018 | Holy See Press Office

Nel giorno di Natale, il Papa come da tradizione si affaccia dalla loggia centrale della Basilica Vaticana per la benedizione urbi et orbi, alla città e al mondo. La benedizione è anche l’occasione per una panoramica mondiale, che mostra anche l’interesse della diplomazia pontificia. Di cosa parlerà Papa Francesco durante questo Natale? Quali saranno le aree su cui si concentrerà?

Molti i temi di chiusura dell’anno diplomatico: dal Global Compact sulle migrazioni, approvato alle Nazioni Unite, alle conclusioni della Santa Sede sul 24esimo incontro tra le parti sul cambiamento climatico. In più, sono arrivati i dettagli del viaggio del Cardinale Pietro Parolin in Mali, avvenuto dal 16 al 18 novembre. La settimana è iniziata anche con un incontro di Papa Francesco con la segreteria generale dell’UNESCO.

Il viaggio del Cardinale Pietro Parolin in Mali

Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato in mali dal 16 al 18 novembre, scelto da Papa Francesco come suo inviato speciale per i 130 anni della Chiesa locale. Il Mali è una delle nazioni più povere del mondo, e la sua piccola comunità cattolica – appena 200 mila unità – è stata oggetto di vari attacchi da parte di forze jihadiste alla fine del 2017. Per questo la visita del Cardinale si è colorata anche di significati di diplomatici.

Il Cardinale Parolin è arrivato a Bamako nel pomeriggio del 16 novembre, accolto dal primo ministro Soumeylou Boubèye Maïga, da Thierno Amadou Omar Hass Diallo, ministro degli Affari Religiosi e di Culto, da Jean Claude Sidibé, ministro dello sport.

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C’erano anche il Cardnale Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako, il vescovo Jona Dembelé, presidente della Conferenza Episcopale del Mali, l’arcivescovo Vincent Coulibaly di Conakry, monsignor Javier Camanes-Fores, incaricato di affari della nunziatura apostolica in Guinea e Mali (il nunzio non c’è da quando il precedente, l’arcivescovo Gangemi, è stato inviato nunzio in El Salvador a maggio 2018), padre Alexandre Denou, segretario generale della Conferenza Episcopale del Mali, e Suor Esther Thera, presidente dell’Unione dei Religiosi Cattolici del Mali, oltre ad altri rappresentanti.

Dopo un colloquio con i ministri nella sala d’onore dell’aeroporto, il Cardinale Parolin è andato nell’arcivescovado di Bamako, dove è stato salutato dagli operatori pastorali dell’arcidiocesi, e da alcuni membri dell’Azione Cattolica, degli “Amici di Kizito”, degli Scout e della corale “Cristo Re” della Parrocchia Cattedrale Sacro Cuore di Bamako. Sempre il 16 novembre, il Cardinale Parolin è stato ricevuto in udienza da El Hadj Ibrahim Boubacar Keïta, presidente della Repubblica del Mali, insieme al Cardinale Zerbo e a membri della Conferenza Episcopale. Il colloquio si è concentrato sulle attività della Chiesa cattolica in Mali, le sue potenzialità e la sua missione di formazione della comunità, sul terrorismo, alle migrazioni e all’insicurezza nel nord e nel centro del Paese. Il Cardinale Parolin, ha sottolineato che la Chiesa e lo Stato lavorano insieme per lo stesso scopo, cioè, il bene della persona e della società umana. Il Presidente della Repubblica, dal canto suo, ha sottolineato il carattere laico dello Stato e ha detto che la sfida della migrazione richiede dalla comunità internazionale una risposta comune. Il vescovo Dembelé ha ringraziato il presidente del termine dell’incontro, sottolineando che è segno dei buoni rapporti esistenti tra Chiesa e Stato, e ha inoltre ringraziato per il sostegno nell’organizzazione del 47esimo pellegrinaggio mariano nazionale a Kita.

La sera di venerdì 16 c’è stata una cena in arcivescovado, cui ha partecipato un gruppo proveniente da Montpellier, diocesi storicamente gemellata con la Chiesa in Mali.

La mattina di sabato 17 il Cardinale Parolin ha incontrato i Vescovi del Mali. Il Presidente della Conferenza Episcopale, dopo aver ringraziato il Segretario di Stato per la sua visita nel Paese, ha presentato una sintesi della situazione del Paese e della Chiesa maliana. Tra i temi, il caso di Suor Gloria Cecilia Narváez, rapita il 7 febbraio 2017 presso Karangasso, nella Diocesi di Sikasso; le intimidazioni e i vandalismi subiti da varie chiese della Diocesi di Mopti, e la crescente insicurezza nel Paese.

Il Cardinale ha quindi fatto visita al Seminario Maggiore di “Saint-Augustin”, situato nella periferia della capitale, e lì ha esortato i seminaristi a prendere sul serio la loro formazione e ad identificarsi con Cristo, Sommo Sacerdote.

Il pomeriggio di sabato 17 novembre è stato dedicato alle celebrazioni del 47esimo pellegrinaggio nazionale a Kita, a circa 200 chilometri di Bamako, dove c’è un santuario mariano molto frequentato. Il tema del pellegrinaggio era: "Avec Marie, quels jeunes pour l’Eglise et le Mali d’aujourd’hui?”. Il Cardinale ha pregato davanti la statua di Notre Dame du Mali, ha visitato il cimitero dove i trovano i primi missionari che 130 anni fa hanno portato il Vangelo in Mali e quindi ha preso parte alla processione, ha quindi salutato i pellegrini alla veglia e retto il messaggio del Papa.

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Il giorno successivo, il Cardinale Parolin ha presieduto la Messa del Giubileo della Chiesa in Mali, alla presenza di migliaia di pellegrini, e anche di alcuni rappresentanti del governo, tra cui i ministri degli Affari Religiosi e del Culto e il Ministro dello Sport. Il Cardinale Parolin ha esortato alla collaborazione tra tutti i credenti, di diverse religione e culture, per costruire insieme la “civiltà dell’amore” invocata da San Giovanni Paolo II.

Dopo la Messa e un incontro con gli agenti pastorali della Chiesa presenti al pellegrinaggio, il Cardinale Parolin è tornato a Bamako, e da lì è ripartito nella serata del 18 novembre, salutato dal presidente all’aeroporto.

Verso l’Urbi et Orbi

Il messaggio per la giornata mondiale della pace, sul tema “La buona politica è al servizio della pace”, sarà la linea guida del discorso di inizio anno ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede, che si dovrebbe tenere come tradizione il primo lunedì dopo l’Epifania, e dunque il 7 gennaio.

Più verosimilmente, Papa Francesco guarderà nell’urbi et orbi di Natale a tutte le situazioni di conflitto nel mondo, con una attenzione particolare ai temi che si sono sviluppati nel corso del pontificato.

Di certo, la questione dell’Accordo Globale sulle Migrazioni, sul quale la Santa Sede si è molto impegnata, sarà un tema centrale: Papa Francesco ne ha parlato all’Angelus del 16 dicembre, e ha seguito attentamente tutti i lavori. Il tema dell’accoglienza è stato ricorrente nelle omelie dell’anno.

Altro tema possibile, la cura della casa comune. Dalla pubblicazione della Laudato Si nel 2015, Papa Francesco ha portato avanti il tema della cura dell’ambiente, e lo ha fatto anche in ambito ecumenico, con i messaggi congiunti con il Patriarca Bartolomeo per la Giornata Mondiale per la Cura del creato.

Per quanto riguarda le situazioni sensibili, lo sguardo andrà sicuramente al Medio Oriente: si parlerà di Iraq, dove il Cardinale Pietro Parolin è in visita proprio nei giorni di Natale, a testimoniare una vicinanza della Santa Sede; si parlerà del Medio Oriente, e si chiederà ancora una volta la pace per il conflitto israelo-palestinese; si guarderà a quella che Papa Francesco chiama “l’amata Siria”, da osservare con attenzione specialmente dopo la decisione del presidente USA Trump di abbandonare le truppe. E poi, lo sguardo al Golfo, che Papa Francesco toccherà con una visita a febbraio negli Emirati Arabi Uniti.

Uno sguardo all’Africa: ci sarà probabilmente una preghiera per il Sud Sudan, dove il Papa vorrebbe andare, ma ancora non può, e dove sarà presto stabilita una nunziatura; e una per la pace tra Etiopia ed Eritrea, cui Papa Francesco ha dedicato anche un Angelus. Non mancherà un accenno alla Repubblica Democratica del Congo, anche perché le elezioni erano previste proprio per il 24 dicembre, e sono state rimandate a fine anno.

Sempre dagli Angelus sono venuti ripetutamente gli appelli per il Venezuela e per il Nicaragua, dove i vescovi sono impegnati in un difficile lavoro di mediazione. Papa Francesco toccherà probabilmente il tema nell’urbi et orbi.

Per l’Asia, si guarderà probabilmente alla pace nella penisola coreana e forse si farà un accenno anche ai nuovi rapporti con il Vietnam, che potrebbero presto portare ad un rappresentante permanente della Santa Sede nel Paese.

E chissà che il Papa non guardi anche al “conflitto dimenticato” in Ucraina, tema sensibile, specialmente dopo la proclamazione dell’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina.

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Papa Francesco, udienza privata con la Segreteria generale dell’UNESCO

È stato un caso felice che, nello stesso giorno, il 17 dicembre, sia stata calendarizzata l’annuale udienza di tabella di monsignor Francesco Follo, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO, e quella di Audrey Azoulay, direttrice generale dell’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di cultura.

La visita della segreteria generale, con una delegazione di alto livello, è importante, anche perché Azoulay ha reiterato al Papa l’invito a visitare i quartieri generali dell’organizzazione, a Parigi, dove già è stato Giovanni Paolo II nel 1980. Il progetto è di avere il Papa nel 2020, quando si festeggeranno i 65 anni dalla fondazione.

Azoulay ha donato al Papa una medaglia di Teillhard de Chardin, il geniale teologo gesuita di cui l’organizzazione ha celebrato la memoria nel 1981. In aggiunta, la direttrice ha donato al Papa anche una copia anastatica degli atti di quella conferenza.

Secondo una nota stampa dell’UNESCO, l’incontro “si iscrive nella logica della promozione della pace attraverso il dialogo interculturale e del patrimonio religioso”, e nell’occasione Azoulay ha “sottolineato alcuni punti di convergenza tra il mandato e l’azione dell’UNESCO e le iniziative della Santa Sede, in particolare in favore della cultura della pace, dell’educazione e dello sviluppo duraturo”.

Da parte sua, il Papa ha “affermato il suo sostegno all’UNESCO e ne ha messo in luce l’approccio olistico all’educazione, che dà un posto importante alle scienze umane”. Il Papa ha anche parlato della diversità culturale, dell’etica delle scienze e in particolare il lavoro dell’UNESCO e la Santa Sede sul tema dell’intelligenza artificiale.

Le parole della Santa Sede all’approvazione del Global Compact sulle migrazioni

Dopo l’incontro di Marrekch del 10 - 11 dicembre, cui la Santa Sede ha partecipato con una delegazione di alto livello guidata dal Cardinale Pietro Parolin, l’Accordo Globale sulle Migrazioni è approdato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per l’approvazione finale.

Il 19 dicembre, l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di New York, ha dato uno statement of position, vale a dire una dichiarazione sulla posizione della Santa Sede, riguardante la risoluzione che appoggia i risultati della Conferenza internazionale di Marrakech.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Auza ha sottolineato che l’Accordo Globale è una cornice globale e un punto di riferimento internazionale per le buone pratiche e la cooperazione internazionale per la gestione globale delle migrazioni. La Santa Sede ha votato a favore dell’adozione dell’Accordo, ma allo stesso tempo – ha spiegato l’arcivescovo Auza – ha voluto fare le sue riserve.

Prima di tutto, la Santa Sede ha chiesto con vigore e forza la cancellazione di tre documenti che non erano risultato di negoziazioni internazionali e che contengono terminologia, principi e linee guida che non rappresentano in linguaggio condiviso – e questo riguarda soprattutto le categorie del gender e di salute sessuale e riproduttiva.

In secondo luogo, la Santa Sede ci tiene a sottolineare che le espressioni “salute sessuale e riproduttiva” e “servizi di salute sessuale e riproduttiva” usati in quelli stessi documenti non si debbano riferire all’aborto, all’accesso all’aborto e a farmaci che procurano aborto.

In terzo luogo, la Santa Sede rifiuta il cosiddetto “Minimal Initial Service Package” (MISP), ovvero il pacchetto di servizi minimi essenziali cui si riferisce uno di questi documenti, perché quel kit contiene farmaci che procurano aborto e strumenti che inducono all’aborto.

Infine, la Santa Sede sottolinea che la parola “gender” debba essere radicata nell’identità biologica, vale a dire nei sessi maschili e femminile.

La dichiarazione finale della Santa Sede a COP24

La delegazione della Santa Sede ha partecipato anche alla 24esima sessione della Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici. La COP24 si è tenuta a Katowice, e all’inizio ha guidato la delegazione il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, e poi è stata coordinata da monsignor Bruno Marie Duffé, segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. La scorsa settimana, la Santa Sede aveva diffuso una dichiarazione in cui si chiedeva forte volontà politica per affrontare il problema del cambio climatico.

Nella dichiarazione finale, diffusa il 19 dicembre, la delegazione della Santa Sede si rifà alla Laudato Si di Papa Francesco, in cui si chiedeva di rafforzare responsabilmente le politiche riguardo il cambiamento climatico, e nota che, nell’incontro di Katowice, gli Stati parte hanno combattuto per “mettere da parte i loro interessi economici e politici a breve termine e lavorare per il bene comune”, e sono arrivati ad un consenso sulle regole per l’implementazione dell’Accordo di Parigi del 2015.

Ma se il consenso sulle regole generali è un dato positivo, la Santa Sede nota che proprio queste regole “non riflettono in maniera adeguata la necessaria urgenza nell’affrontare il cambiamento climatico”, ma sembra piuttosto di mettere in secondo piano i diritti umani, e che il dramma di tanti popoli della terra colpiti dal cambiamento climatico “chiede maggiore ambizione più urgenza”.

La Santa Sede, si legge nella dichiarazione, ha spiegato che “portare avanti la dignità della persona umana, alleviare la povertà promuovendo il diritto umano integrale, e mitigare l’impatto del cambiamento climatico con misure di adattamento” sono strettamente collegate, e che c’è bisogno di un periodo di transizione in cui tutte le parti “assumano le loro rispettive responsabilità secondo il principio di equità”.

La Santa Sede rimarca la necessità di limitare responsabilmente la crescita di temperatura globale a 1,5 gradi centigradi, e per questo incoraggia a maggiore ambizione nel determinare i contributi nazionali alla questione e un meccanismo più forte che porti a ridurre l’emissione di gas serra.

“La fede e la ragione – si legge ancora - devono essere combinate nel permetterci di fare scelte positive nei nostri stili di vita, nel modo in cui le nostre economie sono gestite, nel costruire una vera solidarietà globale necessaria ad evitare questa crisi climatica”.

Dall’Ucraina: il comunicato della nunziatura sull’autocefalia

La Santa Sede non ha preso una posizione pubblica sul sinodo di unificazione della Chiesa ortodossa ucraina e sulla concessione di autocefalia, che ha creato polemiche e divisioni nel mondo ortodosso. Lo ha sottolineato l’arcivescovo Claudio Gugerotti, nunzio apostolico della Santa Sede in Ucraina, in un comunicato della nunziatura apostolica Kiev.

“Nei giorni scorsi – si legge nel comunicato –alcuni organi di informazione della Santa Sede hanno pubblicato, tra l’altro, ragguagli sugli eventi che, nei tempi recenti, si sono verificati nell’Ortodossia in Ucraina”.

Il comunicato sottolinea che questo “risponde al compito di ogni organo di comunicazione sociale, cioè di dare notizia ai propri utenti di quanto avviene nel mondo”.
Ma questo, rimarca la nunziatura, non va interpretato come una posizione della Santa Sede, perché “qualora invece la Santa Sede volesse rendere pubblica una propria posizione ufficiale a riguardo di tali eventi, lo farà nei modi e con gli strumenti specifici in cui si ricorre in tali casi”.

Taiwan invita ancora una volta Papa Francesco

Dopo l’accordo confidenziale con la Cina sulla nomina dei vescovi, Taiwan ha intensificato gli sforzi per mostrare vicinanza a Papa Francesco. Il 14 ottobre, il vicepresidente di Taiwan è stato a Roma per partecipare alla canonizzazione di Paolo VI, mentre la Santa Sede, da parte sua, ha mostrato in vari modi la sua non volontà di rompere i rapporti con l’isola: dalla nomina dell’arcivescovo Fortunatus Nwachukwu a nunzio in Belize, separando così il Belize dalla nunziatura del Salvador che aveva rotto i rapporti con Taiwan, ai molti eventi organizzati dalla Santa Sede a Taiwan, tra cui un congresso sul traffico di esseri umani nella pesca organizzato dall’Apostolato del Mare del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

Lo scorso 17 dicembre, Tsai Ing-wen, la presidente di Taiwan, ha inviato a Papa Francesco un messaggio di auguri per il suo compleanno, e nell’occasione lo ha invitato di nuovo Papa Francesco a Taiwan, perché la sua presenza sarebbe “fonte di energia”, e potrebbe infondere all’isola “ispirazione, compassione e guida spirituale”.

È il terzo invito che Taiwan invia a Francesco per visitare il Paese, dove ci sono circa 300 mila cattolici e dove la Chiesa realizza un importante lavoro educativo, medicato e caritativo.