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Diplomazia pontificia, un nuovo inviato UE per la libertà religiosa

Il 7 dicembre, l’UE ha finalmente nominato il nuovo rappresentante per la libertà religiosa nel mondo. La soddisfazione COMECE. Una legge in Ucraina sanziona i chierici russi. La FAFCE incontra gli ambasciatori UE presso la Santa Sede

Frans van Daele | Frans van Daele, nuovo inviato speciale UE per la libertà religiosa | Wikimedia Commons Frans van Daele | Frans van Daele, nuovo inviato speciale UE per la libertà religiosa | Wikimedia Commons

Il 7 dicembre, l’Unione Europea ha finalmente nominato il nuovo inviato speciale per la libertà religiosa: è l’ambasciatore belga Frans van Daele. Ora sarà da vedere di quali poteri sarà investito il nuovo inviato, tema spinoso che è stato anche alla base di diversi dibattiti.

Sempre il 7 dicembre, Vincenzo Bassi, presidente della Federazione delle Associazioni Famigliari in Europa, ha avuto un incontro con gli ambasciatori dell’Unione Europea presso la Santa Sede.

In Ucraina, un progetto di legge potrebbe andare a sanzionare i chierici russi.

                                                FOCUS EUROPA

Nominato il nuovo inviato speciale UE per la libertà religiosa

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Dopo nove mesi di vacanza, e dopo aver bruciato il nome di un candidato autorevole come Mario Mauro, la Commissione dell’Unione Europea ha nominato l’inviato speciale dell’Unione Europea per la Libertà Religiosa. Si tratta dell’ex ambasciatore belga van Daele, nominato il 7 dicembre dal vicepresidente della Commissione UE Margaritis Schinas.

Frans van Daele è stato nel Servizio Esteri Belga dal 1971, con diversi incarichi sia nel multilaterale e bilaterale. Tra i suoi incarichi, anche quello di direttore generale per gli affari politici del Ministero degli Esteri Belga dal 1994 al 1997, durante il quale servì anche come membro del Comitato Politico che delineò l’agenda politica internazionale dell’Unione Europea.

Dal 1997 al 2002 è stato rappresentante permanente presso l’Unione Europea, negoziando il Trattato di Nizza per il Belgio.

È uno dei coauori della Dichiarazione Laeken, che ha posto le basi per il tratato di Lisbona. Ha poi rappresentato il Belgio alla Nato dal 2007 al 2009, per poi prendere diversi incarichi governativi, ed è stato dal 2013 al 2017 capo staff di Sua Maestà il re del Belgio.

La nomina è stata ben accolta dal Cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali Europee. “Ci congratuliamo con il signor van Daele e siamo pronti a collaborare con lui. Chiediamo alla Commissione Europea di fornire risorse adeguate e un mandato ben definito”.

Questo mandato – ha aggiunto – “permetterà a van Daele di portare avanti questa importante responsabilità di proteggere e promuovere la libertà di religione, un diritto fondamentale che è sotto minaccia in molte parti del mondo”.

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Il primo Inviato Speciale dell’Unione Europea per la libertà religiosa è stato nominato a maggio 2016 nella persona di Jan Figel, il quale nel suo mandato ha anche ottenuto successi come la liberazione di Asia Bibi, la cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan.

Quando si è insediata la nuova Commissione Europea, è stato chiesto da molte parti di mantenere la posizione. Questa è rimasta vacante per un po’, ed è stata poi assegnata al politico cipriota Christos Styliades, che ha lasciato quasi subito per prendere un incarico nel governo greco.

L’incarico di inviato speciale per la libertà religiosa è stato delineato dall’Unione Europea nel 2016, dopo il conferimento del Premio Carlo Magno a Papa Francesco. Recentemente, anche l’Italia si è dotata di un inviato speciale per la libertà religiosa, nella persona di Andrea Benzo.

Dopo l’esperienza di Sam Brownback nel corso dell’amministrazione Trump, il presidente Biden negli USA ha nominato Rashad Hussain come ambassador-at-large per la libertà religiosa, mentre da tempo il Canada aveva abolito la posizione. Ce lo ha invece la Slovacchia, che lo ha nominato poco prima dell’arrivo di Papa Francesco in visita lo scorso settembre nella persona di Anna Záborská, mostrando una particolare sensibilità al tema.

La FAFCE dagli ambasciatori dell’Unione Europea presso la Santa Sede

Lo scorso 7 dicembre Vincenzo Bassi, Presidente della Federazione delle Associazioni familiari cattoliche in Europa (FAFCE), ha incontrato gli ambasciatori degli Stati membri dell’Unione Europea presso la Santa Sede. L’incontro è avvenuto su invito dell’ambasciatore UE presso la Santa Sede Alexandra Valkenburg, e si è svolto nell’ambito del semestre di presidenza dell’Unione Europea della Repubblica Ceca.

Durante l’incontro, si è discusso delle sfide demografiche. La FAFCE è l’unica organizzazione familiare a detenere uno statuto partecipativo presso il Consiglio d’Europa.

Durante l’incontro, Bassi ha sollevato la questione dell’inverno demografico come sfida per il futuro di tutto il continente. Pur notando l’ottima cooperazione con l’attuale Commissione europea sul tema, ha sottolineato l’urgenza d’iniziative concrete e congiunte, perché – ha detto citando Laudato Si’, “ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le generazioni”.

Per questo – ha sostenuto – “le politiche familiari sono delle politiche economiche d’investimento nel futuro”.

Bassi ha anche ricordato che, incontrando la FAFCE nel 25esimo anniversario di fondazione, lo stesso Papa Francesco ha ricordato che “gli Stati hanno il compito di eliminare gli ostacoli alla generatività delle famiglie e di riconoscere che la famiglia costituisce un bene comune da premiare, con delle naturali conseguenze positive per tutti”.

Una delegazione ecumenica dal Primo Ministro Ceco

Una delegazione ecumenica composta da rappresentanti della COMECE e della Conferenza delle Chiese Europea ha incontrato lo scorso 7 dicembre il primo ministro ceco Pietr Fala.

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L’incontro aveva l’obiettivo di discutere gli sforzi della presidenza di turno dell’Unione Europea nell’affrontare alcune delle sfide considerate più pressanti per l’Unione e i suoi cittadini.

La delegazione COMECE – CEC ha plaudito la presidenza ceca per l’impegno nel coordinare azioni europee, e ha mostrato “profonda preoccupazione riguardo la brutale aggressione della Russia contro l’Ucraina”, mostrando apprezzamento per gli sforzi fatti dall’Unione Europea.

La delegazione ecumenica ha affermato che “se l’Unione Europea vuole essere un attore globale per la pace, questo è tempo di agire, facendo passi risoluti verso una soluzione di dialogo sostenibile al conflitto in pieno rispetto della legge internazionale e della integrità territoriale dell’Ucraina”.

La guerra, ha detto la delegazione, ha dato nuovo impatto alla politica di allargamento UE, e dunque va risposto i “maniera credibile” sia alle aspirazioni europee dell’Ucraina che a quelle di altre nazioni nei Balcani dell’Est.

La delegazione COMECE – CEC ha anche notato che la generosità messa in campo per i profughi ucraini non deve “essere un caso isolato, ma deve piuttosto essere replicata per migranti e rifugiati che vengono da altre aree di crisi e cercano un riparo nell’Unione Europea”.

I rappresentanti delle Chiese hanno anche espresso “preoccupazione per i membri più vulnerabili delle società europee”, colpiti in maniera negativa dalla pandemia del COVID 19 e ora esposti a un peso socio economico addizionale, e ha chiesto di affrontare la questione della crisi energetica che sia adeguata a tutti”.

Dopo l’incontro con Fiala, la delegazione è statta ricevuta dai membri del Comitato per gli Affari Europei del Parlamento Ceco, guidati dal presidente Ondrej Benešík. Durante lo scambio, le Chiese hanno espresso la loro volontà nel “combinare gli sforzi per affrontare la diffusione di disinformazione e l’uso errato della religione, due fenomeni che stanno alimentando la polarizzazione nelle società europee e mettendo alla prova i valori fondanti dell’Unione”.

L’incontro con il Primo Ministro Ceco ha fatto seguito a un incontro della delegazione ecumenica con Edita Hrdá, rappresentante permanente della Repubblica Ceca presso l’Unione Europea.

                                                FOCUS UCRAINA

L’Ucraina sanziona i chierici russi

L’Ucraina ha definito sanzioni a 10 chierici russi della Chiesa Ortodossa di Mosca che hanno acconsentito a lavorare con le autorità di occupazione russa o hanno giustificato l’invasione del Cremlino.

Le sanzioni dureranno per cinque anni, e andranno a congelare gli assets delle persone indicate, impedendogli di esportare capitale dall’Ucraina e impededendo loro di possedere territorio.

Gli ortodossi sono la maggioranza della popolazione religiosa ucraina, con 44 milioni di fedeli.

La decisione delle sanzioni è stata presa l’1 dicembre dal Consiglio della Sicurezza Nazionale e Difesa dell’Ucraina, presieduta dal presidente Zelensky in persona.

La decisione include un numero di sezione. Nella prima sezione, il Consiglio dei ministri sottomette alla Verkhovna Rada (il Parlamento Ucraino) una bozza sulla prevenzione delle attività in Ucraina delle organizzazioni religiose affiliate con centri di influenza nella Federazione Russa in accordo con le norme di legge internazionale del campo della libertà di coscienza e degli obblighi dell’Ucraina connessi all’ingresso nel Consiglio d’Europa.

Per comprendeRE in che modo questo andrà ad impattare sul lavoro della Chiesa Ortodossa Ucraina si dovrà piuttosto considerare come il termine “organizzazione religiosa” sarà definito nella nuova legge, in modo da permettere al governo ucraino di cercare di limitare le attività di una specifica diocesi, parrocchia o monastero come se opposta all’intera Chiesa in Ucraina.

Allo stesso modo, si dovrà determinare se il termine attività permetterà al governo ucraino di cercare di prevenire alcune specifiche attività di una organizzazione religiosa.

Sono le grandi sfide della nuova legge, che deve anche essere in accordo con le norme internazionali nel campo della liberà di coscienza. Ci vorrà tempo.

Nel 2018, l’emendamento sulla legge di libertà di coscienza e le organizzazioni religiose Chiesa alla Chiesa ortodossa russa di rinominarsi in modo da riflettere l’affiliazione con il patriarcato di Mosca.

La decisione ha comunque avuto un numero di effetti immediati, perché dà l’idea che il presidente Zelensky voglia abolire la Chiesa Ortodossa Ucraina, e potrebbe fornire un altro punto per la Federazione Russa per cercare di giustificare la guerra in Ucraina, ovvero di proteggere la Chiesa Ortodossa dalla persecuzione.

L’altra percezione potrebbe essere quella che la presidenza vuole forzare i fedeli ortodossi a passare alla Chiesa Ortodossa di Ucraina, ovvero l’autocefalia dell’ortodossia ucraina.

Altre tre parti della decisione dell’1 dicembre riguardano lo Stato di servizio dell’Ucraina per l’etnopolitica e la libertà di coscienza, e l’ultima è parte della politica di informazione del ministero della cultura.

La decisione ha anche appoggiato le proposte fatte dai servizi di sicurezza ucraini pr l’applicazione di misure economiche speciali e altre misure restrittive, ed è l’ che si trova la lista delle dieci persone contro cui sono applicate sanzioni. Quattro sono vescovi dalla Crimea: i metropoliti Lazar e Platon e i vescovo Alexy e Kalinnik. Due sono vescovi da aree occupate dell’Ucraina dell’Est: l’arcivescovo Arkady e il vescovo Agathon. Due sono vescovi che hanno lasciato la Russia e sono stati sostituiti: il metroplita Elisey e il vescovo Joseph. Infine, il metropOlita Pavel (Lebed) e l’arcidiacono Vadim Novinsky.

Il primo è responsabile della “lavra” (un grande monastero) di Kyiv-Pechersk, sebbene l’attuale capo del monastero è il metropolita Onufry. La lavra è di proprietà dello Stato, e data alla Chiesa Ortodossa Ucraina con una concessione a lungo termine. Il Consiglio, così, oltre a sanzionare Pavel ha chiesto al Consiglio dei Ministri di verificare “l’esistenza di basi legali e di aderenze” delle condizioni di uso della lavra da parte della Chiesa.

L’arcidiacono Novinsky, invece, è un miliardario tra i dieci uomini più ricchi di Ucraina, e grande benefattore della Chiesa ortodossa ucraina. A luglio si è dimesso dalla Verkhovna Rada in cui rappresentava la città di Mariupol. Tra le ragioni delle dimissioni, Novinsky ha detto che si stava dimettendo dalla Rada per impegnarsi in questioni umanitarie e di Chiesa. È stato tra colui che più di tutti si è opposto alla rimozione dei riferimenti al Patriarcato di Mosca dalla carta della Chiesa Ortodossa Russa, e il 2 dicembre, dalla sua pagina Facebook, Novinsky ha dichiarato di essere “un patriota ucraino che ha sempre avuto a cuore la preservazione dello Stato ucraino e la sua integrità territoriale”.

Il testo licenziato dal Parlamento potrebbe comunque anche avere un impatto sulle altre confessioni cristiane, e sarà dunque interessante vedere come queste reagiranno al testo finale.

Ucraina, il ministro Kuleba: “Non è ancora arrivato il tempo di una mediazione ampia

In una intervista con un gruppo di vaticanisti a Kyiv in un viaggio organizzato dalle ambasciate di Polonia e Ucraina presso la Santa Sede, Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri Ucraino, ha sottolineato che “ogni sforzo da parte della Santa Sede è benvenuto” per quanto riguarda lo scambio dei prigionieri o l’assistenza a migranti e rifugiati.

Tuttavia, ha aggiunto, “il tempo per una mediazione ampia tra Russia e Ucraina dopo l’aggressione russa non è ancora arrivato”. Inoltre, ha stabilito una serie di precondizioni per cui l’Ucraina possa effettivamente accettare una mediazione.

Kuleba ha concesso l’intervista lo scorso 9 marzo, e in circa 40 minuti ha risposto su domande sulle relazioni tra Santa Sede e Ucraina, gli sforzi della Santa Sede per la pace, e come gli ucraini possono apprezzare questo tipo di sforzo.

Pur apprezzando il fatto che il Papa abbia menzionato spesso la situazione ucraina e sottolineando che l’Ucraina aspetta sempre una visita del Papa, il ministro Kuleba ha anche notato come alcune delle parole di Papa Francesco siano state dolorose per gli ucraini.

Papa Francesco ha spesso affermato che la Santa Sede è sempre disponibile a una negoziato ampio. Kuleba ha commentato che “il responso di protocollo sarebbe che un negoziato sarebbe più che benvenuto”. Ma, ha aggiunto, la triste verità è che “il tempo per questa ampia mediazione non è ancora arrivato, e la ragione è il presidente Putin”.

Perché – ha aggiunto – “se vuoi la pace non lanci 100 missili ogni settimana per distruggere le infrastrutture. Non invii i tuoi soldati uno dopo l’altro in Donbas. Non fai ttutte questte cose quando cerchi una soluzione pacifica”.

Per questo, ha concluso, “arriverà il giorno di una grande mediazione, ma non siamo ancora lì, e lo dico con la massima tristezza”.

Il ministro Kuleba ha anche aggiunto che una mediazione dovrebbe avere alcuni prerequisiti, come succederebbe con ogni altro impegno che potrebbe prendere la Santa Sede. Di questi impegni, ha detto di aver parlato con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, durante il bilaterale che hanno avuto lo scorso 2 dicembre a margine del ministeriale OSCE di Lodz.

Kuleba ha affermato di aver detto all’arcivescovo Gallagher che “il Vaticano può scegliere la questione su cui sente di poter lavorare meglio, che sia lo scambio di prigionieri o il ritorno dei bambini rapiti dalla Russia”, o anche “la partecipazione nell’implementazione della formula per la pace”.

Tuttavia, “prendere un tema è il primo passo. Il secondo passo è come affronti la questione, e ci sono degli errori che eviteremmo”.

Tra questi errori, Kuleba include la diffusione dell’idea che Ucraina, Russia, e Bielorussia siano fratelli, perché “non lo siamo e se insisti nel concetto, allora non hai compreso”, dato che i russi “sono venuti a Kyiv a stuprare, violare le leggi di Dio nella terra ucraina”.

Altro errore da evitare, l’essere “neutrale nei commenti pubblici” in modo da non disturbare alcuna delle parti. Kuleba ha aggiunto che si deve sempre ricordare che la Russia è l’aggressore e l’Ucraina è la vittima dell’aggressione. Perciò, il tentativo di attribuire la responsabilità in maniera equa crea un messaggio completamente sbagliato”.

E il messaggio sbagliato sarebbe, secondo Kuleba, che “il presidente Putin vuole porre fine a questo conflitto. In effetti, dal 24 febbraio, le proposte di essere mediatori per definire il conflitto sono state una schermata di fumo, considerata la non volontà di queste nazioni di prendere le parti e supportare l’Ucraina”.

Nell’Angelus dello scorso 2 ottobre, Papa Francesco fece un appello, chiedendo al presidente Putin di fermare la guerra e al presidente ucraino Volodymir Zelensky di essere aperto a serie proposte del Papa. Secondo Kuleba, l’appello del Papa è problematico perché “fin quando dici al presidente Putin di fermare la guerra, ha perfettamente senso. Ma, nella seconda frase, chiedi al presidente Zelensky di essere aperto a serie propose di pace, e il modo in cui viene letto il messaggio è che Zelensky non è aperto alla pace.

Per questo, la sentenza posta in questo modo “crea l’impressione che entrambe le pari sono colpevoli: una a causa dell’attacco, l’altra a causa delle proposte di pace”.

Kuleba ha anche commentato che “una seria proposta di pace è basata sulla integrità territoriale dell’Ucraina, e ha chiesto ai giornalisti di “mettere da parte il concetto che l’integrità territoriale debba essere intesa con l’inclusione della Crimea”, perché anche questto crea una falsa percezione della realtà.

E la ragione sarebbe che “ogni volta che scrivi o leggi o dici che l’Ucraina insiste sulla restituzione della Crimea, invii il messaggio che la Crimea è un caso speciale. Ma per noi e per la legge internazionale. Non c’è differenza, per noi e per la legge internazionale, tra Sebastopoli e Kherson, Yalta e Donetsk”:

Riguardo il contributo che le religioni possono dare alla ricostruzione della nazione, il ministro degli Esteri ucraino sottolinea che “l’aggressione russa ha causato gravi fratture tra le religioni”, tanto che anche ebrei russi ed ebrei ucraini, o musulmani russi o musulmani ucraini si sono divisi.

Per Kuleba, “quello che ci si aspetta maggiormente dalle confessioni è consolare la gente, aiutarla spiritualmente. È un fatto: quando tutto va bene, ti dimentichi di Dio. Ma ora c’è una domanda più grande di aiuto spirituale per essere consolato dalla Chiesa.

Affrontando la questione delle decisione del Consiglio della Sicurezza Nazionale e della Difesa riguardo una legge che possa sanzionare le religioni affiliata con Mosca, Kuleba ha spiegato che c’è una sfera sociale e religiosa. Sebbene tutti abbiano la totale liberà di abbracciare la fede che vogliono, sappimo che “le confessioni religiose possono essere una roccaforte della rete pro-Russa, o delle narrative russe o delle posizioni russe in Ucraina”.

“In tempi di guerra – ha aggiunto – la nazione sta combattendo per la sua sopravvivenza. Questo è inaccettabile e non lo puoi tollerare”, come anche meno si può tollerare “benedire, da pare di sacerdoti in Ucraina, soldati russi che vanno al fronte chiedendo la loro vittoria”.

L’incarico – ha aggiunto – “non può essere una via di fuga per persone che voglio distruggere lo Stato ucraino. L’incarico non può essere un rifugio per le spie russo. E, sfortunatamente, ne abbiamo molte prove”.

Kuleba, d’altro canto, ha lodato il ruolo delle Chiese, specialmente la presenza di cappellani al fronte, e ha detto di aver notato “miglioramenti” nelle posizioni del Papa.

La verità, ha detto Kuleba, è che “questa guerra ha messo a repentaglio molti dei fondamenti dell’ordine politico globale”. E ha detto che la maggior delusione è venuta quando il Papa ha detto che la NATO aveva abbaiato alle porte della Russia, un tema che è forgiato dalla Russia, e dunque “menzionarlo equivale a legittimarlo”.

Allo stesso modo, il ministro degli Esteri ucraino ha notato che il Papa non ha più insistito sulla questione, e dunque “è doloroso che il Papa abbia detto qualcosa di quel genere, ma devo lodare il Papa per aver capito” e per non aver mantenuto concetti che “non funzionano e non reggono alla prova della realtà”.

Alla preghiera dell’8 dicembre davanti la statua dell’Immacolata in Piazza di Spagna, Papa Francesco si è commosso parlando dell’Ucraina. Una compassione, ha detto il responsabile della politica estera di Kyiv, che “significa molto per noi e va direttamene al cuore dell’Ucraina”.

Ha aggiunto che “ovviamente lo aspettiamo in Ucraina. La visita del Papa sarà benvenuta non solo dai cattolici, ma da tutta una ampia parte della società ucraina. Non vediamo l’ora di potergli dare il benvenuto”.

                                                FOCUS SANTA SEDE

L’assessore generale della Segreteria di Stato diventa nunzio

Lo scorso 2 dicembre, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha celebrato la Messa di ordinazione episcopale di Luigi Roberto Cona, già assessore della Segreteria di Stato, che il Papa ha nominato nunzio in El Salvador.

Co-consacranti erano l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, e il vescovo Rosario Gisana, ordinario di Piazza Armerina, diocesi di provenienza di monsignor Cona.

Nella sua omelia, il Cardinale Parolin ha parlato dei compiti del vescovo, tra i quali c’è quello di “mettere al riparo i fedeli tanto da ottuse chiusure — che, fossilizzando la vita della Chiesa in una determinata immagine ritenuta insuperabile, negano ogni possibilità di autentico progresso — quanto da irresponsabili fughe in avanti, che non permettono più di riconoscere il vero volto di Cristo, la sapienza e profondità del suo messaggio, la sua permanente irriducibilità alle tendenze in voga, che tendono sempre a estremizzare alcuni valori e a misconoscerne e a calpestarne altri”, e tutto questo attraverso l’insegnamento della vera dottrina.

Rivolgendosi direttamente al neo arcivescovo Cona, il Cardinale Parolin lo ha invitato a “esercitare l’arte della prudenza, per discernere e accogliere con intelligenza i buoni segni dei tempi e respingere quanto a una seria analisi impregnata di preghiera si dimostra non in sintonia con il Vangelo”.

Il nunzio, ha aggiunto il Cardinale Parolin, è la “voce del Papa presso le Chiese e gli Stati ai quali” viene un inviato. Un compito che, dal punto di vista civile, vuole “favorire la crescita di un dialogo autentico e serio, affinché prevalgano metodi pacifici nell’affrontare le questioni e nel gestire eventuali dissidi, i quali non devono condurre a esiti drammatici, ma a un impegno corale e in buona fede per ridurre i motivi di contrasto, cercando eque e ponderate soluzioni”.

Cona sarà inviato a El Salvador, Paese che porta il nome del salvatore e che tra l’altro ha avuto anche trascorsi violenti, tra cui il martirio del Cardinale Oscar Romero. A Cona, Papa Francesco ha chiesto di essere “artigiano di pace”.

                                                FOCUS ASIA

Il Cardinale Bo si rivolge alla giunta militare

Il 23 novembre, la giunta militare del Myanmar ha attaccato con un raid il 23 novembre il villaggio Mon Hla, uccidendo anche un bambino di sette anni. Nell’attacco sono morti anche sei membri delle Forze di Difesa del Popolo. Il raid ha raso al suolo anche 200 edifici.

Era la regione di origine del Cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, che ha espresso il suo dolore per il raid. I cristiani che vivono a Mon Hla, così come quelli dei villaggi Chaung Yoe e Chan Tar, sono di origine portoghese, e sono chiamati Baiyingi.

Il villaggio si trova nella municipalità di Khin-U, sotto attacco da metà novembre, mentre nello Stato occidentale del Rakhine i generali hanno firmato nelle settimane scorse una tregua con la principale milizia etnica dell’area, l’Arakan Army.

                                                FOCUS MULTILATERALE

L’Osservatore a Ginevra al Forum delle Ong di ispirazione cattolica

Il 2 – 3 dicembre si è tenuta a Roma la Quinta Assemblea Internazionale del Forum delle Ong di ispirazione cattolica, che aveva come tema “Missione e responsabilità in un mondo più giusto e fraterno”. Nato nel 2006, il Forum ha avuto un rilancio nel 2017, anno in cui ha anche avuto una udienza con Papa Francesco.

È intervenuto anche l’arcivescovo Fortunatus Nwachukwu, Osservatore Permanente della Santa Sede all’ufficio delle Nazioni Unite e in altre organizzazioni internazionali.

Nel suo contributo, il nunzio ha parlato di una “missione comune” per le ONG di ispirazione cattolica, partendo dalla Costituzione Conciliare Gaudium et Spes che “ci ricorda che la partecipazione della Santa Sede attraverso i suoi rappresentanti diretti e quella delle organizzazioni non governative di ispirazione cattolica nella diplomazia multilaterale è parte della missione della Chiesa, e in particolare della missione di predicare il Vangelo e dispensare i tesori di grazia a tutti gli uomini e donne”.

Da qui, la missione degli osservatori permanenti inviati dal Papa, a New York, Ginevra, Bruxelles, Roma, Vienna, Strasburgo, Addis Abeba, Nairobi e Washington (tutte sedi di organizzazioni multilaterali), che hanno la missionarie di assicurarsi che “oltre gli interessi nazionali e politici, gli Stati riconoscano anche come fondamentale la necessità di rispettare la vita umana, la dignità umana e il bene comune”, ma portano anche il loro contributo in queste organizzazione con “lo scopo ultimo di promuovere la dignità umana e il bene comune”.

Per l’arcivescovo Nwachukwu, le ONG cattoliche sono chiamate a cooperare con le missioni permanenti della Santa Sede per portare avanti una visione comune, secondo una cooperazione che Papa Francesco ha chiamato “lo stile di Dio”, e che riguarda quella che il nunzio definisce una “ecclesiologia delle relazioni”.

Secondo l’arcivescovo Nwachucku, la diplomazia della Santa Sede porta un “impronta trinitaria”, metafora importante anche per definire le relazioni tra le ONG cattoliche, le missioni permanenti della Santa Sede e il Santo Padre assistito dalla Segreteria di Stato e dalla Curia Romana.

Tutti e tre questi organismi hanno “la missione di promuovere la dignità umana e il bene comune, usando il Vangelo come punto di riferimento”.

Insomma, alla stessa maniera in cui Dio ha mandato il figlio nel mondo per porre in essere la sua volontà, così il Papa, aiutato dai superiori della Santa Sede, manda i suoi rappresentanti nel mondo per esprimere la visione condivisa della Santa Sede”.

Allo stesso modo, aggiunge Nwachucku, le Ong di ispirazione cattolica sono coinvolte nella comunità internazionale nel lavoro di advocacy come lo Spirito Santo è “avvocato”, e dunque sono chiamate a trovare nel Santo Padre la fonte della loro missione, così come il padre ha inviato lo Spirito Santo.

Inoltre, le ONG di ispirazione cattolica “accompagnano e supportano i fedeli cattolici”, anche lo Spirito Santo “resta con i seguaci di Cristo così che non restino orfani”. E infine, conclude l’arcivescovo Nwachucku, nella loro advocacy le ONG di ispirazione cattolica “devono mantenere una fluida relazione di lavoro con le missioni permanenti”, cosa che “riflette la missione di Gesù Cristo, privo Avvocato e ambasciatore del Padre, la cui presenza e missione sono prolungate e suscitate dallo Spirito Santo”.

Ne consegue che, spiega il nunzio, che come lo Spirito Santo svela la volontà del Padre, “voi, ONG di ispirazione cattolica, avete il compito di aiutare a stabilire tra i popoli solide fondamenta di una fraterna comunità”.

L’arcivescovo Nwachucku sottolinea ai membri del Forum che sono “responsabile di inserire valori umani e cristiani nei discorsi degli Stati”, e di essere “un legame di comunione, fraternità e amore tra il Santo Padre e i vostri interlocutori”.

Quali sono allora le sfide? La prima è quello che Papa Francesco ha definito “colonizzazione ideologica”, una nuova forma di colonialismo che vuole imporre “un set specifico di cosiddetti ‘ideali’ sulla popolazione con totale mancanza di rispetto dei suoi costumi, valori e culture”.

È un colonialismo che spesso “ha luogo limitando, o anche negando, risorse finanziarie alle nazioni in via di sviluppo se queste non promuovono questi ideali”, così “imponendo su queste nazioni una prospettiva a senso unico, che a loro volta non osano rischiare l’aiuto essenziale che ricevono per lo sviluppo e gli sforzi umanitari.

È ancora peggio, tuttavia – aggiunge il nunzio – che “mentre i poteri coloniali tradizionali sono stati, almeno in teoria, influenzati da alcune culture e valori”, oggi “le superpotenze sono dominate da ideologie post-cristiane e spesso anche anti-Cristiane”.

Si tratta di un colonialismo, aggiunge, che si diffonde in diversi modi, sebbene abbia due scopi specifici prevalenti la legalizzazione dell’aborto e quello dei diritti LGBTQI+.

La seconda sfida al sistema multilaterale è “la crescente politicizzazione, quindi polarizzazione delle discussioni”, cosa che è dovuta in parte alle “nuove forme di colonialismo, che tendono a focalizzarsi su questioni altamente politicizzate”. La questione viene particolarmente esacerbata, dice l’arcivescovo Nwachuckwu, nell’attuale clima globale sulla sicurezza.

Il nunzio spiega che la questione è ancora più complicata dalla guerra in Ucraina, che mostra un contrapposizione tra un occidente unanimemente contro l’aggressione russa all’Ucraina e un Sud silente che arriva a giustificarla come un atto contro l’arrogante occidente. Questa politicizzazione “occupa almeno un terzo del tempo che si passa nelle varie organizzazioni internazionali” a discutere invece che ad affrontare questioni concrete.

Infine, l’arcivescovo Nwachucwu mette in luce la sfida finale, che riguarda il tono aggressivo e arrogante nel quale le negoziazioni hanno luogo, mostrando che non c’è “uno sforzo comune di evitare il conflitto e risolvere le differenze arrivando a soluzioni accettabili per tutti”, ma piuttosto la tendenza, da parte di alcune delegazioni, a prendere un atteggiamento da “prendere o lasciare” che mette a rischio l’efficacia stessa dell’organizzazione usando l’approccio del consenso con un veto effettivo.

L’Osservatore della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra sottolinea che c’è dunque bisogno “di un ritorno al dialogo vero e autentico, che comincia con l’ascoltare l’altra parte o parti, comprendendo le loro legittime preoccupazioni e differenze e cercando in uno spirito di fraternità e buona volontà una accettabile soluzione di compromesso.

                                              FOCUS AMBASCIATORI

Presenta le credenziali il nuovo ambasciatore del Venezuela presso la Santa Sede

Il 9 dicembre, Ian Carlos Torrera Parra, ambasciatore del Venezuela presso la Santa Sede, ha presentato al Papa le proprie lettere credenziali. La presentazione delle lettera arriva dopo la recente visita in Venezuela del sostituto, l'arcivescovo venezuelano Edgar Pena Parra, che nell'occasione ha incontrato anche il presidente Nicolas Maduro, e menre la nunziatura a Caracas è ancora vacante.

Nato nel 1978, sposato e con una figlia, Ian Carlos Torres Parra è un esperto in promozione e gestione di Organizzazioni Non Governative, e ha studiato al corso per Diplomatici della Fondazione La Gregoriana e l'Istituto Internazionale Jacques Maritain, ha anche un dottorato in Teologia Biblica alla Pontificia Università Gregoriana. 

Ha ricoperto i seguenti incarichi: Segretario, Ministro Consigliere e Incaricato d’Affari a.i., presso l’Ambasciata in Italia (2008-2010); Ministro Consigliere e Incaricato d’Affari a.i., presso l’Ambasciata in Colombia (2010-2018)Professore di Teologia Biblica, presso l’Università Saveriana a Bogotá (2013-2014); Professore di Teologia Biblica, presso l’Università San Bonaventura a Bogotá (2013-2017); Professore di Teologia Biblica, presso l’Università cattolica “Cecilio Acosta” a Maracaibo (2021-2022); Vicerettore per Ricerca e Responsabile del Programma di Dottorato in Teologia della Università cattolica Santa Rosa a Caracas (2020-2022).