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La denuncia del Papa: no ai nuovi diritti nati con il Sessantotto

Papa Francesco e gli ambasciatori presso la Santa Sede | Foto di gruppo di Papa Francesco e gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede dopo l'incontro in Sala Regia, Cappella Sistina, 8 gennaio 2018 | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco e gli ambasciatori presso la Santa Sede | Foto di gruppo di Papa Francesco e gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede dopo l'incontro in Sala Regia, Cappella Sistina, 8 gennaio 2018 | Vatican Media / ACI Group

Pace, famiglia e migrazioni: Papa Francesco centra il suo discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede su questi tre pilastri, dopo una panoramica su alcune delle situazioni nel mondo che destano più preoccupazione: dalle tensioni nella penisola coreana al conflitto israelo-palestinese, dalla difficile situazione in Ucraina fino al Medio Oriente, con un focus speciale su Siria e Iraq. Ma soprattutto la preoccupazione sui nuovi diritti umani, nati con i movimenti del Sessantotto, che vanno a creare – denuncia il Papa – una “colonizzazione ideologica”.

Come tradizione, il primo discorso papale dell’anno è dedicato al corpo degli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, per una panoramica delle sfide future. Il numero degli ambasciatori residenti è aumentato lo scorso anno, con il Sudafrica, mentre la rete diplomatica della Santa Sede è arrivata a contare 183 Stati con l’inclusione del Myanmar lo scorso maggio.

Quella di Papa Francesco vuole essere una diplomazia prima di tutto pastorale, e infatti i suoi viaggi internazionali in Egitto, PortogalloColombia (un viaggio che il Papa lega alle aspirazioni di pace del popolo colombiano), Myanmar e Bangladesh sono parte del discorso, con tutte le impressioni maturate dal Santo Padre, con una sottolineatura con i rappresentanti di altre religioni, a testimonianza di come le “peculiarità di ciascuna religione non siano ostacolo al dialogo, bensì la linfa che lo alimenta nel comune desiderio di conoscere la verità e praticare la giustizia”.

Due anniversari

Due sono gli anniversari dell’anno: il centenario dalla fine della Prima Guerra Mondiale, da cui – dice il Papa - si possono ricavare “due moniti”: che “vincere non significa mai umiliare l’avversario sconfitto”, perché “la pace non si costruisce come affermazione del potere del vincitore sul vinto”, e non è “la legge del timore che dissuade da future aggressioni”; e il monito che “la pace si consolida quando le Nazioni possono confrontarsi in un clima di parità”, e da qui viene l’importanza data dalla Santa Sede al multilaterale, nata – ricorda il Papa – dalla proposta del presidente statunitense Woodrow Wilson di una associazione delle Nazioni e che oggi ha un ruolo importante nella Comunità Internazionale.

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Il secondo anniversario è il settantesimo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, approvata il 10 dicembre 1948. Il Papa ricorda che “per la Santa Sede, infatti, parlare di diritti umani significa anzitutto riproporre la centralità della dignità della persona, in quanto voluta e creata da Dio a sua immagine e somiglianza”. Anche perché c’è una stretta relazione tra messaggio evangelico e diritti umani, dato che lo stesso Gesù “guarendo il lebbroso, ridonando la vista al cieco, intrattenendosi con il pubblicano, risparmiando la vita dell’adultera e invitando a curare il viandante ferito, ha fatto comprendere come ciascun essere umano, indipendentemente dalla sua condizione fisica, spirituale o sociale, sia meritevole di rispetto e considerazione”.

Lo sviluppo umano integrale e i nuovi diritti

Da qui, la nozione di “sviluppo umano integrale”. Ma da qui anche la condanna del Papa all’interpretazione dei diritti nata “in seguito ai sommovimenti del Sessantotto”, che è arrivata ad “includere una molteplicità di ‘nuovi diritti’, non di rado in contrapposizione tra loro. Ciò non ha sempre favorito la promozione di rapporti amichevoli tra le Nazioni”, e addirittura ha portato il rischio “paradossale” che in nome degli stessi diritti umani “si vengano ad instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli”. Ma il Papa ammonisce anche che "è bene tenere presente che le tradizioni dei singoli popoli non possono essere invocate come un pretesto per tralasciare il doveroso rispetto dei diritti fondamentali enunciati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo", ed è questo un tema cruciale.

Il Papa denuncia che, settanta anni dopo, “molti diritti fondamentali” sono violati, a partire dal diritto “alla vita, alla libertà e alla inviolabilità di ogni persona umana”, lesi non solo da guerra e violenza, ma anche da “forme sottili”, come “i bambini innocenti, scartati ancor prima di nascere; non voluti talvolta solo perché malati o malformati o per l’egoismo degli adulti”, e gli anziani scartati, le donne che subiscono violenza, e le persone vittime della tratta di persone, specie quelle in fuga dalla povertà e alla guerra.

Anche il diritto alla salute, denuncia il Papa, è andato oltre la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che “mirava ad affermare il diritto di ciascuno ad avere le cure mediche e i servizi necessari” – e l’attacco sottinteso è al cosiddetto diritto alla salute riproduttiva, un eufemismo dietro il quale si nascondono campagne di promozione per la contraccezione e l’aborto. Il Papa chiede invece di impegnarsi per “un facile accesso” a cure e trattamenti sanitari”, chiedendo che le medicine siano fornite “a prezzi accessibili”, senza però “tralasciare la ricerca e lo sviluppo di trattamenti che, sebbene non siano economicamente rilevanti per il mercato, sono determinanti per salvare vite umane”.

L’impegno per la pace

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L’impegno della pace è parte, per Papa Francesco, della difesa alla vita. Il Papa denuncia che “gli sforzi collettivi della Comunità internazionale, l’azione umanitaria delle organizzazioni internazionali e le incessanti implorazioni di pace che si innalzano dalle terre insanguinate dai combattimenti sembrano essere sempre meno efficaci di fronte alla logica aberrante della guerra”, ma questo non deve far diminuire gli sforzi, anzi.

Il Papa lega lo sviluppo integrale al disarmo integrale, nota che “la proliferazione di armi aggrava chiaramente le situazioni di conflitto e comporta enormi costi umani e materiali che minano lo sviluppo e la ricerca di una pace duratura”, plaude al “risultato storico” del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari ratificato dalla Santa Sede, chiede “sforzi perseveranti verso il disarmo e la riduzione del ricorso alla forza armata e alla gestione degli affari internazionali”.

Papa Francesco ribadisce che il negoziato è la soluzione principe per le eventuali controversie tra i popoli, soprattutto nel mezzo di questa proliferazione delle armi che rinfocola la terza guerra mondiale a pezzi.

Papa Francesco poi fa una panoramica degli scenari di conflitto: la necessità di dialogo nella penisola coreana; la difficile situazione dell’amata Siria, con l’auspicio che “dopo tanta distruzione sia giunto il tempo di ricostruire”; la situazione dei rifugiati in Giordania, Libano e Turchia; l’Iraq in cui è necessario dialogo “perché le varie componenti etniche e religiose possano ritrovare la strada della riconciliazione e della pacifica convivenza e collaborazione”; conflitti in Yemen e Afghanistan.

Papa Francesco dedica una menzione particolare al conflitto israelo palestinese, chiede con forza di rispettare “lo status quo di Gerusalemme, città sacra a cristiani, ebrei e musulmani”, sottolinea l’urgenza di una soluzione diplomatica per la presenza di “due Stati indipendenti entro confini internazionalmente riconosciuti”.

Dal Medio Oriente, lo sguardo del Papa si sofferma sulla “sempre più drammatica e senza precedenti” crisi umanitaria del Venezuela. Quindi l’Africa, dove vengono menzionati il Sud Sudan che il Papa non ha potuto menzionare, la Repubblica Democratica del Congo teatro di scontri e repressione stigmatizzata dal nunzio nel Paese, le situazioni di Somalia, Nigeria e Repubblica Centroafricana “dove il diritto alla vita è minacciato dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse, dal terrorismo, dal proliferare di gruppi armati e da perduranti conflitti”.

Il Papa poi si sofferma sull’Ucraina, dove “il conflitto che affligge il Paese” ha continuato “a recare grandi sofferenze alla popolazione, in particolare alle famiglie che risiedono nelle zone interessate dalla guerra e che hanno perso i loro cari, non di rado anziani e bambini”.

La famiglia

In Ucraina, come in tutti i Paesi ex sovietici, è stata la famiglia a tenere insieme le tradizioni cristiane durante il regime sovietico. La famiglia è centro dell’impegno diplomatico della Santa Sede. Il Papa denuncia che “in Occidente, la famiglia sia ritenuta un istituto superato”, e si preferiscono “rapporti volubili”, ma questi sono costruzioni sulla sabbia, e invece c’è bisogno di costruire sulla roccia. E la roccia è “quella comunione di amore, fedele e indissolubile, che unisce l’uomo e la donna, una comunione che ha una bellezza austera e semplice, un carattere sacro e inviolabile e una funzione naturale nell’ordine sociale”. Per questo, il Papa chiede “reali politiche a sostegno delle famiglia, dalla quale peraltro dipende l’avvenire e lo sviluppo degli Stati. Senza di essa non si possono infatti costruire società in grado di affrontare le sfide del futuro”.

Le migrazioni

Il Papa ricorda che ci sono famiglie spezzate a causa di povertà, di guerre e migrazioni, introducendo così il tema principale dell’anno, che è quello dell’attenzione e della sollecitudine per migranti e rifugiati. La Santa Sede è particolarmente attiva nei negoziati per i due global compact delle Nazioni Unite sulle migrazioni sicure e sui rifugiati.

Il Papa stigmatizza l’uso delle migrazioni a scopo di creare, ricorda che le migrazioni ci sono sempre state, chiede di andare oltre la retorica, perché “pur riconoscendo che non sempre tutti sono animati dalle migliori intenzioni, non si può dimenticare che la maggior parte dei migranti preferirebbe stare nella propria terra”.

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Le quattro parole chiave per i migranti – contenute anche nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace dedicato al tema "Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace" – sono accogliere, promuovere, proteggere e integrare, e il Papa le declina di nuovo, ricordando il suo incontro con i Rohingya in Myanmar, ringraziando gli Stati “che si sono prodigati in questi anni per fornire assistenza ai numerosi migranti giunti ai loro confini”, come i “non pochi Paesi in Asia, in Africa e nelle Americhe, che accolgono e assistono numerose persone”, ma anche l’Italia “che in questi anni ha mostrato un cuore aperto e generoso e ha saputo offrire anche dei positivi esempi di integrazione”, e Germania e Grecia, di cui il Papa ha sostenuto l’impegno con il suo viaggio nell’Isola di Lesbos nel 2016.

L’arrivo dei migranti – sottolinea il Papa – deve “spronare l’Europa a riconoscere il proprio patrimonio culturale e religioso”, perché i migranti cercano l’Europa “perché sanno di potervi trovare pace e sicurezza”.

Parlando dell’impegno della Santa Sede per i migranti, il Papa ricorda che “la Santa Sede non intende interferire nelle decisioni che spettano agli Stati, i quali, alla luce delle rispettive situazioni politiche, sociali ed economiche, nonché delle proprie capacità e possibilità di ricezione e di integrazione, hanno la prima responsabilità dell’accoglienza”. Piuttosto, la Santa Sede svolge “un ruolo di richiamo dei principi di umanità e fraternità”.

Il diritto alla libertà di pensiero e il diritto al lavoro

Il discorso di Papa Francesco nota poi la necessità di proteggere la libertà di pensiero, di coscienza e religione, che “include la libertà di cambiare religione,” un diritto, quest’ultimo, “sovente disatteso”, mentre la religione diviene “o l’occasione per giustificare ideologicamente nuove forme di estremismo o un pretesto per l’emarginazione sociale, se non addirittura per forme di persecuzione dei credenti”.

Quindi, il diritto al lavoro, perché – afferma il Papa – “non vi è pace né sviluppo se l’uomo è privato della possibilità di contribuire personalmente tramite la propria opera all’edificazione del bene comune”. Papa Francesco denuncia da che un lato c’è “un’iniqua distribuzione delle opportunità di lavoro”, mentre “dall’altro si rileva la tendenza a pretendere da chi lavora ritmi sempre più pressanti”.

Ma il tema che sta più a cuore al Papa è l’incremento del lavoro minorile e delle nuove forme di schiavitù, segnalato da un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro. I governi – dice il Papa – dovrebbero mettere la lotta a questo fenomeno tra le loro priorità, perché “non si può – sottolinea il Papa - pensare di progettare un futuro migliore, né auspicare di costruire società più inclusive, se si continuano a mantenere modelli economici orientati al mero profitto e allo sfruttamento dei più deboli, come i bambini”.

Costruire il bene comune come si costruirono le cattedrali

Infine, il Papa sottolinea il dovere di curare del creato - uno dei doveri connessi ai Diritti Umani, sottolinea - perché “non bisogna dimenticare che c’è anche una precipua responsabilità dell’uomo nell'interazione con la natura”, in particolare sul tema dei cambiamenti climatici. Sottolinea il Papa “occorre affrontare, in uno sforzo congiunto, la responsabilità di lasciare alle generazioni che seguiranno una Terra più bella e vivibile, adoperandosi, alla luce degli impegni concordati a Parigi nel 2015, per ridurre le emissioni di gas nocivi all’atmosfera e dannosi per la salute umana”. Un impegno che il Papa assimila a quello dei costruttori delle cattedrali medievali che costellano l’Europa, perché chi le costruiva saprebbe che non le avrebbe viste terminate, ma si impegnò per lasciare il progetto alle nuove generazioni.

Conclude il Papa: “Ciascun uomo e donna di questo mondo – e particolarmente chi ha responsabilità di governo – è chiamato a coltivare lo stesso spirito di servizio e di solidarietà intergenerazionale, ed essere così un segno di speranza per il nostro travagliato mondo”.