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Diplomazia pontificia, Gallagher in Ucraina, Parolin in Croazia

Il Cardinale Parolin è stato in Croazia dal 10 al 12 maggio, celebrando i 30 anni di relazioni diplomatiche. La questione dell’arresto di Zen. La visita di Gallagher in Ucraina la prossima settimana

Parolin, Plenkovic | Il Cardinale Parolin e il Primo Ministro croato Plenkovic a Zagabria, 12 maggio 2022 | AG / ACI Group Parolin, Plenkovic | Il Cardinale Parolin e il Primo Ministro croato Plenkovic a Zagabria, 12 maggio 2022 | AG / ACI Group

Sarà a partire da mercoledì 18 maggio che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, sarà in Ucraina, per un viaggio che avrebbe dovuto avere luogo Lunedì Santo e che invece è stato rinviato di più di un mese a causa del COVID del Segretario per i Rapporti con gli Stati. Il viaggio è l’ennesimo gesto della Santa Sede che dimostra l’attenzione che si ha per la situazione in Ucraina.

Della crisi ucraina ha parlato anche il Cardinale Parolin, durante la sua terza visita in Croazia da Segretario di Stato, avvenuta dal 10 al 12 maggio. Durante la visita, il Cardinale ha affrontato anche la questione della Bosnia Erzegovina, cruciale per la regione balcanica.

Altre cose da segnalare: Bulgaria e Ungheria hanno di nuovo un nunzio apostolico, dopo la breve vacanza dovuta al pensionamento dei precedenti nunzi; il Cardinale Parolin ha viaggiato anche in Costa d’Avorio; l’arresto del Cardinale Zen a Hong Kong potrebbe avere delle ricadute diplomatiche.

                                                FOCUS UCRAINA

Dal 18 maggio, Gallagher sarà in Ucraina

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L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha annunciato lo scorso 10 maggio in una intervista con il TG2 che sarà a Kiev a partire dal 18 maggio.

Nell’intervista, lunga venti minuti, l’arcivescovo Gallagher ha detto prima di tutto che il Papa riconosce ogni sistema di sicurezza o di difesa, ma che sia proporzionata, perché “è molto attento a non entrare in una nuova corsa alle armi”, ma piuttosto a “lasciare spazio sempre al dialogo e alla discussione per arrivare alla pace”.

La Santa Sede piuttosto ha il compito di “creare spazi di dialogo", ha sottolineato il "ministro degli Esteri" vaticano.

L’arcivescovo Gallagher ha detto che non bastano i gesti di solidarietà, come i viaggi dei Cardinali Krajewski e Czerny o l’accoglienza delle mogli dei comandanti del battaglione Azov in piazza San Pietro, ma si tratta comunque di gesti “importanti per offrire incoraggiamento e speranza”.

La guerra in Ucraina tocca anche i rapporti ecumenici con il Patriarca di Mosca Kirill e la Chiesa ortodossa. “È innegabile una dimensione religiosa in questo conflitto”, afferma Gallagher, rilevando un clima di tensione crescente all'interno delle Chiese ortodosse e la difficoltà della Chiesa ortodossa russa di prendere posizioni diverse dal governo. Per il Papa - spiega - il dialogo ecumenico è una priorità, anche se in questo momento l'incontro con il patriarca Kirill non appare opportuno perché non ci sono le condizioni giuste . Ma il dialogo andrà avanti.

L’arcivescovo Gallagher ha poi allargato lo sguardo ai grandi attori internazionale, a partire da Stati Uniti e Cina, che hanno un ruolo molto importante come membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

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Parlando della Cina, il ministro degli Esteri vaticano chiarisce che la “Santa Sede porta avanti il dialogo da tanti anni soprattutto sulla dimensione ecclesiale”. “Non è sempre facile”, ammette, ci sono difficoltà e non sempre “i risultati voluti”, ma la Santa Sede incoraggia la Cina a svolgere il ruolo che le appartiene nel mondo.

Del viaggio di Gallagher in Ucraina ha parlato anche il Cardinale Pietro Parolin a margine di un convegno della Fondazione Giovanni Paolo I del 13 maggio. Il segretario di Stato ha spiegato che la missione di Gallagher servirà a ribadire gli obiettivi per cui la Segreteria di Stato vaticana “ha lavorato e sta lavorando nella misura del possibile, perché gli spazi sono molto ristretti”. 

Tra le richieste, “il cessate il fuoco”, come “punto di partenza fondamentale” e che “si concludano le operazioni belliche”. La speranza, dice il cardinale, è che “si cominci un dialogo serio, senza pre-condizioni, in cui si cerchi di trovare una strada per risolvere questo problema”.

Il Cardinale ha anche affrontato il tema dell'invio delle armi all'Ucraina. Parolin ha spiegato che "c’è un diritto alla difesa armata in caso di aggressione”, come afferma anche il Catechismo della Chiesa cattolica, ma “a determinate condizioni”. La prima, sottolinea il cardinale, è “quella della proporzionalità, poi il fatto che la risposta non produca maggiori danni di quelli dell’aggressione. In questo contesto si parla di ‘guerra giusta’”.

“Capisco - ha aggiunto Parolin - che nel concreto sia più difficile determinarlo, però bisogna avere alcuni parametri chiari per affrontare nella maniera più giusta e moderata possibile il tema delle armi”.

Il Cardinale ha anche sottolineato che alla fine Russia e Ucraina dovranno trovare una soluzione, dato che condividono migliaia di chilometri di confine, e ha sottolineato che il problema è l'erosione del multilateralismo, e dunque “è logico che quando ognuno si concentra sui propri interessi, sul proprio punto di vista, e non sa condividere e trovare risposte comuni, alla fine sono questi gli sbocchi”.

Come detto anche da Gallagher, la Santa Sede accoglie ogni proposta per la pace e dunque anche l'iniziativa di pace proposta dal governo italiano". 

Per quanto riguarda Mariupol, la Santa Sede - dice il Segretario di Stato vaticano - aveva "dato la disponibilità ad essere garanti per l’evacuazione dei civili rimasti, però poi non si è più fatto niente. Almeno io non ho sentito che ci sia stato un seguito…”. Tentativi in queste settimane “ce ne sono stati tanti, questo era l’ultimo. Anche in precedenza avevamo dato grande disponibilità, con il nunzio stesso c’era stata addirittura l’idea di andare insieme al metropolita di Zaporizhzhia, ma di fatto non c’è stato più un seguito, perché non sono state date garanzie di sicurezza per la missione”.

Il Cardinale ha anche ricordato che i rapporti con il Pariarcato di Mosca non sono al punto zero, per quanto la situazione sia difficile.

                                                FOCUS PAROLIN IN CROAZIA

Il Cardinale Parolin in Croazia, il discorso ai vescovi

Dal 10 al 12 maggio, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, è stato in Croazia per una serie di incontri che hanno celebrato i 30 anni di relazioni diplomatiche e i 25 anni dalla firma dell’accordo tra Croazia e Santa Sede.

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L’11 maggio, il Cardinale ha incontrato i vescovi della Croazia.

Nel suo discorso, il Cardinale ha affermato che il popolo croato “ha sempre manifestato un’innegabile fedeltà alla Sede Apostolica”, e allo stesso i pontefici hanno sempre “avuto a cuore l’incremento degli strettissimi legami con il popolo croato”.

Il Cardinale Parolin ha ricordato che “dopo gli anni della dittatura comunista, durante i quali si è fatto tutto, attraverso persecuzioni sanguinose e sistematiche, per troncare il legame della popolazione croata con i successori di San Pietro”, il 25 giugno 1991 la Croazia, insieme alla Slovenia, hanno proclamato la loro indipendenza, e la Santa Sede ha riconosciuto l’indipendenza il 13 gennaio 1992, e meno di un mese dopo, l’8 febbraio 1992, Santa Sede e Croazia hanno stabilito le relazioni diplomatiche.

Giovanni Paolo II visitò la Croazia ben tre volte, a testimonianza del suo legame con il Paese.

Altra occasione di celebrazione erano i 25 anni dei primi tre dei quattro accordi bilaterali siglati tra Santa Sede e Croazia, siglati tra il 1996 e il 1998, mentre la Chiesa ha eretto l’Ordinariato militare e cinque altre diocesi, nella scuola è tornato l’insegnamento della religione e della Teologia nelle università statali, ed è stata aperta l’Università Cattolica di Zagabria e diverse numerose scuole cattoliche.

Il cardinale Parolin ha ringraziato i vescovi per il comune impegno che ha permesso di instaurare “buoni rapporti tra la Chiesa e lo Stato”, e ha apprezzato “la recente iniziativa delle riunioni semestrali a livello di Primo Ministro e di Consiglio permanente di codesta Conferenza Episcopale, contribuisce a migliorare ulteriormente la collaborazione tra le due Istituzioni”.

Il Cardinale si è detto anche soddisfatto che “uno dei risultati del dialogo tra la Chiesa e lo Stato è la firma dell’Accordo sulla Caritas della Chiesa cattolica nella Repubblica di Croazia, avvenuta il 18 marzo scorso, implementando così l’articolo 17 dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di Croazia circa questioni giuridiche, del 1996”.

Il cardinale ha poi sottolineato le “diverse ed importanti iniziative pastorali” come “le giornate nazionali delle famiglie cattoliche o quelle della gioventù cattolica”, nonché il programma di protezione delle persone minorenni e vulnerabili della Chiesa Cattolica Croata.

Cardinale Parolin a Zagabria, la celebrazione della Messa

Sempre l’11 maggio, il Cardinale Parolin ha presieduto a Zagabria una Messa concelebrata con tutti i vescovi di Croazia.

Nell’omelia, ha ricordato che “nella Parola di Dio troviamo la luce per la vita della Chiesa in ogni tempo”, ed è “quella luce che ci permette di vedere anche nelle tenebre in cui siamo immersi”, come è successo negli ultimi due anni di pandemia, quando “ogni tentativo di soluzione sembrava inadeguato”, aggravati in Croazia nelle arcidiocesi di Zagabria e di Sisak con l’esperienza di due devastanti terremoti nel maggio e dicembre 2020.

Sono esperienze – ha detto il Cardinale Parolin – in cui ci “troviamo disorientati”, ma la crisi ci invita anche “al discernimento, perché necessita di chiarimenti, scelte e delusioni”, e così “mentre guardiamo le ferite del corpo di Cristo che brillano nella vittoria pasquale, vediamo anche le ferite di questo mondo”.

Il cardinale ha poi ricordato che “la luce di Cristo è affidata a noi”, in un impegno che è anche gioia, come dicono i santi, e in particolare i santi che sono stati celebrati durante i giorni di permanenza del cardinale: la Madonna di Trsat il 10 maggio, il Beato Ivan Merz, lo stesso giorno, San Lepoldo Mandic il 12 maggio, il 13 maggio la Maddona di Fatima.

Ma non poteva mancare il ricordo del Cardinale Aloizije Stepinac, la cui causa di canonizzazione è per ora sospesa nonostante tutto sia pronto, le cui spoglie riposano proprio nella Cattedrale inagibile. “In questi tempi di guerra in Europa – ha detto il Cardinale Parolin - vale la pena ricorrere alla sua intercessione. Noi oggi come lui allora siamo davanti al male che nasce nei cuori degli uomini e tende ad occupare le menti e le anime”.

Il Cardinale Parolin in Croazia, la festa del Papa

La sera dell’11 maggio, si è tenuta alla nunziatura di Zagabria la “festa del Papa”. Nell’occasione, il Cardinale Parolin ha tenuto un discorso in lingua inglese, rivolgendosi anche alle autorità civili e ai membri del Corpo Diplomatico presenti, nonché ai rappresentanti di altre confessioni religiose.

Oltre ai 30 anni dal riconoscimento della Repubblica di Croazia e i 25 anni dell’entrata in vigore di tre accordi con la Croazia, il Cardinale Parolin ha ricordato che proprio l’11 maggio di 30 anni fa l’arcivescovo Giulio Einaudi, primo nunzio apostolico in Croazia, presentò le sue credenziali all’allora presidente Franjo Tudjman, iniziando un servizio che durò 11 anni.

Il Cardinale Parolin ha notato che “se 30 anni fa la Croazia è stata riconosciuta da molti membri della comunità internazionale e formalmente inclusa tra le nazioni democratiche, dobbiamo sfortunatamente riconoscere oggi che il sistema democratico nel mondo vive una certa crisi”.

Una crisi – aggiunge il Cardinale – che è data non solo dal “ritorno dell’isolazionismo e dell’autoritarismo”, ma anche da “nuove forme di ineguaglianza, sfruttamento di persone e anche schiavitù”, mentre ormai da tre mesi “una nuova guerra, una parola che si pensava completamente esclusa dal vocabolario del Vecchio Continente, è tornata con le sue tragedie e peso di sofferenza”.

Il Cardinale ha messo in luce che il timore è ora che “i molti conflitti a pezzi si unifichino in una nuova unica guerra mondiale”.

Il Segretario di Stato vaticano ha affermato che “dittature mascherate” possono tornare alla luce, e quando queste sono ignorate, “o per superficialità o per altri interessi, prendono radici e la loro principale preoccupazione diventa la preservazione del potere, piuttosto che il bene comune”.

Parolin ha sottolineato che la Croazia sa cosa significhi conquistare e custodire l’indipendenza, ricordato che “gli accordi che stiamo celebrando oggi indicano la strada verso una pacifica coesistenza tra i popoli e il ruolo della Chiesa nella società”, affermato che “la fedeltà creativa alle origini di ciascuno, di cui si parla spesso nella sfera ecclesiale oggi, devono assicurare che uno deve sempre sapere come prendersi cura delle radici sulle quali le relazioni tra Stato e Chiesa sono fondate.

La speranza del Cardinale Parolin è, infine, che “le relazioni tra Croazia e Santa Sede possano continuare come nel loro inizio, evolvendo in in modo da fare costanti progressi e rimanere attuali, prendendo in considerazione le sfide dei tempi presenti”.

Il Cardinale Parolin in Croazia, l’incontro con il Primo Ministro

Il 12 maggio, il Cardinale Parolin ha avuto un bilaterale con il Primo Ministro croato Andrej Plenkovic e poi un pranzo di lavoro con il presidente croato Zoran Milanovic.

Il Cardinale ha parlato in una conferenza congiunta con il Primo Ministro Plenkovic, definendo i temi delle conversazioni. In particolare, il Cardinale si è soffermato sull’accordo della Croazia con Caritas Internationalis, da lui definito particolarmente importante. Ma non ha mancato di accennare con forza alla questione della Bosnia, ricordando la recente visita dell’arcivescovo Gallagher nel Paese, proprio nella consapevolezza dei problemi presenti.

Andando con ordine: il Primo Ministro Plenković ha espresso soddisfazione per il proseguimento di un dialogo di qualità e significativo su tutti i temi importanti nelle relazioni tra la Croazia e la Santa Sede.
Plenković ha aggiunto che i rapporti tra il popolo croato e la Santa Sede sono forti, stabili e affettivi, e la cooperazione è eccellente e si riflette nei rapporti tra il governo e la Conferenza episcopale croata, che tengono regolari riunioni semestrali. Chiesa cattolica in Croazia sia per il governo che per i cittadini.

In questa occasione, ha anche ricordato l'accordo firmato di recente tra il governo croato e la Caritas, che sarà così in una posizione ancora migliore per svolgere la sua missione sociale umanitaria di aiuto alle persone più in pericolo.
 "Nelle sue politiche, il governo tiene conto del principio cristiano della solidarietà e si prende cura di coloro che hanno bisogno di ulteriore aiuto durante la crisi", ha affermato il primo ministro Plenković.

Durante l'incontro sono stati discussi anche temi internazionali. Per quanto riguarda la situazione in Ucraina dopo l'invasione russa, il primo ministro Plenković ha espresso la posizione chiara della Croazia sulla condanna dell'aggressione, sulla violazione del diritto internazionale e dei principi dell'ordine internazionale e sulla grande crisi umanitaria.

 “La Croazia – ha detto il primo ministro - sta aiutando l'Ucraina fisicamente, diplomaticamente, militarmente, umanitariamente ed economicamente e continueremo a farlo con la convinzione che dovremmo farlo e aiutare il popolo ucraino amichevole. Sosteniamo anche la pace e la fine del conflitto e che Ecco perché il reinserimento della regione croata del Danubio è stato il modo più appropriato perché gli accordi di Minsk prendessero vita e portassero alla reintegrazione pacifica dei territori occupati dell'Ucraina ".

Il Primo Ministro croato e il Cardinale Parolin hanno anche discusso della situazione in Bosnia Erzegovina, Plenkovic ha in particolare sottolineato che l’uguaglianza del popolo croato in Bosnia Erzegovina è molto importante, e questa uguaglianza si può raggiungere solo modificando la legge elettorale esistente, che impedisce ai croati di eleggere i loro rappresentanti. Tra l’altro, è un tema che ha portato ad un “esodo nascosto” di cristiani dal Paese.

Da parte sua, il Cardinale Parolin ha definito anche “eccellenti” le relazioni tra Croazia e Santa Sede, ha enfatizzato l’importanza dell’accordo tra governo e Caritats, e, parlando della guerra in Ucraina, ha espresso la preoccupazione della Santa Sede per l'enorme crisi umanitaria, sottolineando quanto il Santo Padre sia favorevole a un cessate il fuoco e offre la sua mediazione nei negoziati per raggiungere una soluzione pacifica.

Affrontando la situazione in Bosnia Erzegovina, il Segretario di Stato vaticano ha notato che "tutto ciò che sta accadendo in Bosnia ed Erzegovina è estremamente importante per la Santa Sede e ci impegniamo a riconoscere veramente la costitutività di tutti e tre i popoli, e ci impegniamo per questo obiettivo".

Il Cardinale Parolin ha anche detto che la visita dell’arcivescovo Gallagher nel Paese ha reso chiaro per la comunità internazionale quanto la questione sia importante per la Santa Sede, e che “si tratta di sensibilizzare la comunità internazionale sui pericoli che l'attuale situazione pone alla stabilità dell'intero Paese e della regione".

Il Cardinale Parolin parla con i media croati

In una intervista con sei media croati l’11 maggio – tra cui l’affiliata EWTN Laudato TV – il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha affrontato diversi temi, dalle relazioni con la Croazia fino alla Salute del Papa.

Il Cardinale ha definito “ottimi” i rapporti tra Santa Sede e Croazia, ha detto che gli accordi di cui si celebrano i 25 anni funzionano, ma devono ovviamente essere perfezionati, e ha sottolineato che va approfondita la questione della restituzione dei beni ecclesiastici.

Richiesto sull’eventuale canonizzazione del Cardinale Stepinac, il Cardinale Parolin ha detto che non ci sono sostanziali novità, dato che la commissione storica cattolico-ortodossa voluta da Papa Francesco “non è giunta a conclusioni comuni”, e ha aggiunto che “i fedeli della Croazia devono aspettare il tempo di Dio per questa faccenda, perché tutto sembra andare bene”.

Parlando della guerra in Ucraina, il Cardinale Parolin ha detto che il Papa ha offerto anche la mediazione della Santa Sede – una offerta ancora non accettata, ma nemmeno rifiutata – , ha ricordato che il Papa è persino disposto ad andare a Mosca, ma ha anche detto che la Santa Sede non ha smanie di protagonismo.

Parlando della pandemia, il Cardinale ha detto che “la pandemia è stata una grande tentazione”, che ha lasciato ferite nel numero dei credenti concreti. Ma – ha aggiunto – “se le persone non vengono, dobbiamo andare a cercarle, e soprattutto - magari anche in tema di impoverimento - dobbiamo impegnarci a prenderci cura degli altri. La Chiesa deve essere veramente una casa in cui ci si prende cura dei bisogni della gente”.

Il Segretario di Stato vaticano ha ribadito l’importanza del dialogo con la Russia e quella dell’Est Europa in generale, fatto ancora più importante oggi perché “questa guerra, purtroppo, sta distruggendo anche i canali di comunicazione. Ecco perché è importante ristabilirli. I problemi non sorgono quando c'è troppo dialogo, ma quando non c'è dialogo. Problemi e difficoltà nascono da una mancanza di dialogo, ma direi in generale, in un certo senso, che quanto accaduto - può suonare duro - poteva essere previsto nel senso che abbiamo assistito lentamente a una progressiva erosione di quello che viene chiamato multilateralismo, cioè il fatto che siamo in grado di affrontare attraverso il dialogo i grandi problemi del mondo di oggi e di trovare soluzioni comuni”.

Il cardinale ha avuto parole molto chiare anche sulla questione del Sinodo: gli sta a cuore il percorso sinodale convocato dal Papa, ma ha fortemente criticato il Cammino Sinodale in Germania perché non possono essere trattate da una singola chiesa particolare “decisioni come quelle messe all'ordine del giorno che affrontano questioni fondamentali nella vita della Chiesa, come la sua dimensione gerarchica, sacerdozio ministeriale e il sacerdozio delle donne, il tema del celibato sacerdotale e così via, e il tema della moralità è uno dei più centrati, così come il tema del potere nella Chiesa,

Anzi, ha aggiunto, a volte “la comunione nella Chiesa richiede passi meno lunghi di quanto si vorrebbe, ma questi sono passi fermi. Penso che sia una chiamata fondamentale. Ho visto in altri vescovi, in altri vescovi, questa preoccupazione che la Chiesa in Germania sia separata dal pensare a questi temi dalla Chiesa nel suo insieme e, naturalmente, dal Papa, da tutti gli altri vescovi”. 

Riguardo l’impegno dei cattolici in politica, il Cardinale ha sottolineato che è importante aiutare a educare i cristiani che saranno coinvolti nella politica, perché anche questo è un compito della Chiesa che non deve essere trascurato. Cattolici impegnati nella politica e nello spirito di servizio, è fondamentale, e operante per il bene comune: sono questi i due parametri fondamentali a cui un politico cattolico deve ispirarsi nel suo impegno nella società civile”. 

Il Cardinale ha anche raccontato di aver incontrato il Papa pochi giorni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, e ha detto che era “estremamente preoccupato, ma il tema si è subito imposto e ha cominciato a pensare a cosa avrebbe fatto la Santa Sede per fermare questa guerra. La conversazione, quindi, si è praticamente concentrata su quello. Sono state valutate insieme diverse opzioni, diversi tipi di intervento, e alla fine ha deciso: ‘Il primo gesto che devo fare è andare all'ambasciata russa e dire alle autorità direttamente tramite l'ambasciatore, tramite l'ambasciata che devono fermare la guerra’. Il suo appello, quel suo primo appello, era proprio questo: basta con la guerra! Era, in breve, il nostro incontro, il contenuto del nostro incontro. Inoltre, non c'è bisogno di ripetere gli interventi che ha fatto”.

                                    FOCUS PAROLIN IN COSTA D’AVORIO

Il Cardinale Parolin in Costa d’Avorio

Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, è stato in Costa d’Avorio dal 5 all’8 maggio. Scopo della visita era l’ordinazione episcopale di Jean-Sylvain Emien Mambé, nominato da Papa Francesco nunzio in Mali. È il primo nunzio proveniente dalla Costa d’Avorio.

La visita del Cardinale Parolin ha anche incluso diversi incontri con le personalità locali. Il 6 maggio, il Cardinale Parolin ha incontrato il primo ministro Patrick Achi e poi il presidente della Repubblica Alassane Ouattara.

Durante la visita al primo ministro Achi, il Cardinale ha sottolineato che “questa visita è un segno degli ottimi rapporti che esistono tra Santa Sede e Costa d’Avorio, ed è anche una opportunità per incoraggiare il vostro Paese a proseguire negli sforzi che sta compiendo per il consolidamento della pace, della riconciliazione e dello sviluppo”, obiettivo che il Segretario di Stato vaticano ha poi esteso alla sotttoregione in cui si trova la Costa d’Avorio.

Al termine dell’incontro con Ouattara, il Cardinale Parolin ha sottolineato di aver “discusso dei progressi compiuti in Costa d’Avorio che hanno permesso di consolidare la pace”, e di aver anche parlato di “alcune difficolà dei Paesi vicini” e di come sia comunque necessario andare avanti per cercare la pace.

Il Cardinale ha ribadito che la Santa Sede è detterminata a continuare la buona collaborazione – ormai cinquantennale – con la Costa d’Avorio. Il cinquantenario delle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Abidjan è stato celebrato nel settembre 2021.

Il Cardinale ha concluso il viaggio domenica 8 maggio, con una celebrazione eucaristica nella Basilica di Nostra Signora della Pace a Yamoussokro. Nell’omelia, il Cardinale ha sottolineato che “Cristo si presenta come il vero pastore, colui che veglia il suo gregge giorno e notte”, e che continua la sua opera nella Chiesa”.

Dopo la Messa, il Cardinale Parolin ha visitato i malati e i personale dell’ospedale San Giuseppe Moscati, una struttura ospedaliera nata dallo sforzo congiunto di Santa Sede e Stato ivoriano.

                                                 FOCUS ASIA

L’arresto del Cardinale Zen e l’impatto diplomatico

L’arresto del Cardinale Joseph Zen da parte delle autorità cinesi lo scorso 11 maggio con l’accusa di “influenza straniera”, e il suo successivo rilascio su cauzione, possono avere un particolare impatto sulle relazioni tra Santa Sede e Cina.

Come è noto, Santa Sede e Cina stanno per entrare nel vivo delle negoziazioni per un eventuale rinnovo dell’accordo confidenziale sulla nomina dei vescovi. Non si conoscono i termini dell’accordo, siglato per la prima volta nel settembre 2018 e poi rinnovato ad experimentum per altri due anni nel 2020. L’accordo scadrà ad ottobre, e il Cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha fatto sapere in una intervista ad ACI Stampa che “spera” di poter cambiare i termini dell’accordo.

Ad ottobre, tra l’altro, si terrà in Cina la 20esima riunione del Partito Comunista Cinese, una occasione in cui Xi Jinping vorrà rafforzare il suo processo di sinizzazione, stringendo il controllo sulle religioni del Paese.

Dopo l’arresto, la Santa Sede ha fatto sapere che segue con attenzione l’evolversi degli eventi. Non essendoci relazioni diplomatiche, è difficile dare risposte diplomatiche..

Di fatto, il Cardinale Zen era stato sacrificato in nome dell’accordo, che il vescovo emerito di Hong Kong ha sempre avversato, fino a pubblicare una serie di dubia e arrivando persino a visitare Roma a sorpresa nell’ottobre 2020, cercando un incontro con Papa Francesco che il Papa gli ha negato.

Dal canto suo, Papa Francesco ha mostrato ferma volontà di portare avanti il dialogo con la Cina.

Nell’ottobre 2019, Papa Francesco aveva inviato un telegramma ad Hong Kong mentre sorvolava il suo territorio andando in Giappone. Nel volo di ritorno aveva minimizzato il telegramma, dicendo che si trattava di un telegramma di cortesia inviato a tutti gli Stati. Erano dichiarazioni parzialmente fuorvianti, perché Hong Kong non è uno Stato, ma apprezzate da Pechino, tanto che il ministro degli Esteri Geng Shuang aveva sottolineato che del Papa “la Cina apprezza l’amicizia e la gentilezza”.

Non solo. Nel suo itinerario verso il Giappone, Papa Francesco aveva sorvolato la Cina e Taiwan. Nel telegramma inviato a Pechino, la Cina è stata salutata come “nazione”, mentre i saluti a Taipei erano rivolti al “popolo di Taiwan”, nonostante la nunziatura a Taipei sia significativamente chiamata nunziatura di Cina.

Nel luglio 2020, Papa Francesco aveva anche deciso di omettere un appello per Hong Kong dalle parole al termine dell’Angelus, in un momento delicato in cui si stava rinnovando l’accordo.

La Santa Sede ha sempre difeso l’accordo, e lo ha fatto anche di fronte ai seri problemi di libertà religiosa posti dal Segretario di Stato USA Mike Pompeo durante la sua visita in Vaticano del 2020.

Tuttavia, in quattro anni sono stati nominati solo sei vescovi, e due di questi erano già stati designati prima del 2018, dimostrando che il meccanismo non ha funzionato fino in fondo.

Nella dinamica rientrano anche le relazioni con Taiwan. La Santa Sede è rimasto l’unico Paese europeo a riconoscere Taipei, ma c’è sempre la paura che, una volta che si vogliano andare a stringere le relazioni diplomatiche con Pechino, anche Taiwan sarà abbandonata. Non è l’intenzione attuale della Santa Sede, che più volte ha fatto sapere che l’accordo è solo pastorale.

Tuttavia, l’idea di un possibile rappresentante non residente della Santa Sede a Pechino è stata messa sul tavolo. Taiwan, dal canto suo, ha profuso moltissimo sforzo nei rapporti con la Santa Sede, dimostrato in diverse iniziative umanitarie durante la pandemia.

Parlando con i giornalisi a margine di un convegno della Fondazione Giovanni Paolo I, il cardinale Parolin si è detto “molto dispiaciuto” per l’arresto del Cardinale Zen, cui ha espresso vicinanza, ma ha detto che l'arresto non va lettp come “una sconfessione” dell’accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulle nomine dei vescovi, stipulato nel 2018 e prorogato di due anni. Certo, afferma, “l’auspicio più concreto è che iniziative come questa non possano complicare il già complesso e non semplice cammino del dialogo tra la Santa sede e la Chiesa in Cina”.

                                                FOCUS EUROPA

Guerra in Ucraina, il metropolita Onufriy scrive a Kirill

Aveva colpito, all’inizio della guerra, la presa di posizione del metropolita Onufry della Chiesa Ortodossa Ucraina legata al Patriarcato di Mosca. Onufry aveva preso le distanza dalle posizioni più “giustificazioniste” della guerra promosse del Patriarca Kirill, ed aveva invece fatto un appello per la difesa della sovranità dell’Ucraina.

L’8 maggio, il metropolita Onufry ha scritto direttamente a Vladimir Putin, in una lettera aperta pubblicata sul sito ufficiale della metropolia.

La lettera chiede, in particolare, di permettere di dare “a tutti un’opportunità” di lasciare la città di Mariupol, che siano civili o militari.

Scrive il metropolita: “La difficile situazione in cui si sono trovati i residenti e i difensori di Mariupol mi spinge a chiederti come persona la cui famiglia è sopravvissuta all'assedio di Leningrado e il cui fratello maggiore Victor è morto nel 1942. I tuoi parenti hanno sperimentato appieno com'è vivere isolati dalla grande terra, sotto costante bombardamento, senza cibo, acqua e medicine, quando la morte può arrivare in qualsiasi momento dall'impatto di un'arma pesante, dalla fame o dalla mancanza di cure mediche . Te lo ricordi quando parli della Grande Guerra Patriottica e quando visiti il ​​cimitero di Piskarevsky, il luogo delle sepolture di massa degli abitanti della Leningrado assediata e dei suoi difensori”.

È la situazione che vivono anche i difensori di Mariupol. Onufry nota che “in ogni momento, nelle diverse guerre, le parti in guerra hanno trovato una possibile manifestazione di umanesimo. Sappiamo che la Federazione Russa ha più volte agito da mediatore nell'evacuazione dei combattenti nell'accerchiamento in Siria. A questo proposito, ci auguriamo che accetti cristianamente la procedura di estrazione per la guarnigione ucraina a Mariupol e dia l'opportunità di circondare civili, polizia, guardie di frontiera e militari per entrare nel territorio controllato dall'Ucraina o nel territorio di paesi terzi. Molti paesi considereranno un onore mediare in questa operazione. Vi chiedo di sceglierne qualcuno nel Nome di Cristo Risorto”.

Papa Francesco scrive ad un suo interlocutore russo

il 5 maggio, Papa Francesco ha inviato un messaggio a un suo interlocutore russo, sottolineando che “noi cristiani dobbiamo essere ambasciatori di pace”.

Il messaggio, pubblicato da Askanews, è indirizzato a Leonid Sebastianov, direttore esecutivo della Fondazione San Gregorio legata al dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca e marito della soprano russa Svetlana Kasyan, che ha dedicato un album all’enciclica Fratelli Tutti.

Nella lettera, il Papa scrive ai suoi interlocutori di essere “contento del vostro atteggiamento di pace,” e sottolinea che “Noi, cristiani, dobbiamo essere ambasciatori di pace. Portare avanti la pace, predicare la pace, vivere in pace… questo è il vostro mestiere. Grazie per tutto quello che farete in questo senso. Prego per voi, per vostra figlia e per il figlio che sta per arrivare. Per favore pregate anche per me. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. Fraternamente. Francesco”.

In una recente intervista al giornale francese Les Echos, Sebastianov affermava: “La logica vorrebbe che la Pasqua sia un momento di umanità, e non di politica. Ma le dichiarazioni di Kirill indicano il contrario. E denotano eresia”. Ancora: “Non sappiamo perché questa guerra: per quali ragioni? Per quali obiettivi?”.

Il Muftì di Albania da Papa Francesco

Il 6 maggio, Haxhi Bijar Spahiu, Gran Muftì dell’Albania, ha visitato il Vaticano ed è stato ricevuto anche da Papa Francesco. La visita è stata preparata dall’arcivescovo Luigi Bonazzi, nunzio apostolico a Tirana, e da Majlinda Dodaj, incaricato di Affari della Repubblica d’ Albania presso la Santa Sede.

Papa Francesco e il muftì hanno parlato per circa 30 minuti, discutendo della convivenza delle religioni in Albania e del documento sulla Fraternità Umana firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di al Azhar Ahmad al-Tayyeb. I due condividono la visione sul ruolo della religione nelle relazioni interpersonali e sul contributo che svolgono nel preservare diversi valori, a partire dalla famiglia. Durante l'udienza, il presidente Spahiu ha chiesto a papa Francesco il sostegno della Santa Sede per l'indipendenza del Kosovo

Successivamente, ha incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario vaticano per i rapporti con gli stati, e il Cardinale Miguel Angel Ayuso Guixot, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

L'incontro tra il Papa e il Presidente della Comunità musulmana d'Albania è stato il primo nel suo genere dall'istituzione della Comunità islamica dell'Albania (KMSH).

Europe Day, la COMECE ribadisce l’impegno della Chiesa per l’unificazione europea

In occasione della Giornata dell’Europa, che si celebra il 9 maggio (anniversario della dichiarazione di Schuman), il Cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europa, ha ribadito l’impegno della Chiesa in Europa ad essere “una fedele ed onesta compagna nel processo di unificazione europea”.

Il cardinale Hollerich ha anche dato un giudizio lusinghiero sulla Conferenza sul Futuro dell’Europa, e ha parlato della guerra in Ucraina, auspicando che “la pace in Europa e nel mondo diventi meno fragile, e l’uso delle armi meno frequente”.

Il presidente della COMECE ha esortato le istituzioni dell’Unione Europa e degli Stati membri a offrire “una risposta positiva e realistica” alla richiesta dell’Ucraina di aderire all’Unione, offrendo al contempo "una prospettiva di adesione credibile" a tutti gli altri paesi europei paesi che hanno presentato domanda.                                

                                                FOCUS NUNZIATURE

Il nunzio Suriani in Bulgaria

Finisce dopo sette anni l’incarico di nunzio in Serbia per l’arcivescovo Luciano Suriani, che Papa Francesco ha destinato alla nunziatura di Bulgaria. La nomina è stata annunciata il 13 maggio.

Sacerdote dal 1981, nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1990, ha lavorato presso le nunziature di Costa d’Avorio, Burkina Faso, Niger, Svizzera e Liechtenstein, e poi è stato dal 1995 al 2004 nella seconda sezione della Segreteria di Stato, lavorando a fianco del Cardinale Jean Louis Tauran, allora “ministro degli Esteri vaticano”. È stato poi consigliere della Rappresentanza Pontificia in Italia e San Marino.

Nel 2008 è stato nominato nunzio in Bolivia, ma ha lasciato presto l’incarico, essendosi dimesso per problemi di salute, dovute soprattutto all’altura della capitale boliviana, e dunque dal 2009 al 2015 è stato delegato per le Rappresentanze Pontificie.

Nel 2015, Papa Francesco lo ha nominato nunzio in Serbia, partecipando anche alle visite in Vaticano da parte dei ministri del Kosovo, Paese non riconosciuto dalla Santa Sede. In Serbia, l’arcivescovo Suriani ha cercato di sviluppare il dialogo ecumenico, arrivando a visitare il Patriarca ortodosso Irenej per gli auguri pasquali del 2018, un segno di collaborazione a seguito del contrasto della Chiesa Ortodossa Serba al Cardinale Stepinac.

Sempre nel 2018, ha accolto il Cardinale Parolin in Serbia, in quello che era stato il primo viaggio di un Segretario di Stato vaticano a Belgrado e in Montenegro. In quell’occasione, ha auspicato un miglioramento dei rapporti con la Chiesa ortodossa locale che possa portare ad una visita del Papa in Serbia.

All’incarico di nunzio in Bulgaria affiancherà quello di nunzio in Macedonia del Nord, che sarà annunciato successivamente. “Spero – ha detto - di poter continuare a dare il mio contributo al dialogo ecumenico, cercando di costruire rapporti cordiali e fraterni, convinto che il cammino di riconciliazione e di comunione è irreversibile, anche se a volte può farsi difficoltoso e faticoso”.

Il nunzio Banach in Ungheria

Il 3 maggio, Papa Francesco ha nominato il nunzio statunitense Michael Wallace Banach come nunzio in Ungheria, trasferendolo dal Senegal.

Sacerdote dal 1988, nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 1992, nel 2007 è stato nominato rappresentante permanente della Santa Sede all’AIEA e alla sede OSCE di Vienna.

Il 22 febbraio 2013, in una delle ultime nomine del suo pontificato, Benedetto XVI ha nominato Banach arcivescovo titolare di Memphis con il titolo di nunzio apostolico. Sarà Papa Francesco, nel 2013, a dargli il suo primo incarico da nunzio, inviandolo in Papua Nuova Guinea, incarico cui sommava quello di nunzio nelle isole Solomon.

Dal 2016 è stato nunzio in Senegal, Capo Verde e Guinea Bissau. Inizialmente delegato apostolico in Mauritania, è poi diventato nunzio del Paese con l’aperura delle relazioni diplomatiche.

Il nunzio Campos Salas a Panama

Dopo quattro anni, l'arcivescovo Dagoberto Campos Salas lascia il suo incarico di nunzio in Liberia, Gambia e Sierra Leone e va a Panama, a prendere il posto dell'arcivescovo Luciano Russo, che da dicembre 2021 è nunzio un Uruguay.

Nato il 14 marzo 1966 e sacerdote dal 1994, monsignor Campos Salas è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede l'1 luglio 1999, e ha prestato servizio nelle nunziature di Sudan, Cile, Svezia, Turchia e Messico. 

Nel 2018 era stato nominato nunzio in Liberia, Gambia e Sierra Leone

                                  FOCUS MEDIO ORIENTE

Libano, la visita di Papa Francesco potrebbe essere posticipata

Non c’è stato un annuncio ufficiale ancora, ed è molto indicativo, riguardo il viaggio del Papa in Libano, che era previso per il 12 e 13 giugno. Si trattava di un viaggio che avrebbe dovuto prolungarsi anche con un passaggio a Gerusalemme il 14 giugno, per l’incontro con il Patriarca Kirill, che invece è stato annullato, e che forse potrebbe ora avvenire in Kazakhstan, lì dove Papa Francesco dovrebbe andare a settembre (viaggio confermato dal presidente kazako, non annunciato dalla Santa Sede) e dove il Patriarca Kirill ha già confermato che andrà.

Nonostante ci sia stata una delegazione papale a Beirut per valutare il viaggio, le condizioni di salute del Papa porterebbero al rinvio della visita. Per la precisione, Walid Nassar, ministro per il Turismo del Libano, ha detto al giornale Al Marakziya che “non c’è un annullamento della visita del Papa in Libano”, ma che piuttosto “la data della visita potrebbe essere posticipata per motivi di salute”.

Nassar è anche capo del Comitato per i preparativi della visita del Papa, ed è stato ricevuto il 5 maggio dal primo ministro Najib Mikati, durante i quali – ha spiegato poi – ha informato degli sviluppi dei preparativi, e in particolare di quelli con il Consiglio dei Patriarchi e vescovi cattolici del Paese dei Cedri.

                                    FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede alla Conferenza Regionale della FAO per l’Europa

Si è tenuta dal 10 al 13 maggio a Lodz, in Polonia, la conferenza regionale della FAO per l’Europa. Monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente presso gli uffici alimentari delle Nazioni Unite, ha affrontato la situazione alle frontiere della Polonia dovuta alla situazione in Ucraina.

“Ciò che sta succedendo alle frontiere della Polonia, nel cuore dell’Europa, affligge il Papa che segue con preoccupazione l’evoluzione delle stragi, implora la fine delle ostilità e persevera nella preghiera incessante per la pace”.

La guerra ha anche conseguenze alimentari, nota monsignor Chica Arellano, perché “l’abbandono dei campi di coltivazione per le attività militari, l’enorme danno causato alle coltivazioni, l’assenza di manodopera agricola a causa dello sfollamento di intere popolazioni, la distruzione della risorse naturali e delle infrastrutture sono fatti laceranti che preoccupano la Santa Sede”:

Non solo, deteriorano le catene alimentari e si ripercuotono sui prezzi degli alimenti e delle materie prime, “minacciando di generare nuove tensioni di carattere sociale a causa della scarsità degli alimenti” e alla “inaccessibilità economica e fisica” al cibo per gli strati più poveri delle popolazioni.

La guerra influisce anche su economie fragili che dipendevano completamente dalle esportazioni da Russia e Ucraina, nota la Santa Sede, colpendo così “le persone più povere della terra, che vivono in maggioranza nelle zone rurali”.

C’è il rischio che sia il conflitto che la povertà diventino un “circolo vizioso”, mette in luce il rappresentante pontificio, e per questo la speranza è che “le nazioni tornino a dialogare e i Paesi lavorino in solidarietà per affrontare le necessità nutrizionali urgenti di tutte le persone vulnerabili”.

La Santa Sede all’ONU, piani di azione inetrculturali

Il 9 maggio, l’arcivescovo Fortunatus Nwachuckwu, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, è intervenuto a Malaga all’incontro di esperti su un “Piano di azione per l’impegno interculturale e interfedi come catatlizzatore per prevenire i conflitti e promuovere la pace”.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Nwachukwu ha notato che “l’umanità ha fatto straordinari progressi” eppure “c’è ancora tanta sofferenza nel mondo”. Il nunzio nota che “con il dialogo interreligioso sincero, è possibile di riscoprire un fraterno senso di vivere insieme, di comprendere la diversità che esiste tra noi, di scoraggiare situazioni di violenza per vivere come Fratelli e Sorelle”.

Nigeriano, l’arcivescovo Nwachukwu ricorda il proverbio della sua terra che dice che “ci vuole un villaggio per crescere un bambino”, parole che spiegano come ci vuole un impegno comunitario per crescere un bambino, e lo stesso accade con le religioni, che per essere sostenute hanno bisogno di un lavoro comunitario.

L’osservatore della Santa Sede alle Nazioni Unite affronta poi il tema della lotta contro l’estremismo religioso, chiedendo non solo di educare, ma anche che i leader religiosi “condannino la violenza e in particolare l’uso della religione per supportare, attivamente o passivamente, violenti attacchi”.

L’arcivescovo Nwachukwu ha quindi notato che “la collaborazione interreligiosa può e deve promuovere i diritti umani fondamentali di ogni persona, in ogni luogo e tempo del mondo”.

Di fronte invece alle vittime dell’estremismo, l’arcivescovo nota che “le religioni possono insegnare che perdono e riconciliazione sono sempre possibili”, e invita, “in un tempo di accresciute tensioni internazionali”, a trasformare “i posti di odio e conflitto in posti di guarigione e riconciliazione, posti di distruzione in luoghi di vita rinnovata”.