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Diplomazia pontificia, il Cardinale Parolin in Germania. Il Papa in Ucraina?

I tre giorni in Germania del Cardinale Pietro Parolin. E la telefonata tra il Papa e il presidente ucraino Zelensky, che ravvivano le speculazioni su un possibile viaggio del Papa nel Paese

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Un viaggio in Germania, per celebrare i 100 anni di relazioni diplomatiche iniziate con l’apertura della nunziatura a Berlino guidata dall’allora arcivescovo Eugenio Pacelli, che poi sarà Papa con il nome di Pio XII. Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato a Berlino, ha celebrato Messa, ha incontrato il presidente Steinmeier e il Cancelliere Angela Merkel, ma anche il ministro degli Esteri che – come aveva già fatto in Vaticano – ha puntato il dito sul dramma degli abusi nella Chiesa.

Intanto, una telefonata tra Papa Francesco e il presidente ucraino Zelensky avvia nuove speculazioni su un possibile viaggio del Santo Padre in Ucraina, in un momento in cui sono al culmine le tensioni intra ortodosse tra il Patriarcato di Mosca e il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e si prepara una visita apostoli di Bartolomeo I in Ucraina. A margine, l’incontro di preghiera per il Libano in Vaticano lo scorso 1 luglio ha portato il ministro degli Esteri facente funzioni di Beirut a Roma, dove ha incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.                                          FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Il viaggio del Cardinale Parolin in Germania

Un incontro con il presidente federale Frank-Walter Steinmeier, un altro con il Cancelliere Angela Merkel. E poi, una Messa nella giornata dei Santi Pietro e Paolo, la partecipazione a un simposio su “Roma e Berlino” cui hanno partecipato anche i Cardinali Marx e Woelki, l’arcivescovo Koch di Berlino, vescovi Meyer, Overbeck e Ipolt. Agenda fitta, per il Cardinale Parolin, in questo viaggio in Germania che voleva celebrare i 100 anni di relazioni diplomatiche tra Roma e Berlino.

Nella sua relazione, il Cardinale Parolin ha sottolineato che uno dei compiti più importanti della diplomazia pontificia è quello di promuovere la pace, e ha notato che si è arrivati al centenario con “relazioni non sempre facili, ma mai interrotte”. “Anche in Germania – ha detto il Segretario di Stato vaticano – la Santa Sede non si è accontentata di osservare gli eventi e valutarne il significato, ma ha sempre auspicato una fattiva collaborazione tra Chiesa e Stato, per un impegno realmente comune e ordinato, a beneficio della persona e del bene comune. E il bene comune è legato alla pace in molti modi”.

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Il Cardinale ha quindi notato i vari accordi stipulati tra la Santa Sede e gli Stati federali, che sono “un valido strumento per articolare e rafforzare una buona cooperazione tra Chiesa e Stato, soprattutto nei settori dell’educazione, della sanità e della carità. Una proficua collaborazione tra Stato e Chiesa si basa su una chiara comprensione dei rispettivi ruoli e su interessi comuni”.

Il Cardinale Parolin ha anche ricordato il contributo di Giovanni Paolo II alla caduta del Muro di Berlino. La caduta del muro – ha detto il capo della diplomazia vaticana – è stata “definita un miracolo anche da molti agnostici e non credenti”. Questa “è avvenuta non a caso durante il pontificato del primo Papa slavo della storia, che credette e proclamò fin dall'inizio che tale miracolo fosse possibile."

Il Cardinale ha anche invitato le autorità civili e politiche tedesche a non allentare mai i loro sforzi per il bene comune e a moltiplicare gli sforzi per proteggere la dignità umana, inclusa la dignità trascendente, e ha elogiato “i grandi sforzi compiuti dal governo per accogliere e integrare i migranti”, ricordando la generosità dei tedeschi nei confronti dei siriani nel 2015.

È stato in occasione dei simposio che Heiko Maas, ministro federale, ha sottolineato che la voce della Santa Sede era “necessaria ed ascoltata”, mettendo in luce che in scenari come l’Africa, l’America Latina, il Libano e l’Iraq “sono spesso le organizzazioni cattoliche che alleviano i bisogni umanitari in questi Paesi e creano nuove opportunità di sviluppo”.

Maas ha però anche voluto affrontare la questione degli abusi, sottolineando – da cristiano e cattolico – che “solo la giustizia può sanare le ferite profonde che le persone hanno subito a causa degli abusi sessuali. Voglio una Chiesa che contribuisca al mondo. È questa Chiesa che il mondo apprezza e di cui ha bisogno. Sono queste tracce della Chiesa che raggiungono il cuore delle persone”.

Tra gli incontri del Cardinale Parolin, anche la visita alla struttura Caritas nella Ostbanhof (la stazione Est) di Berlino, e quella al cantiere della cattedrale di Sant’Edvige.

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Alla Caritas, il Cardinale Parolin ha anche portato l’incoraggiamento del Papa e ricordato che “dietro ogni persona che soffre c’è il volto di Cristo”. In particolare, il Cardinale Parolin ha voluto sapere la storia delle persone aiutate, se queste sono tutte senzatetto, se dopo la crisi del coronavirus gli ospiti sono aumentati. La missione della stazione sta attualmente servendo fino a 200 porzioni di cibo al giorno, e il numero è in aumento. Il cardinale è stato anche alla porta di Brandeburgo, attraverso la quale Giovanni Paolo II era passato 25 anni fa.

Il 29 giugno, il Cardinale Parolin ha celebrato a Berlino in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo. Ricordando i legami tra Roma e Berlino, il Cardinale Parolin ha sottolineato che Berlino era “una città una vola simbolo della divisione della Germania, come pure della Cortina di Ferro che divideva il mondo in due blocchi”.

Il Cardinale nota poi come Pietro e Paolo, morti nella stessa città, ma in tempi e modi diversi, hanno “radunato la medesima Chiesa in modi diversi”, erano diversi anche caratterialmente, ma “fanno risaltare un’unità ancora più profonda”.

La divisione delle due Germanie, la differenza tra Pietro e Paolo, permette al Cardinale Parolin si centrare il suo discorso su “un’unità che non dipenda dal condividere visioni e orientamenti comuni – al modo della politica – ma dal radicamento teologico-spirituale in Dio”. Il riferimento, seppure velato, è anche al Sinodo della Chiesa di Germania, tema di ampio dibattitto. È un messaggio indiretto, ma forte, quello percorre tutta l’omelia.

Pietro e Paolo sono accomunati da “due cardini”: uno è il “primato della grazia”, che va oltre le vite “non specchiate e lineari dei due apostoli”, dimostrando che “la vita cristiana non poggia su buone intenzioni religiose o su progettualità umane, ma sull’apertura docile alla sorprendente azione di Dio, che ha fatto di loro quello che non avrebbero mai immaginato e che da soli non sarebbero mai riusciti a diventare”.

Ammonisce il Cardinale Parolin, usando le parole del Papa: “Se in primo luogo ci sono i nostri progetti, le nostre strutture e i nostri piani di riforma scadremo nel funzionalismo, nell’efficientismo, nell’orizzontalismo e non porteremo frutto”. E sono parole il cui senso – afferma il cardinale – si ritrova anche nelle raccomandazioni inviate proprio nel giorno dei Santi Pietro e Paolo al cammino sinodale in Germania.

Nota il Cardinale Parolin: “L’opera di Dio attecchisce dove vi sono quelle caratteristiche che Egli ama e che la Scrittura attesta con abbondanza: umiltà e obbedienza, conversione, preghiera e digiuno, riconoscimento della propria povertà e desiderio di annunciare il Regno di Dio anzitutto mediante l’imitazione del Signore, anche spogliandosi di quelle sicurezze materiali che ostacolano la forza mite e profetica del Vangelo”.

Gesù – continua il cardinale, ripercorrendo la lettera del Papa al Cammino Sinodale tedesco – ci invita “a valorizzare la comunione ecclesiale in senso autenticamente cattolico, cioè universale”. Il Signore – aggiunge – “non ci vuole solo in cammino dietro a lui, ma in cammino insieme, in Sinodo, secondo il significato letterale della parola, superando la tentazione che l’insieme si riduca solo ad una parte, per quanto rilevante e significativa”. Per questo – ha concluso il Segretario di Stato vaticano – “all’esempio degli Apostoli, tra loro diversi ma sempre ricondotti alla comunione dalla grazia che Dio ha effuso nei loro cuori, e che si è tradotta nell’affetto sollecito e costante per i fratelli, chiediamo il dono di saper coltivare l’unità e di non anteporre mai alla comunione con tutti visioni o esigenze particolari”.

                                                FOCUS PAPA FRANCESCO

Telefonata Papa Francesco-Zelensjy

Lo scorso 30 giugno, Papa Francesco ha avuto una conversazione telefonica con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ne ha dato comunicazione l’ufficio della presidenza ucraina.

Secondo il comunicato della presidenza, Zelensky avrebbe chiamato per fare gli auguri in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, e ha detto di apprezzare “l’opportunità di continuare il nostro dialogo. La Santa Sede è una autorità mondiale”.

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Oltre alla solennità dei Santi Pietro e Paolo, l’occasione della telefonata era data anche dal 20esimo anniversario della visita di San Giovanni Paolo II in Ucraina. Zelensky ha detto che milioni di ucraini hanno “una viva memoria di Giovanni Paolo II e della sua visita in Ucraina”, e ricordato che lo stesso Giovanni Paolo II aveva detto che “l’Europa dovrebbe respirare con due polmoni: l’occidentale e l’orientale”. Secondo Zelensky, l’Ucraina è parte integrante del polmone orientale dell’Europa, e affermato che la visita del Papa in Ucraina è “ossigeno molto necessario”.

“La gente di Ucraina sta aspettando il Papa”, ha detto il pontefice, rinnovando l’invito al Papa a visitare il Paese. Zelensky ha anche rimarcato che in Ucraina le religioni vivono pacificamente insieme, e che non ci sono conflitti tra le fedi, almeno apparentemente.

Allo stesso tempo, Zelensky ha sottolineato la dimensione globale dell’attività del Papa, in particolare le attività sui temi della pace, del dialogo interreligioso, della protezione dei diritti dei rifugiati e la cura dei poveri”.

Zelensky ha ringraziato il Papa per il suo continuo ricordo dell’Ucraina, e ha affrontatto anche i temi del conflitto nell’Ucraina dell’Est, dove 14.000 persone sono morte in Donbas, mentre 1,5 milioni di Ucraini sono stati sfollati. Per questo, Zelensky ha affermato di “non vedere l’ora di lavorare con la Santa Sede e di avere il suo supporto per portatre pace nel Donbas”.

Zelensky ha anche ricordato al Papa che il popolo ucraino è in attesa della beatificazione del metropolita Andryi Sheptytsky. È questo il sogno della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, anche se la causa di beatificazione sembra al momento in stallo.

L’ultimo contatto “diplomatico” tra Ucraina e Santa Sede è avvenuto lo scorso 25 marzo, quando il primo ministro ucraino Denys Shmyhal era stato in Vaticano per incontrare il Papa. In quell’’occasione, il premier aveva consegnato personalmente al Papa l’invito del presidente per visitare il Paese.

Il Segretario di Stato USA Blinken parla del suo incontro con Papa Francesco

Lo scorso 28 giugno, Anthony Blinken, Segretario di Stato USA, ha avuto un incontro con Papa Francesco. Si è trattato del secondo incontro del Papa con un officiale dell’amministrazione Biden, dopo quello di maggio con John Kerry, inviato speciale del presidente per il Clima.

Manca ancora l’incontro con il presidente Biden, e una data possibile per una prima presa di contatto, in forma privatissima, sembra essere quella del 15 giugno. Non sarebbe stato un incontro gestito dalla Seconda Sezione della Segreteria di Stato, né sarebbe passato dalla Prefettura della Casa Pontificia, ma sarebbe stato gestito direttamente dall’entourage del Papa. L’incontro, alla fine, non ha avuto luogo, ma non si può dire sia stato annullato, dato che non è mai stato ufficialmente in agenda.

Durante l’incontro – ha detto Ned Price, il portavoce del Segretario di Stato USA – Blinke ha reiterato l’impegno degli Stati Uniti a lavorare a stretto contatto con la Santa sede per affrontare le sfide globali e le sfide dei più poveri e vulnerabili, inclusi rifugiati e migranti.

Price ha aggiunto che “il segretario di Stato ha ringraziato Papa Francesco per la sua guida sul bisogno di prendersi cura dell’ambiente e affrontare la crisi climatica”. Tra gli argomenti di discussione, la Cina, le crisi umanitarie in Libano, Siria, nella regione del Tigray in Europa e Venezuela”.

Parlando con i giornalisti, Blinken ha detto che il suo incontro con il Papa è stato “estremamente caloroso e di ampio respiro”, durante il quale “si sono coperti molti argomenti, e (parlando solo per me stesso e per gli Stati Uniti) sono stato veramente gratificato dall’incontro e dalla leadership del Papa su pandemia e cambiamento climatica”.

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

L’arcivescovo Gallagher incontra il ministro degli Esteri facente funzioni libanese

In vista della preghiera per la pace in Libano, lo scorso 30 giugno, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha incontrato Zeina Akar, vice primo ministro e ministro degli Esteri facente funzioni. All’incontro era presente l’ambasciatore Farid Khazen, ambasciatore del Libano presso la Santa Sede.

Secondo il ministero degli Esteri libanese, il colloquio ha riguardato l’attuale situazione in Libano e i recenti sviluppi politici economici sociali, nonché l’accresciuta presenza di sfollati siriani nel Paese dei Cedri.

Il nunzio in Libano sulla Giornata di Preghiera dell’1 luglio

L’1 luglio, Papa Francesco ha chiamato tutti i capi cristiani del Libano per pregare insieme in Vaticano per la pace nel Paese dei Cedri. L’arcivescovo Joseph Spiteri, nunzio in Libano, ha spiegato a Vatican News che i capi cristiani del Libano “si conoscono e lavorano già insieme”, e infatti “ci sono già delle strutture, in Medio Oriente, di comunione tra tutte le Chiese cristiane, come il Middle East Council of Churches, la cui presidenza è a turno”. Il Middle East Council of Churches ha anche redatto il Sussidio di Preghiera per la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani del 2022.

Il nunzio ha anche notato che “i cristiani vivono insieme da secoli in Libano”, e ci sono “tantissimi matrimoni misti, non solo tra riti cattolici, ma anche con gli ortodossi”.

Per il futuro del Libano, l’arcivescovo Spiteri punta soprattutto sui giovani, perché “il Libano ha sempre avuto una gioventù ben preparata, ha avuto delle strutture educative formidabili: i collegi, le università e possiamo vedere anche tanti giovani libanesi che migrano, che vanno in altri Paesi e riescono a fare molto. Però anche quelli che rimangono, in questa situazione, stanno cercando anche di capire come reinventarsi”.

Dopo questo momento di preghiera, ora per il nunzio è il momento che il mosaico di identità del Libano possa “continuare ad essere una luce in mezzo o al Medio Oriente”. In fondo, “il Libano rimane sempre un po’ un’isola, quasi un’utopia, perché è un Paese democratico, multicomunitario, composto da 18 comunità riconosciute che cercano di condividere insieme la gestione del Paese”.

Iran, preoccupazione per la libertà religiosa

Dopo il non rinnovo del visto a Suor Giuseppina Berti, 75 anni, le autorità iraniane continuano nella loro attività repressiva nei confronti delle minoranze religiose. Ne dà notizia Asia News, l’agenzia del PIME. In Iran sono stati arrestati tre convertiti originari di Fardis, nella provincia di Alborz, incriminati nel maggio scorso in base all’articolo 500 del Codice penale.

Lo scorso 20 maggio, il Parlamento iraniano ha approvato gli emendamenti agli articoli 499 e 500 del Codice Penale Islamico, che prevedono sanzioni contro i colpevoli di “manipolazione psicologica deviante” o “propaganda contraria all’Islam” sia realmente che virtualmente. I colpevoli sono classificati come “sette”, e possono essere puniti con sanzioni che includono multe, fustigazione, reclusione e persino la pena di morte.

Secondo il sito attivista International Christian Concern, i tre arrestati sono i primi finito sotto processo per questi emendamenti. Amin Khaki, Mila Goodarzi e Alireza Nourmohammadi sarebbero stati arrestati per “essersi impegnati in atti di propaganda” di una fede che “educa in modo deviante rispetto alla Santa religione islamica”.

I tre uomini sono sotto osservazione da mesi: lo scorso novembre, le loro case sono state oggetto di raid e perquisizioni di polizia, nel corso dei quali si sono visti confiscati diverso materiale religioso cristiano, mentre all’inizio del 2021 hanno interrogato alcuni famigliari. Tutto sembrava risolto, poi la svolta, con l’arresto dei tre.

Si attendono ora di comprendere i primi passi di Ebrahim Raisi, da poco eletto presidente, per vedere se l’Iran continuerà sulla strada delle limitazioni alle minoranze religiose.

Im ambito cattolico, appunto, da notare il caso di suor Giuseppina Berti, da 26 anni in un lebbrorsario in Iran a curare i malati, cui non è stato rinnovato il visto. Era la sola suora operativa a Isfahan, insieme a Suor Fabiola Weiss, 77 anni, unica cattolica rimasta.

In Iran, ci sono solo quattro diocesi: due arcidiocesi assiro-calde, una diocesi armena e un’arcidiocesi latina. Nella maggior parte dei casi vi è un unico sacerdote, mentre mancano i prelati o non hanno ancora ricevuto l’autorizzazione all’ingresso. Questo è il caso dell’arcivescovo Dominique Mathieu, nominato nel gennaio scorso alla guida di Teheran –Ispahan e ancora in attesa di prendere possesso della diocesi.

Intanto, il 28 giugno, Papa Francesco ha nominato l'arcivescovo Andrzej Józwowicz come nunzio in Iran. La nunziatura era vacante da marzo, quando l'arcivescovo Leo Boccardi era stato nominato "ambasciatore del Papa" in Giappone

L'arcivescovo Józwowicz, classe 1965, sacerdote dal 1990, è entrato nel 1997 nel servizio diplomatico della Santa Sede. Ha servito nelle nunziature di Mozambico, Thailandia, Singapore, Cambogia, Ungheria, Siria e Iran, e dal 2012 al 2017 è stato segretario della nunziatura apostoli di Russia. Dal marzo 2017 era nunzio in Rwanda.