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Diplomazia pontificia, il no della Santa Sede alla terminologia ONU pro aborto

La Santa Sede dice no alla partecipazione al summit di Nairobi. Il Cardinale Parolin incontra il nuovo presidente della FAFCE. Il nuovo nunzio in Egitto

ONU a New York | Il Palazzo di Vetro di New York, sede delle Nazioni Unite | UN.org ONU a New York | Il Palazzo di Vetro di New York, sede delle Nazioni Unite | UN.org

Settimana densa di avvenimenti diplomatici. La Santa Sede ha opposto un fragoroso “no” alla partecipazione al summit di Nairobi che puntava a celebrare i 25 anni dalla Conferenza del Cairo, sottolineando la sua contrarietà all’uso della terminologia “salute sessuale e riproduttiva”, un eufemismo che nasconde il diritto all’aborto.

Il Cardinale Parolin ha incontrato il presidente della FAFCE, la Federazione di Associazioni Famigliari di Europa. Caritas Georgia ha celebrato i 25 anni con tre giorni di grandi eventi. 

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La Santa Sede non partecipa alle celebrazioni del 25esimo della Conferenza del Cairo

No al diritto all’aborto, che si maschera dietro l’espressione “diritti sessuali e riproduttivi”: la Santa Sede prende una posizione netta, dichiarando la sua non partecipazione al Summit di Nairobi, convocato da Danimarca e Kenya per commemorare il 25esimo anniversario della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo.

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Fu da quella conferenza, che si tenne al Cairo, in Egitto, che si cominciò a sviluppare e diffondere l’espressione di “diritti sessuali e riproduttivi” come viatico, all’interno delle Nazioni Unite, per introdurre il diritto all’aborto. Un percorso che poi continuò con la conferenza Mondiale sulle Donne, che si tenne a Pechino nel 1995.

Il documento finale del summit di Nairobi dovrebbe rispecchiare le politiche del Fondo ONU su Popolazione e Sviluppo, che ormai inserisce la questione dell’aborto come un diritto sanitario senza neppure le consultazioni. Nessun dialogo sui diritti. Tutto preordinato, senza possibilità di confronto.

Una situazione inaccettabile per la Santa Sede. In un comunicato diffuso dalla Missione Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di New York, si legge che “la Santa Sede è e resta una grande sostenitrice di assicurare l’avanzamento di uno sviluppo umano integrale, equo e sostenibile, che sviluppi la dignità umana e il bene comune di ogni uomo, donna e bambino”.

La Santa Sede riconosce che la conferenza del Cairo del 1994 fu un “evento importante”, e il Programma di Azione che ne seguì è considerato “degno di nota, in particolare per la sua affermazione contro tutte le forme di coercizione nelle politiche di popolazione”.

La Santa Sede ricorda le “specifiche riserve” sulla terminologia del documento che aveva messo in luce già nel 1994. Proprio per questo, la Santa Sede ha osservato con interesse la notizia che una conferenza per commemorare il 25esimo anniversario dell’incontro del Cairo era programmato per quest’anno. Ma “la decisione degli organizzatori di focalizzare la conferenza su alcuni temi controversi e divisi non incontra il consenso internazionale e non riflette accuratamente l’agenda più ampia su popolazione e sviluppo delineata dalla Conferenza del Cairo è deplorevole”.

La Santa Sede afferma che il programma del Cairo “non dovrebbe essere ridotto ai cosiddetti diritti sessuali e riproduttivi e alla educazione sessuale globale”, mentre cìè “urgente bisogno di focalizzarsi su aspetti critici del Programma di Azione”. Un programma che coinvolge donne e bambini che vivono in estrema povertà, migrazioni, strategie per lo sviluppo, l’alfabetizzazione e l’educazione, la promozione di una cultura di pace, il supporto della famiglia come cellula fondamentale della società, la fine della violenza contro le donne, l’accesso a occupazione, terra, capitale e tecnologia.

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Per questo, la Santa Sede “non può supportare” il ‘Nairobi statement’ intitolato “Accelerare la promessa” che fa da concept al summit, perché non c’è stata nemmeno “sostantiva e sostanziale consultazione sul testo”, mentre “se ci fosse stato più tempo e un approccio realmente inclusivo, si sarebbe potuto assicurare maggiore supporto al testo e alla conferenza”.

La Santa Sede denuncia anche come “deplorevole” che la conferenza sarà tenuta “al di fuori della cornice delle Nazioni Unite, così precludendo negoziazioni intergovernative trasparenti e allo stesso tempo dando una ingannevole impressione di consenso sullo Statement di Nairobi”. Per questo, il Nairobi Summit “non può essere considerato un incontro richiesto dalle Nazioni Unite o tenuto sotto i suoi auspici” e per questo “il 24 ottobre 2019, la Santa Sede ha informato il governo del Kenya che non parteciperà alla Conferenza”.

La Santa Sede a Ginevra: la Settimana della Pace

Lo scorso 7 novembre, l’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, ha preso parte al side event durante la “Settimana della Pace di Ginevra” dedicato a “Il ruolo delle religioni nel risolvere i conflitti”.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Jurkovic ha chiesto di sfuggire alla tentazione dello “scontro di civiltà” quando si analizza la situazione di tensione e conflitto emerse nei recenti anni, perché in realtà “al cuore di queste situazioni drammatiche di violenza c’è una visione limitata della persona umana che apre la strada a ingiustizia e ineguaglianza”.

Il nunzio ha notato che è vero che, sebbene l’uomo sia libero di scegliere la pace in luogo di violenza e paura, spesso questo abbia ceduto alla “tentazione del potere e alla ricerca di un ordine mondiale spesso imposto con la forza delle armi”, e che in questo agire “le religioni sono state spesso sfruttate come uno strumento e una giustificazione per la guerra”, e questo ha “tragicamente minato la possibilità di una pace durevole nel passato e continua ad essere una tragedia nel nostro mondo moderno”.

Il rappresentante della Santa Sede ha sottolineato che, di fronte ad una “guerra mondiale a pezzi” descritta da Papa Francesco, in un mondo sempre più globalizzato, sembra “più importante che mai affermare il valore del dialogo a tutti i livelli”, e che religione e diplomazia “possono essere complementari e di rafforzamento l’una all’altra, con una ‘diplomazia informale’ basata sulla fede e la diplomazia formale degli Stati e degli organismi multilaterali, entrambe orientate verso gli stessi fini.

L’arcivescovo Jurkovic ha poi affermato che il dialogo tra tradizioni religiose può “contribuire grandemente a dare forma alla coscienza pubblica”, dato che c’è “un patrimonio morale che esprime un messaggio etico universale”.

Tre sono i punti sviluppati dal nunzio. Prima di tutto, il fatto che il dialogo interreligioso promosso da Papa Francesco, culminato nella dichiarazione di Abu Dhabi del febbraio 2019, mostra che “incontrarsi l’uno con l’altro in fraterna amicizia è un potente segno”. Quindi, il ruolo centrale dell’educazione nell’ispirare e supportare ogni iniziativa in un percorso di pace, che include anche il nuovo corso di “Scienze della Pace” promosso presso la Pontificia Università Lateranense. Infine, il fatto che la pace non può essere data per scontata, e invece lo è, e la guerra non viene considerata “un evento drammatico e terribile”, come si nota in molti videogiochi. La Santa Sede chiede di insistere che questo comportamento stabilito nei videogiochi è inaccettabile. Uno sviluppo positivo, ha notato, è il fatto che il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha cominciato a collaborare con programmatori e sviluppatori di videogiochi di guerra perché il rispetto per le leggi umanitarie internazionali sia incluso nel codice dei videogiochi.

La Santa Sede ha affermato infine che, “affinché i leader religiosi possano compiere la loro missione, le autorità nazionali devono continuare a riconoscere ed assicurare la libertà religiosa come un diritto fondamentale, inalienabile e indispensabile per tutti gli altri diritti umani”.

La Santa Sede all’ONU di New York: donne, pace e sicurezza

Si è tenuto, lo scorso 4 novembre a New York, una discussione aperta su “Donne, pace e sicurezza” nell’ambito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

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La Santa Sede ha sottolineato, in un intervento tenuto durante il dibattito, che il prossimo anno si celebra il ventesimo anniversario della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1325, focalizzato proprio sul tema di “Donne Pace e sicurezza”, e ha accolto i progressi fatti da allora.

Allo stesso tempo, la Santa Sede ha fatto notare che c’è da fare ancora di più per assicurare che il contributo delle donne sia riconosciuto e valorizzato. In particolare, la Santa Sede ha parlato della difficile situazione affrontata da donne e ragazze che vivono in aree colpite della guerra, le quali “sono spesso vittime di violenza sessuale, sono usate come arma di guerra e sono costrette a sfollamento forzato mentre soffrono di una mancanza di cura sanitario”.

La risoluzione 1325 riconosceva il ruolo e le abilità uniche delle donne nel promuovere la riconciliazione e incoraggiava la partecipazione femminile alla costruzione della pace sia nelle comunità locali che a livello nazionale o internazionale, ha notato la Santa Sede.

La Santa Sede ha quindi lodato il lavoro instancabile di Madre Teresa di Calcutta, il lavoro di associazioni di suore come il network anti-traffico Talitha Kum e sottolineato come “il lavoro di queste donne aiuti a costruire una cultura di pace e a portare avanti il riconoscimento della dignità unica di ogni persona umana”.

La Santa Sede all’ONU di New York: la commissione legislativa internazionale

C’è una commissione legislativa internazionale alle Nazioni Unite, e uno dei lavori di questa commissione riguarda la protezione ambientale in relazione a conflitti armati, l’immunità degli officiali di Stato dalla giurisdizione criminale straniera e l’accrescimento del livello del mare in relazione alla legge internazionale. Se ne è discusso alla sede ONU di New York lo scorso 5 novembre.

Intervenendo al dibattito, la Santa Sede ha apprezzato l’adozione, da parte della commissione, dei principi di protezione dell’ambiente in relazione ai conflitti armati, e notato che “almeno il 40 per cento di tutti i conflitti tra gli Stati sono legati a risorse naturali”.

La Santa Sede ha anche sostenuto la necessità di rispettare l’immunità degli officiali di Stato dalla giurisdizione straniera, ma ha detto che alcuni atti criminali dovrebbero essere esclusi dall’immunità. Per questo, la Santa Sede sostiene la necessità di focalizzarsi si questioni procedurali come il tempo, l’invocazione del reato e la rinuncia, perché queste contribuiscono ad una gestione trasparente dell’immunità e allo stesso tempo proteggono le preoccupazioni della sovranità.

Per quanto riguarda il tema dell’innalzamento dei livelli dei mari, questo chiede, più che leggi, una conversione verso l’ecologia integrale, come è chiamata da Papa Francesco, che si sostanzia in un approccio etico integrato che metta in luce le conseguenze della crescita del livello dei mari e i conflitti armati.

La fame nel Sahel: il punto di vista dell’Osservatore della Santa Sede alla FAO

Con un articolo sull’Osservatore Romano del 6 novembre scorso, monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore della Santa Sede presso la FAO, ha affrontato il tema della fame nel mondo, in particolare nella regione del Sahel.

Monsignor Chica ha notato che “oggi più di 820 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza”, e preoccupa “non solo la scarsità di cibo, ma anche il mancato accesso ad alimenti nutrienti”.

Il Sahel è stata proclamata dalle Nazioni Unite “stato di emergenza di livello 3”, dopo che si è notato che lì più di 5 milioni di persone hanno vissuto una situazione di insicurezza alimentare e un milione di persone “è stato colpito da gravi forme di malnutrizione”.

Il Sahel – per cui la Santa Sede ha anche una fondazione dedicata – è una fascia di oltre 5 mila chilometri, che si estende dall’Oceano Atlantico al Corno d’Africa. Monsignor Chica nota che le Nazioni Unite hanno definito il Sahel come “l’area più vulnerabile al mondo per gli effetti del cambiamento climatico”, e l’innalzamento delle temperature ha creato periodi di siccità che hanno creato un malessere che si sfoga contro i governi locali. Da qui, “la diffusione di cellule terroristiche che riescono a guadagnare facilmente il consenso”, mentre migrare non è “economicamente sostenibile”.

Il rappresentante della Santa Sede alle organizzazioni alimentari delle Nazioni Unite ha ricordato che queste (FAO, IFAD e PAM) si sono “impegnate a rafforzare il sostegno per affrontare l’insicurezza alimentare e nutrizionale nel Sahel” e ha chiesto che la comunità internazionale “moltiplichi gli sforzi per porre fine a questa situazione di emergenza”. La Santa Sede chiede in particolare di “accrescere la cooperazione tra tutti gli attori sia a livello locale che a livello globale e pianificare azioni che possano portare benefici sul lungo periodo, e non soltanto per far fronte alle necessità immediate”.

La Santa Sede apprezza che FAO, IFAD e PAM “si siano accordati per adottare un approccio coerente e coordinato che miri alla riduzione delle cause profonde di vulnerabilità e a investire sulla prevenzione, anticipazione e risposta delle crisi che minano il sostentamento agricolo, la sicurezza alimentare e la nutrizione delle persone vulnerabili”.

                                                VATICANO

Il Cardinale Parolin incontra il nuovo presidente della FAFCE

Lo scorso 5 novembre, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha incontrato Vincenzo Bassi, presidente della FAFCE, la Federazione delle Associazioni di Famiglie Cattoliche in Europa. Bassi è stato recentemente eletto nuovo presidente dell’organizzazione, e ha preso il posto di Antoine Renard, che ha guidato la FAFCE negli ultimi dieci anni.

Il Cardinale Parolin e Bassi hanno parlato per più di un’ora, e si è trattato, fanno sapere dall’organizzazione, di “un incontro davvero incoraggiante” e del secondo incontro “ tra il Segretario di Stato il presidente della FAFCE”.

Il primo incontro era avvenuto nel 2017, quando l’intero consiglio di presidenza dell’organizzazione era stato ricevuto in udienza privata dal Papa in occasione del ventesimo anniversario dalla fondazione, e nell’occasione c’era stato anche un incontro tra il Segretario di Stato vaticano e l’allora presidente Antoine Renard.

L’incontro tra il Cardinale Parolin e Bassi ha rappresentato l’occasione di evidenziare le linee strategiche della FAFCE nella sua azione presso le istituzioni europee.

La FAFCE rappresenta 27 azioni familiari di ispirazioni cattolica in Europa ed è l’unica organizzazione familiare con statuto partecipativo presso il Consiglio d’Europa.

                                                FOCUS EUROPA

30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, la posizione della COMECE

La Commissione degli Episcopati dell’Unione Europea (COMECE) ha diffuso una lettera in occasione del 30esimo anniversario della caduta del muro di Berlino.

I vescovi europei ricordano che la caduta del muro “fu un momento pieno di emozioni”, e che portarono a grandi conseguenze, perché “il muro era il simbolo della divisione ideologica dell'Europa e del mondo intero”.

I vescovi ricordano “i cambiamenti avvenuti in Ungheria all'inizio del 1989, il crollo della cortina di ferro ad aprile, e le prime libere elezioni in Polonia a giugno, culminarono con la caduta del muro di Berlino, un evento che aprì la strada per riottenere la libertà, dopo più di 40 anni di regimi oppressivi nei Paesi dell'Europa centrale e orientale”.

I vescovi della COMECE sottolineano che “è vero che non tutte le aspettative suscitate dalla caduta del muro siano state soddisfatte” ed è “inoltre innegabile che le ideologie, un tempo alla base della costruzione del muro, non sono del tutto scomparse in Europa e sono ancora oggi presenti, seppur in forme diverse”.

Secondo i vescovi della COMECE, la caduta del Muro ha una portata simbolica perché “ci ha insegnato che costruire muri tra i popoli non è mai la soluzione, ed è un appello a lavorare per un'Europa migliore e più integrata”, che respiri con “due polmoni” secondo i desideri di San Giovanni Paolo II.

A lui si appellano, i vescovi, che sottolineano la necessità di commissioni di verità e di riconciliazione, perché “ancora oggi, per alcune delle vittime dei regimi oppressivi del passato, questo processo è tutt'altro che concluso; la loro determinazione, il loro impegno e la loro sofferenza sono stati decisivi per la libertà di cui l'Europa gode oggi”.

Al termine del messaggio, i vescovi invitano “tutti gli europei a lavorare insieme per un'Europa libera e unita, tramite un rinnovato processo di dialogo che trascenda mentalità e culture, rispettando le nostre diverse esperienze storiche e condividendo le nostre speranze e aspettative per un futuro comune di pace”.

Le celebrazioni per i 25 anni di Caritas Georgia

Caritas Georgia compie 25 anni, e per l’occasione è stato organizzato un convegno e un incontro con i partner particolarmente partecipato. La nunziatura apostolica di Tbilisi è stata molto attiva nell’organizzazione.

Il 5 novembre, l’arcivescovo José Avelino Bettencourt, nunzio apostolico in Georgia, ha tenuto il discorso di apertura alla sessione di celebrazione del venticinquesimo di Caritas Georgia, associazione tra l’altro inclusa in Caritas Internationalis, la confederazione che fa da ombrello a più di 165 agenzie caritas nel mondo e che è grande più di due volte la Croce Rossa, la Mezza Luna Rossa e la Stella di Davide.

Il nunzio ha ricordato l’assemblea generale di Caritas Internationalis dello scorso maggio, che ha portato all’elezione del nuovo segretario generale dell’organizzazione, e delle parole che il Papa ha rivolto all’organizzazione. Papa Francesco, in particolare, ha ricordato che “l’essenza della Carità è Dio stesso”, che la carità “deve essere radicata nel pieno sviluppo dell’essere umano”, e che la carità va “insieme alla comunione”, perché la comunione è “fede visibile in azione”.

L’arcivescovo Bettencourt ha sottolineato che “Caritas Georgia non può esistere senza fare carità”, la quale “deve essere aperta a chiunque nel bisogno” ed è “sempre una relazione di amore con il bisognoso”, coinvolgendo “cuore, anima ed essere umano”.

La Caritas, insomma, prepara a “trovare Cristo mentre noi lo troviamo nel povero”, tanto che “governi o istituzioni finanziarie aiutano specifici progetti Caritas a causa del particolare spirito cattolico di Carità”.

Il nunzio ha rimarcato anche l’eredità di Caritas Georgia, che ha cominciato la sua attività nel Paese proprio quando questo ha riguadagnato la sua indipendenza. Il suo servizio è stato “senza dubbio rinforzato dalla presenza di congregazioni religiose e persone di buona volontà”. Va ricordato che in questo anno si celebra anche il 25esimo anniversario della presenza stimmatina in Georgia, e che l’amministratore apostolico del Caucaso, il vescovo Giuseppe Pasotto, è appunto uno stimmatino. Non va dimenticata nemmeno la presenza dei padri Camilliani, anche loro impegnati in varie opere di assistenza. Sono arrivate, invece, 30 anni fa le Suore di Madre Teresa, proprio a seguito di una visita della stessa Madre Teresa. E poi, è il 25esimo anniversario dello stabilimento della Amministrazione Cattolica Latina nel Caucaso del Sud, il 20esimo anniversario della storica visita in Georgia di San Giovanni Paolo II, avvenuta nel novembre 199; e infine il 10mo anniversario dell’apertura della Chiesa Assiro Cattolica di Mar Shimmon, a Tbilisi.

L’ “ambasciatore del Papa” in Georgia ha ricordato che Caritas Georgia è stata “in prima linea nell’offrire assistenza quando è cominciata la guerra nel 2008”, vale a dire il secondo conflitto dell’Ossezia del Sud scoppiato nell’agosto di quell’anno, definito anche la “prima guerra europea del XXI secolo”. Il conflitto si è concluso con il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha provocato 192 mila sfollati, e 20272 di loro erano ancora in questa condizione nel 2014.

Il 4 novembre, l’arcivescovo Bettencourt ha invece celebrato la Messa che dava inizio alle celebrazioni nella cattedrale dell’Assunzione della Vergine a Tbilisi. Nell’omelia, l’arcivescovo ha notato che la Caritas è stata “presente in Georgia in temi di particolare significato per la nazione: tempi di guerra, tempi di violenti cambiamenti sociali e conflitto, ma anche tempi di pace e di sviluppo”.

Caritas, ha ricordato l’ambasciatore del Papa, ha cominciato in una situazione di particolare difficoltà, con un “clima politico instabile”, infrastrutture “inesistenti”, mancanza di risorse e di cibo.

Ma Caritas è rimasta unita, e tutti quelli associati alla Caritas “sono andati avanti con generosità e determinazione”.

La luce di Caritas è stata “la nostra fede in azione – ha detto l’arcivescovo Bettencourt – testimoniata con determinazione, la cui generosità non egoista si è radicata in gesù Cristo”. È per la carità che “amiamo Dio sopra tutte le cose”, e la carità è “al cuore dell’insegnamento della Chiesa”, per cui “la Chiesa è una forza viva”.

Come il buon samaritano, ha aggiunto il nunzio, la “carità cristiana è prima di tutto il semplice responso a bisogni immediati”, come “dar da mangiare agli affamati, vestire i nudi, prendersi cura dei malati, visitare i prigionieri”, e la Caritas fa tutto per portare avanti questa attività, ovviamente con “competenza professionale”, ma consapevole che questa è “insufficiente, perché abbiamo a che fare con esseri umani e gli esseri umani hanno sempre bisogno di qualcosa di più di una cura tecnica appropriata. Hanno bisogno di umanità e di preoccupazione che viene dal cuore”.

L'arcivescovo Gallagher in Armenia

È una breve missione di 36 ore, quella porta l'arcivescovo Paul Richard Gallagher in Armenia.  A Yerevan, il "ministro degli Esteri" della SAnta Sede si incontrerà con il suo omologo Zohrab Mnatsakanyan. Al termine dell'incontro, ci saranno dichiarazioni alla stampa.  

L’inizio della missione del nunzio Lingua in Croazia

Lo scorso 18 ottobre, l’arcivescovo Giorgio Lingua ha ufficialmente iniziato la sua missione come “ambasciatore del Papa” in Croazia con una celebrazione nella cattedrale dell’Assunta a Zagabria, cui hanno partecipato rappresentanti delle Conferenze Episcopali dei Paesi vicini, rappresentati del governo come il vicepresidente del Parlamento Zeljiko Reiner e l’inviato presidenziale Mate Granic, così come il ministro degli Affari Esteri ed Europei Gordan Grlic Radman e il ministro della Giustizia Drazen Bosnjakovic.

L’arcivescovo Lingua ha tenuto l’omelia in croato, sottolineando in particolare chi ha onorato con fervore l’amore della Chiesa di Cristo, come il beato Aloysius Stepinac, il quale “non ha esitato ad affrontare il martirio per questa fedeltà a Dio e alla Chiesa”.

Parlando ancora della questione di Stepinac e dell’attesa canonizzazione, l’arcivescovo Lingua ha detto che “il beato Aloysius è già santo perché non sono le nostre dichiarazioni che aggiungono o tolgono qualcosa alla sua santità”.

Prima della benedizione finale, l’arcivescovo di Zara Zelimir Pulijic, presidente della Conferenza Episcopale Croata, ha voluto dare il benvenuto al nuovo nunzio, che era stato presentato all’inizio della celebrazione dal Cardinale Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria.

Un libro spiega i rapporti tra Croazia e Santa Sede

L’arcivescovo Nikola Eterovic, nunzio apostolico in Germania, ha presentato lo scorso 22 ottobre in Croazia il libro “La Santa Sede e la Croazia”. Si tratta di un libro nel quale il diplomatico vaticano, che ha origine croata, ha inteso spiegare perché la Santa Sede ha sostenuto il riconoscimento internazionale della Repubblica di Croazia, quale sistema legale di relazioni tra Stato e Chiesa si applica in Croazia.

L’arcivescovo ha anche voluto chiarire che la cooperazione tra Chiesa e Stati non è contraria al principio secondo cui Stato e Chiesa sono indipendenti nel loro ordine. In particolare, l’arcivescovo Eterovic ha ricordato che altri Paesi hanno trattati simili con la Santa Sede, e questo ha rappresentato anche una risposta alle proteste in Croazia dei giorni scorsi, in cui si chiedeva appunto di cancellare gli accordi con la Santa Sede.

                                                FOCUS AFRICA

Le proteste in Etiopia, la presa di posizione del primo ministro

Di certo, l’arcivescovo Antoine Camilleri, nuovo nunzio in Etiopia, è chiamato ad affrontare una situazione difficile. L’Etiopia in cui arriva è quella il cui primo ministro Abiy Ahmed ha portato avanti uno storico processo di pace con l’Eritrea, lodato da Papa Francesco, ma che ora sta vivendo una serie di proteste interne portate avanti da supporter dell’attivista Jawar Mohammed che hanno portato un bilancio di 86 morti. Papa Francesco ha fatto riferimento alle proteste in Etiopia nell’Angelus dello scorso 3 novembre.

Le proteste nascono in vista delle elezioni del 2020. Abiy è chiamato a portare avanti un piano delicato, sospeso tra la concessione di sempre maggiori libertà politiche e la necessità di bilanciare i poteri di uomini forti a ragione della loro etnia.

Il presidente ha voluto anche una Commissione Nazionale per la Riconciliazione e la Pace e, riconoscendo il grande ruolo della Chiesa nel territorio, ha voluto come coordinatore di questa commissione il Cardinale Berhaneyseus Demerw Souraphiel. Vice presidente della commissione è Yetnebersh Nigussie, una donna cattolica.

In una recente intervista, il cardinale ha sottolineato che la situazione in Etiopia è “difficile, ma aperta alla speranza”, e che “il governo etiope e le altre confessioni religiose hanno fiducia nella Chiesa cattolica, perché siamo piccoli, una minoranza che non arriva neanche al 2 per cento” e “quando si è piccoli non si è pericolosi”.

La commissione è chiamata a preparare le elezioni nei prossimi mesi, parlando con governanti delle nove regioni del Paese e con i capi religiosi. Il Cardinale Souraphiel ha anche annunciato di essersi attivato con il segretario per andare nelle parrocchie a spiegare cosa sono le elezioni.

Il Cardinale Souraphiel ha infine detto di aver incontrato Papa Francesco a maggio in Vaticano, e di averlo invitato a visitare l’Etiopia, così come hanno fatto il primo ministro e l’Unione Africana. Per il cardinale, la presenza del Papa sarebbe fondamentale per tutto il Corno d’Africa.

L’arcivescovo Thevenin nominato nunzio in Egitto

L’arcivescovo Nicolas Henry Marie Denis Thevenin è il nuovo nunzio apostolico nella Repubblica Araba di Egittto e delegato presso la Lega degli Stati Arabi. Dopo aver servito per sei anni come nunzio apostolico in Guatemala, l’arcivescovo Thevenin va in Egitto, a prendere il posto dell’arcivescovo Musarò, già da tempo nominato “ambasciatore del Papa” in Costa Rica.

Francese, ma incardinato a Genova dove ha studiato al seminario, l’arcivescovo Thevenin è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1994, e ha servito nelle nunziature di India, Repubblica Democratica del Congo, Belgio, Libano, Cuba e Bulgaria. Nel 2005 viene chiamato a servire presso la Seconda Sezione della Segreteria di Stato vaticana, e dal 2006 entra nella segreteria particolare del Cardinale Tarcisio Bertone, allora Segretario di Stato. Benedetto XVI lo eleva al rango di arcivescovo e lo nomina nunzio nel 2013, e lì ha servito fino ad oggi, quando è arrivata la nomina in Egitto.

                                                FOCUS ASIA

Il nunzio in Thailandia sul prossimo viaggio di Papa Francesco nel Paese.

Papa Francesco sarà in Thailandia dal 20 al 23 novembre, per l’arcivescovo Paul Tshcang in-Nam, nunzio apostolico in Thailandia, Myanmar e Cambogia e delegato apostolico in Laos si tratta di una “esortazione a seguire l’esempio dei missionari attraverso un risveglio della vocazione all’annuncio”.

Il nunzio ha parlato in una intervista all’agenzia del PIME Asia News. L’arcivescovo Tschang ha detto che la Thailandia vive “in una atmosfera molto positiva”, a differenza della visita di Giovanni Paolo II nel 1984, che creò proteste da parte buddhista.

Il viaggio del Papa cade nel 350esimo anniversario dell’istituzione canonica del vicariato apostolico del Siam. La Chiesa in Thailandia ha due ceppi: una catecumenale, al Nord, animata dalle conversioni delle comunità tribali; e quella dii Bangkok, dove c’è un cattolicesimo più istituzionale.

Il nunzio prega che il Papa colmi le distanze tra le due anime della Chiesa thai. Fondamentale il dialogo interreligioso, in un Paese al 90 per cento buddista. “La visita del Santo Padre – conclude il nunzio – sicuramente rafforzerà questo dialogo religioso, in cui la Chiesa locale è già ben impegnata. Egli viene qui per spronarci nella costruzione di una società capace di autentici valori umani. La sua presenza rafforzerà la fede dei cattolici thai e favorirà la proclamazione del Vangelo in Thailandia. Quello che ci aspettiamo da lui è un incoraggiamento paterno”.