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Papa Francesco, Urbi et Orbi: “Siamo tutti fratelli. Il vaccino anti-Covid sia per tutti"

Nel consueto messaggio Urbi et Orbi di Natale, Papa Francesco guarda a tutti i territori in conflitto della terra. E chiede di riconoscere nell’altro il fratello

Papa Francesco, Urbi et Orbi di Natale 2020 | Papa Francesco durante l'Urbi et Orbi di Natale. Alla sua destra, il Cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica di San Pietro; alla sua sinistra, monsignor Guido Marini, Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie | Vatican Media / ACI Group Papa Francesco, Urbi et Orbi di Natale 2020 | Papa Francesco durante l'Urbi et Orbi di Natale. Alla sua destra, il Cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica di San Pietro; alla sua sinistra, monsignor Guido Marini, Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie | Vatican Media / ACI Group

La nascita di Gesù è anche il modo in cui Dio ci offre la fraternità, “basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me”, e che dovrebbe guidare i popoli e i governanti di tutte le nazioni in tutte le loro scelte: dalla cooperazione per affrontare la crisi sanitaria, con cure per tutti, all’attenzione per le persone più fragili, fino all’impegno per la pace nelle regioni più difficili del mondo.

In un messaggio urbi et orbi inconsueto, senza ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, pronunciato dall’Aula delle Benedizioni e non dall’Altare della Confessione come era successo a Pasqua (e un po' di persone assistono, mentre nessuno può accedere a piazza San Pietro), Papa Francesco usa la chiave di lettura della fraternità, che viene dalla sua ultima enciclica Fratelli Tutti, come linea guida del suo appello di pace. Un appello che, come di consueto, tocca tutto il mondo, con le regioni che più stanno a cuore al Papa: dall’Iraq dove il Papa dovrebbe andare in visita a marzo, al Libano cui il Papa ha mandato una lettera ieri (così come ha fatto con il Sud Sudan, altro luogo dove il Papa desidera andare), fino al difficile scenario africano, passando per la pace nel conflitto israeliano palestinese, e senza dimenticare i più recenti conflitti, come quello in Nagorno Karabakh, ma non menzionando la Bielorussia, dove una ultima mediazione ha permesso all’arcivescovo di Mink Kondrusiewicz di tornare dall’esilio.

Nel suo messaggio, Papa Francesco parte proprio dalla nascita di Gesù. Una nascita che “è fonte di speranza, è vita che sboccia, è promessa per il futuro”. Una nascita che è “per noi, senza confini, senza privilegi, né esclusioni”, un Figlio “che Dio ha dato all’intera famiglia umana, e che ci permette di rivolgerci a Dio “chiamandolo Padre”.

Perché se Gesù è l’unigenito, e “nessun altro conosce il Padre oltre lui”, è proprio la sua nascita a “rivelarci il volto del Padre celeste”, tanto che possiamo tutti “chiamarci ad essere realmente fratelli”, nonostante le nostre diversità.

Sottolinea Papa Francesco: “In questo momento storico, segnato dalla crisi ecologica e da gravi squilibri economici e sociali, aggravati dalla pandemia del coronavirus, abbiamo più che mai bisogno di fraternità”.

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La fraternità che ci viene data dalla venuta del Figlio di Dio, spiega Papa Francesco, è “una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze, di avvicinarsi e prendersene cura anche se non è della mia famiglia, della mia etnia, della mia religione; è diverso da me ma è mio fratello, è mia sorella”. Una fraternità che “vale anche nei rapporti tra i popoli e le nazioni”.

Dice Papa Francesco: "Oggi, in questo tempo di oscurità e incertezze per la pandemia, appaiono diverse luci di speranza, come le scoperte dei vaccini. Ma perché queste luci possano illuminare e portare speranza al mondo intero, devono stare a disposizione di tutti".

E così, Papa Francesco sottolinea che non si può "lasciare che i nazionalismi chiusi ci impediscano di vivere come la famiglia umana che siamo", né che il "virus dell’individualismo radicale vinca noi e ci renda indifferenti alla sofferenza di altri fratelli e sorelle".

"Non posso - aggiunge Papa Francesco - mettere me stesso prima degli altri, mettendo le leggi del mercato e dei brevetti prima delle leggi dell’amore". E quindi il Papa prega governi, aziende farmarceutiche, organizzazioni internazionali di "promuovere la cooperazione e non la concorrenza" e di cercare "vaccini per tutti, specialmente per i più vulnerabili e bisognosi".

In nome di questa fraternità, Papa Francesco chiede di essere “disponibili, generosi e solidali” verso le persone più fragili o quelli più colpiti dalle conseguenze della pandemia, incluse “le donne che in questi mesi di confinamento hanno subito violenze domestiche”.

Papa Francesco chiede poi “una rinnovata cooperazione sanitaria, a cominciare dall’ambito sanitario, affinché a tutti sia garantito l’accesso ai vaccini e alle cure”, perché di fronte a questa pandemia che “non conosce confini”, non si “possono erigere barriere”.

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Il Papa ribadisce che siamo tutti fratelli, e che “in ciascuno vedo riflesso il volto di Dio”, in particolare “nel malato, nel povero, nel disoccupato, nell’emarginato, nel migrante e nel rifugiato”.

Papa Francesco pensa ai bambini che soffrono la guerra, in particolare “in Siria, in Iraq, nello Yemen”, e chiede che “i loro volti scuotano le coscienze degli uomini di buona volontà”, perché “ci si adoperi con coraggio per costruire un futuro di pace”.

Papa Francesco auspica che il tempo di Natale sia “il tempo propizio per stemperare le tensioni in tutto il Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale”, pensa in particolare al popolo siriano, ma anche agli yazidi di Iraq, ai negoziati in Libia che spera portino “alla fine di ogni forma di ostilità nel Paese”.

Immancabile la menzione al conflitto israeliano-palestinese: Papa Francesco si augura che i due popoli “possano recuperare la fiducia reciproca per cercare una pace giusta e duratura attraverso un dialogo diretto, capace di vincere la violenza e di superare endemici risentimenti, per testimoniare al mondo la bellezza della fraternità”.

Rimanendo in Medio Oriente, Papa Francesco guarda al Libano, e prega che il Paese “possa percorrere un cammino di riforme e proseguire nella sua vocazione di libertà e convivenza pacifica”.

Quindi, Papa Francesco sposta lo sguardo sul conflitto in Nagorno Karabakh, chiede di sostenere “l’impegno della comunità internazionale” e dei Paesi coinvolti a preservare il cessate il fuoco nella regione, e lo stesso prega per la situazione nelle regioni orientali dell’Ucraina.

Papa Francesco sposta poi l’attenzione sulla situazione in Africa. Prega perché si allevi la sofferenza “delle popolazioni del Burkina Faso, del Mali e del Niger, colpite da una grave crisi umanitaria, alla cui base vi sono estremismi e conflitti armati, ma anche la pandemia e altri disastri naturali”.

Guarda agli scontri in Etiopia, ma anche a Cabo Delgado in Mozambico, la cui popolazione è “vittima della violenza del terrorismo internazionale”: lì dal 2017 un gruppo che si è detto affiliato all’ISIS ha cominciato una insurrezione, e Papa Francesco a inizio dicembre ha inviato una donazione di 100 mila euro con cui saranno costruiti due centri sanitari.

Quindi, Papa Francesco menziona le situazioni in Sud Sudan, in Nigeria e in Camerun, Paesi per cui chiede di “proseguire il cammino di fraternità e di dialogo intrapreso”.

La geopolitica papale guarda anche al continente americano “particolarmente colpito dal coronavirus”, pandemia che “ha esacerbato le tante sofferenze che lo opprimo” e cita in particolare “le recenti tensioni sociali in Cile” (dove anche chiese sono state bruciate) e la situazione in Venezuela.

Il Papa prega dunque che “il Re del Cielo protegga le popolazioni flagellate da calamità naturali nel sud-est asiatico, in modo particolare nelle Filippine e in Vietnam, dove numerose tempeste hanno causato inondazioni con ricadute devastanti sulle famiglie che abitano in quelle terre, in termini di perdite di vite umane, danni all’ambiente e conseguenze per le economie locali”.

Per Papa Francesco, Asia significa anche rohingya, popolazione musulmana dello Stato di Rakhine in Myanmar da tempo profughi e rimpallati di Stato in Stato, una questione di cui Papa Francesco ha fatto un centro diplomatico.

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Ma Natale significa anche speranza. E così, Papa Francesco non manca di ricordare “quanti non si lasciano sopraffare dalle circostanze avverse, ma si adoperano per portare speranza, conforto e aiuto, soccorrendo chi soffre e accompagnando chi è solo”.

Infine, Papa Francesco manda infine un pensiero particolare alle famiglie, “a quelle che oggi non possono ricongiungersi, come pure a quelle che sono costrette a stare in casa”. “Per tutti – conclude Papa Francesco - il Natale sia l’occasione di riscoprire la famiglia come culla di vita e di fede; luogo di amore accogliente, di dialogo, di perdono, di solidarietà fraterna e di gioia condivisa, sorgente di pace per tutta l’umanità”.