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Diplomazia Pontificia, dalla questione ucraina al conflitto nello Yemen

Bandiera della Santa Sede | La bandiera della Santa Sede sul Palazzo Apostolico Vaticano | AG / ACI Stampa Bandiera della Santa Sede | La bandiera della Santa Sede sul Palazzo Apostolico Vaticano | AG / ACI Stampa

I cento anni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, i frutti dell’appello di Papa Francesco nello Yemen, un incontro dell’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk con i diplomatici per definire la situazione in Ucraina: sono questi i tre maggiori temi della settimana diplomatica della Santa Sede.

Per celebrare i cento anni dell’ILO è andato a Ginevra “il ministro degli Esteri” vaticano, a testimonianza di un impegno della Santa Sede sui temi del lavoro che a Ginevra si spera sfoci persino in un secondo viaggio di Papa Francesco nella città svizzera, questa volta per le organizzazioni internazionali. Mentre sulla questione ucraina si è pronunciato anche il ministro degli Esteri del Paese, Klimkin, in una nota diffusa alla stampa internazionale.

Cento anni dell’ILO: l’intervento dell’arcivescovo Gallagher

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro festeggia i cento anni, e lo fa con un evento speciale, una commemorazione dal titolo “Ripensare il lavoro e il futuro del lavoro. Una prospettiva interreligiosa”. L’evento è organizzato dall’ILO insieme alla Missione Permanente della Santa Sede, la delegazione per l’organizzazione per la Cooperazione Islamica alle Nazioni Unite, il Consiglio Mondiale delle Chiese, la Fondazione Caritas in Veritate il progetto “Il futuro del lavoro, il lavoro dopo la Laudato Si.

La fondazione Caritas in Veritate, legata alla Missione permanente della Santa Sede, ha anche redatto una pubblicazione, “Ripensare il lavoro. Riflessioni etiche sul futuro del lavoro”, e ne ha distribuito copie ai partecipanti.

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È il segno di una Santa Sede molto presente nell’ILO, cui ha sempre partecipato, e dove c’è da sempre un responsabile per le relazioni con le organizzazioni religiose che è un sacerdote e sempre un gesuita. E per questo, l’evento ha visto la presenza del “ministro degli Esteri” vaticano, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, per un intervento tutto dedicato al modo in cui il lavoro si è trasformato, e al modo in cui mette da parte gli esclusi.

“Le profonde trasformazioni di oggi – dice l’arcivescovo Gallagher in un intervento del 25 febbraio – non possono essere negate, e alcune di esse hanno un impatto sociale su politiche influenzate dalle forze del mercato piuttosto che dalle legge sull’economia, mentre altre includono l’urgente richiesta della protezione di diritti e una definizione in via di cambiamento dei ruoli sociali e delle aspettative di vita”.

L’arcivescovo Gallagher nota che “le bolle finanziarie” causate da uno sviluppo sregolato delle attività finanziarie portano non più semplicemente “al fenomeno dell’oppressione e dello sfruttamento”, ma a qualcosa di nuovo, perché gli esclusi non sono più gli sfruttati, ma quelli che vengono scartati.

Per questo, la Chiesa incoraggia a ripristinare il concetto di funzione sociale del lavoro, considerando che “La dottrina Sociale della Chiesa enfatizza sia la dimensione sociale del lavoro che la funzione sociale di tutta l’economia”, tema che è sempre stato al centro della Dottrina Sociale della Chiesa, ma che ha avuto una sviluppo più veloce a partire dalla rivoluzione industriale del XIX secolo. Ed è stato in quel momento che la Chiesa cattolica ha cominciato a lavorare per far crescere la consapevolezza delle trasformazioni sociali dell’economia, secondo una attività sociale che ha portato proprio alla codificazione della Dottrina Sociale.

Per la Santa Sede, la questione è semplice: l’Organizzazione Internazionale del Lavoro nasce con l’intuizione che “una pace universale e durevole potesse essere stabilita solo sulla giustizia sociale”, e sin dalla sua nascita ILO e Santa Sede hanno trovato punti di convergenza, specialmente per quanto riguarda gli obiettivi di sostenere la dignità umana, la solidarietà e la giustizia sociale.

L’arcivescovo Gallagher mette in particolare in luce la questione dei salari, che devono essere sufficienti ad andare sopra la soglia di povertà, perché – come diceva San Giovanni Paolo II – le persone non possono essere trattate come beni di consumo.

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In particolare – afferma il “Ministro degli Esteri” vaticano – “il rispetto per la vita umana non è un concetto astratto, ma permette a tutti di realizzare le proprie aspirazioni n un particolare contesto”, perché “l’essere umano viene prima di ogni cosa. E questo lo sa anche l’ILO, chiamato a sviluppare una agenda economica centrata sull’essere umano.

L’arcivescovo Gallagher poi mette in luce tre situazioni in cui “costruire ponti è particolarmente necessario”, che sono: la crisi intergenerazionale incombete a causa della disoccupazione che sta diventando una grande emergenza; quindi c’è bisogno di un ponte tra educazione e lavoro, anche perché il sistema educativo è alla base di ogni strategia di sviluppo; e infine, è necessario un ponte per ridurre il gap tra il lavoro e le sue spesso negative conseguenze ambientali”, dato che “il lavoro acquisisce il suo vero carattere quando è decente e sostenibile per lavoratori impiegati, governi, comunità e l’ambiente.

L’arcivescovo Gallagher sottolinea anche il rischio concreto che “nel vicino futuro, le nostre economie saranno caratterizzate da un numero significativo di persone disoccupate, e da large ineguaglianze che andranno ad alimentare il disagio sociale”, e che c’è il dovere di “invertire il trend”, perché “il riconoscimento della centralità della persona umana suggerisce che dobbiamo investire più nelle persone che nelle tecnologie”.

L’arcivescovo Gallagher all’ONU di Ginevra: la questione dei diritti umani

Sempre a Ginevra, l’arcivescovo Gallagher ha preso parte il 25 febbraio a un incontro di alto livello sulla 40esima discussione del Consiglio dei Diritti Umani. Nel suo intervento, l’arcivescovo ha riaffermato il concetto di “centralità della persona umana” che è stata riconosciuta anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che ha compiuto settanta anni nel 2018.

La Santa Sede – ha detto l’arcivescovo Gallagher – “ha cercato, come obiettivo importante della sua attività nelle arene internazionali, l’avanzamento dell’universalità e dell’indivisibilità dei diritti umani, che è un elemento essenziale nella costruzione di società pacifiche e dello sviluppo integrale di persone, popoli e nazioni”.

L’arcivescovo Gallagher ha notato che viviamo oggi “in un mondo sempre più complesso, dove la sicurezza e lo sviluppo, i metodi di guerra, le migrazioni e il movimento dei rifugiati, il cambiamento climatico e il commercio”, e per questo “la promozione o violazione dei diritti umani non dovrebbe essere vista come un qualcosa di isolato”.

Riferendosi alla nascita della Società delle Nazioni (citata da Papa Francesco anche nel discorso di inizio anno al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede), l’arcivescovo Gallagher ha ricordato che si celebrano i cento anni di “una nuova visione di stabili relazioni multilaterali”, che hanno portato poi alla nascita delle Nazioni Unite, all’OSCE, alla Convenzione dei Diritti del Bambino, tutti documenti che “indicano il profondo legame tra la dignità, il godimento dei diritti e delle libertà delle persone umane”, dato che “riaffermare che tutti gli uomini sono nati in eguale dignità e necessità implica che i diritti umani hanno le loro fondamenta in quello che ogni essere umano condivide equamente e permanentemente.

L’arcivescovo Gallagher denuncia “una sistematica e progressiva frammentazione della natura dell’essere umano in certi ambienti”, che si vede nella proclamazione di nuovi diritti, mentre si fallisce nel riconoscere la natura umana, che si trasforma “alla fine nella violazione dei diritti umani di base e il declino dell’umanità”.

Non si può, insomma, “rimuovere i diritti umani dalla connessione con la natura umana e la sua dignità”.

L’arcivescovo Gallagher nota anche che “negli ultimi decenni, abbiamo sperimentato una significante crescita delle violazioni al diritto alla libertà di religione e di credo”, e questo “nonostante l’esistenza di un solido framework legale internazionale”. La Santa Sede chiede un ruolo strategico nel valutare e assicurare la giusta attenzione e garanzie garantite dalle autorità pubbliche”.

Il diritto alla libertà religiosa “non deve essere solo limitato alla sfera privata – sottolinea il “ministro degli Esteri vaticano – ma deve anche essere riconosciuto quando i credenti agiscono in comunità”, mentre limiti a questo diritto possono essere stabiliti solo affinché siano osservati gli standard di ordine pubblico.

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Altro tema fondamentale, quello dell’obiezione di coscienza, sempre a rischio. La Santa Sede chiede di “andare oltre il linguaggio dell’economia e della statistica”; dando piuttosto considerazione alle dimensioni “morali spirituali e religiose” che “non possono essere ignorate senza creare un serio detrimento alla persona umana e al suo pieno sviluppo”.

La Santa Sede considera comunque il Consiglio dei diritti umani come “un luogo cruciale per un dialogo indispensabile e urgente, mentre rappresentanti di vari Stati sono chiamati a convergere e cooperare in uno spirito di rispetto per la cultura di ciascun popolo e nazione, non solo a livello numerico, ma nel dare forma e rinforzare la protezione di quei diritti positivi che sono basati sulla dignità della persona umana, sulla struttura della sua esistenza, sugli elementi naturali tradizionali delle sue dinamiche sociali”.

Monsignor Camilleri all’ONU di New York: il tema delle migrazioni

Il sottosegretario per i rapporti con gli Stati vaticano, monsignore Antoine Camilleri, è stato invece nella Sede delle Nazioni Unite di New York, dove il 27 febbraio ha preso la parola durante il dibattito di alto Livello sulla Migrazione Internazionale. L’intervento della Santa Sede ha avuto luogo in un panel dedicato a “Una panoramica sui progressi nel raggiungere gli obiettivi migratori”.

Nel suo intervento, monsignor Camilleri ha detto che poche volte fa notizia il fatto che la migrazione sia in gran parte regolare come segno di una economia sana. Le migrazioni creano certamente sfide, ma quando è bene gestita e quando le cause originarie della migrazione forzata e dello sfollamento sono affrontate, le migrazioni diventano volontarie e sostenibili.

Monsignor Camilleri ha sottolineato che la comunità internazionale si è dotata dal Global Compact su una migrazione Sicura, Ordinata e Regolare e dell’Agenda 2020 per lo sviluppo sostenibile, impegnandosi dunque ad affrontare un fenomeno. Un fenomeno, ha detto, che viene alimentato da “emergenze umanitarie, insicurezza al confine e traffico di esseri umani”, motivo per cui c’è bisogno di “fare passi concreti per promuovere lo sviluppo umano integrale e porre fine alla povertà, assicurando benessere sanitario, materiale e spirituale, fornendo educazione di qualità, combattendo l’ineguaglianza e la violenza e assicurando lavoro, combattendo il cambio climatico e costruendo società più pacifiche, inclusive, responsabili”.

La Santa Sede chiede di rispettare la dignità umana e i diritti di ogni migrante, senza considerare il suo status, e questo davvero richiede impegno, risorse e coordinamento, per “accogliere, promuover, proteggere e integrare”, che sono poi le quattro parole che Papa Francesco ha proposto come linee guida degli accordi globali.

Monsignor Camilleri all’ONU di New York: cessare l’uso delle armi in Africa

Monsignor Camilleri ha parlato il 27 febbraio anche al dibattito del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su “Cooperazione tra le organizzazioni regionali e sub- regionali delle Nazioni Unite per far silenziare le armi in Africa a partire dal 2020”.

Nel suo intervento, monsignor Camilleri ha notato i segni di pace che si sono visti in Africa, per esempio nello storico accordo tra Etiopia ed Eritrea che ha fatto terminare il loro conflitto e ha portato a stabilire relazioni diplomatiche, e nell’accordo tra i leader in Sud Sudan per restaurare la coesistenza pacifica.

Monsignor Camilleri ha notato che comunque il continente continua ad essere colpito da violenza fondamentalista in molte aree, e per questo è necessario esaminare le cause all’origine di questo ricorso a strumenti di morte, e tra queste anche le disparità sociali ed economiche, l’instabilità politica e la corruzione, lo sfruttamento di risorse naturali e la violazione della dignità umana. Per questo motivo, la comunità internazionale deve mantenere questo impegno per l’aiuto allo sviluppo, l’assistenza umanitaria nelle emergenze, e uno stabile supporto tecnico e finanziario che non sia legato alla colonizzazione ideologica, assicurandosi che i bambini africani diventino produttivi con penne e libri di scuola più che con armi e munizioni.

Monsignor Camilleri all’ONU di New York: il dibattito sulle migrazioni

Il 28 febbraio, Monsignor Camilleri è intervenuto di nuovo al dibattito di Alto Livello sulle Migrazioni Internazionali, questa volta in un panel dedicato alla comprensione della migrazione giovanile e all’ingaggiare giovani come partner chiave nella governance migratoria.

In particolare, monsignor Camilleri ha detto che l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, così come l’accordo globale sulle migrazioni “impegnano la comunità internazionale a fornire ai giovani educazione di qualità, lavoro decente, cura sanitaria e diritti fondamentali che gli Stati sono obbligati a proteggere e rispettare”.

Si tratta di un impegno – ha aggiunto il viceministro degli Esteri vaticano – che è “particolarmente impellente per quanto riguarda i giovani migranti, che sono spesso i primi ad essere lasciati indietro”, mentre loro si muovono “per avere maggiore sicurezza, più educazione, o per riunificare la famiglia e avere migliori opportunità”, anche se la maggioranza lo fa involontariamente, a causa di conflitti e povertà estrema.

In più, le ragazze hanno un rischio aggiuntivo di subire violenza e abusi durante il viaggio e sono vulnerabili ai trafficanti. Una vulnerabilità che può essere “significativamente ridotta da piani nazionali di azione che sono necessari nelle nazioni di origine per assicurare il godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali e stabilendo percorsi regolari di migrazione”.

La Santa Sede spera inoltre che la creazione della Forum di Revisione della Migrazione Internazionale possa migliorare il modo in cui le migrazioni sono gestite.

Papa Francesco, i frutti dell’appello sullo Yemen

All’Angelus dello scorso 3 febbraio, Papa Francesco aveva fatto un accorato appello per lo Yemen, sottolineando che “la popolazione è stremata dal lungo conflitto e moltissimi bambini soffrono la fame, ma non si riesce ad accedere ai depositi di alimenti”.

L’appello di Papa Francesco non è rimasto senza conseguenze. Il 22 febbraio, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha emanato una risoluzione che chiedeva urgentemente la possibilità di accedere gli aiuti umanitari, e incoraggiava degli accordi tra le parti, lodando quelli che erano già in atto.

Era un primo passo verso un accordo di pace. Il 24 febbraio, le forze Houthi, vicine all’Iran, hanno acconsentito a liberare due porti Yemeniti, mentre si ritireranno dal porto principale di Hodeidah solo quando si ritireranno anche le forze sostenute dalla coalizione.

Un ritiro ordinato di truppe da Hodeidah, che ora è un centro di una guerra che dura da almeno quattro anni, è cruciale per gli sforzi delle Nazioni Unite di evitare un assalto a tutto campo sul porto e spianare la strada per negoziati politici.

Il conflitto nello Yemen ha ucciso decine di migliaia di persone, e la popolazione yemenita vive quasi in carestia.

Le Nazioni Unite hanno cercato di raggiungere un accordo per una tregua agli accordi di pace di dicembre tra gli Hothis e il governo, ma questo processo era entrato in fase di stallo proprio sulla questione del controllo di Hodeidah.

Viveva nello Yemen anche padre Tom Uzhunnalil, il salesiano rapito dopo che un gruppo di miliziani ha fatto irruzione nel suo convento, uccidendo anche quattro Missionarie della Carità che erano con lui.

La situazione in Ucraina: il punto di vista di Beatitudine Shevchuk

Dal conflitto dimenticato in Ucraina al dialogo ecumenico, con il tema dell’autocefalia ucraina: l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ha avuto il 26 febbraio un incontro con un gruppo di ambasciatori, intellettuali e (pochi) giornalisti per parlare della situazione in Ucraina. Era presente, in particolare, l’ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede Tetiana Izhevska.

In una ampia disamina, ha toccato vari temi di interesse, sottolineando prima di tutto che “l’Ucraina non è un problema, ma una soluzione”, e ricordando che “San Giovanni Paolo II ha detto che l’Ucraina è un laboratorio ecumenico”.

L’arcivescovo maggiore ha parlato di tre ferite che colpiscono l’Ucraina il comunismo, la corruzione e il conflitto. Ha notato che c’è “uno Stato vicino che si considera l’unico difensore della società”, e ha sottolineato che la Chiesa cattolica in Ucraina è “un vero ospedale da campo”.

Per quanto riguarda il dialogo ecumenico, l’arcivescovo maggiore ha sottolineato la presenza del Consiglio delle Chiese in Ucraina, una onlus composta da tutte le confessioni religiose sul territorio, che fa sì che ci sia una vera collaborazione sul campo tra le varie confessioni religiose, e che recentemente ha fatto un viaggio in Terrasanta.

Allo stesso tempo, non ha potuto mancare di affrontare il tema dell’autocefalia della Chiesa Ortodossa Ucraina, ovvero la creazione di una Chiesa Ortodossa indipendente e riconosciuta nella comunione delle Chiese ortodosse. La creazione di una autocefalia ha creato una forte tensione con il Patriarcato di Mosca, che è entrato in polemica con il Patriarcato di Costantinopoli, che ha concesso l’autocefalia. Da quando è stato concesso il tomos, 300 parrocchie sono passate all’autocefalia ucraina dal Patriarcato di Mosca.

Per quanto riguarda la Chiesa Greco Cattolica Ucraina – ha detto l’arcivescovo maggiore – “noi cerchiamo di essere amici di tutti, ma non tutti vogliono essere nostri amici”. Ha detto poi di aver parlato con il Cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, proprio sulla questione dell’autocefalia, sottolineando come la Chiesa Cattolica non può essere tra i primi a riconoscere la Chiesa ortodossa ucraina.

Parlando del conflitto dimenticato in Ucraina, il capo della Chiesa Greco Cattolica Ucraina ha sottolineato le “menzogne” che dicono che in Ucraina ha luogo una guerra fratricida, perché non si tratta di una guerra tra russi e ucraini, ma di una guerra europea che avrà ripercussioni globali. Se fosse solo una guerra fratricida, ha detto, perché “la Russia possiede più carri armati di tutta l’Unione Europea?”

L’arcivescovo maggiore Shevchuk ha quindi chiesto “solidarietà” e lodato l’iniziativa “Il Papa per l’Ucraina” che ha posto visibilmente la questione.

La cosiddetta “Rivoluzione della Dignità” compie cinque anni, e l’arcivescovo Shevchuk ha detto che l’Ucraina ha il compito di trovare una terza via nei rapporti Stato-Chiesa, oltre il modello russo, secondo cui lo Stato è l’ultimo garante dei valori cristiani, e oltre il modello liberale dell’Europa Secolare”.

Il modello è quello di Santa Sofia a Kiev, cui ha dedicato l’ultima lettera pastorale. Un modello di Chiesa mai assoggettata al potere. E lì, nella cattedrale di Santa Sofia ormai trasformata in museo, la Chiesa Greco Cattolico Ucraina celebrerà il prossimo 7 aprile la festa dell’Annunciazione.

In un articolo diffuso alla stampa internazionale, Pavlo Klimkin, ministro degli Esteri di Ucraina, ha tratteggiato l’autocefalia come un “evento storico”. Dal suo punto di vista di cristiano convinto, Klimkin ha detto che “il cristianesimo ha portato al suo popolo la salvezza”, ha tracciato una storia della fede cristiana e del suo impatto sulla società e ha notato che, come l’Ucraina ha ricevuto molto dal cristianesimo dopo il Battesimo della Rus’, così l’Ucraina ha dato tanto al cristianesimo, tanto che dopo il Battesimo il cristianesimo cominciò a diffondersi tra i popoli slavi, e tra l’altro fu l’Ucraina a fermare l’invasione dei tartari.

Il ministro Klimkin ha poi sottolineato l’importanza della nascita della Chiesa Greco-Cattolica con l’Unione di Brest, una “caratteristica eccezionale della nostra cooperazione con i bielorussi”, che è “diventata l'unico tentativo riuscito di superare la spaccatura e ottenere la riconciliazione tra le due confessioni. Anche se questo è un successo solo locale, ma per noi è importante che sia avvenuto sulla nostra terra. Oggi, la Chiesa greco-cattolica ucraina svolge un ruolo di primo piano nel risveglio spirituale e nazionale dell'Ucraina e nel suo ritorno nel grembo della civiltà europea”.

Il ministro degli Esteri ucraino, dopo aver sottolineato il risveglio religioso dell’Ucraina, ha parlato della situazione “post-traumatica” della fede dopo la dominazione sovietica, e ha rimarcato la differenza della Russia sul piano religioso.

“Se l'Europa è una combinazione di amore cristiano e democrazia – ha scritto - nella Russia ortodossa l'amore è dichiarato, ma non ci sono mai stati i valori come la libertà, la democrazia, la franchezza e la tolleranza. Perciò la Russia non è l’Europa nonostante tutte le somiglianze”.

Il ministro ha notato “il desiderio della Russia di mantenere a tutti i costi il controllo sull’Ucraina”, che si ritrova anche nell’opposizione alla Chiesa Ortodossa Ucraina. Klimkin ha però chiesto di andare oltre questa situazione.

“È ora – ha scritto - di capire che queste non sono le cose astratte, ma potenti fattori spirituali che determinano il successo dell'Europa e di tutta la civiltà occidentale per più di mille anni. Oggi c'è un'operazione speciale su larga scala per il loro indebolimento e corrosione. Il nostro dovere comune è di proteggerli”.

Nicaragua, di nuovo un tavolo di riconciliazione

Lo scorso 26 febbraio, Papa Francesco ha incontrato in udienza il Cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, che lo ha informato dello sviluppo della situazione in Nicaragua. Parlando con Vatican News, il Cardinale Brenes ha detto che il Papa ha chiesto ai vescovi Nicaraguensi di essere “pastori che costruiscono ponti”, e incoraggiato nel lavoro di riconciliazione. La Chiesa in Nicaragua ha partecipato come mediatore al tavolo del dialogo nazionale, e poi ha subito gli attacchi del governo. Ciononostante, ha sottolineato che la Chiesa è pronta a partecipare di nuovo ai colloqui di pace.

La situazione in Nicaragua è critica da aprile, quando una riforma delle pensioni causò proteste popolari represse con la forza.

Negli scorsi giorni ci sono stati incontri tra il governo di Ortega e imprese private, e gli uomini di affari hanno proposto al governo un percorso di incontri su questioni cruciali, come la liberazione dei prigionieri politici e la libertà di stampa.

Il 28 febbraio, in Nicaragua, sono iniziati nuovi colloqui, cui hanno partecipato i delegati del governo e di Alleanza Civica, ma anche l’arcivescovo Waldemar Stanislaw Sommertag, nunzio apostolico, che ha letto un saluto e una preghiera del Papa “affinché le questioni aperte possano essere risolte con bene di responsabilità per il bene di tutti”. Il Papa ha chiesto “un dialogo umile” e si è appellato “alla responsabilità dei diversi settori della società per rifiutare ogni forma di violenza che contribuisce a moltiplicare solo la divisione e la sofferenza”.

Dal canto suo, il nunzio ha detto di sperare che il dialogo sia occasione “di pace e di riconciliazione”, e ha letto una roadmap per la riconciliazione in 12 punti: nove sono stati approvati.

La Santa Sede all’ONU di Ginevra: il dibattito debito pubblico

Il 28 febbraio, si è tenuta a Ginevra la 40esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani, e la Santa Sede è intervenuta sul dialogo con l’Esperto indipendente del debito estero.

L’arcivescovo Ivan Jurkovic, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra, ha sottolineato che “i criteri delineati per valutare il debito estero e le politiche economiche” possono essere una importante “guida per gli Stati ed altri stakeholders per assicurare rispetto e soddisfacimento degli obblighi dei diritti umani”.

A tale proposito, la Santa Sede ha notato che le politiche degli Stati dovrebbero sempre puntare “di essere a servizio della piena realizzazione dei diritti umani e dello sviluppo inclusivo”; ha messo in luce che le politiche “fiscali e monetarie rappresentano potenti mezzi per redistribuire la ricchezza e finanziare lo sviluppo” e chiesto di combattere l’evasione; e sottolineato che “le politiche del debito dovrebbero essere consistenti con l’obiettivo di non lasciare nessuno indietro”, perché “l’obiettivo ultimo è quello di ottenere una globalizzazione senza marginalizzazione”.

La Santa Sede ha anche affermato di “supportare fortemente iniziative internazionali e sforzi” per la riduzione del debito pubblico”, e notato che “il criterio dei diritti umani è cruciale nel valutare le relazioni del debito estero”, e per questo è importante che “sia i creditori che quanti prestano denaro assumano la loro responsabilità pe assicurare che i diritti umani siano rispettati”.

Ma c’è un altro tema che la Santa Sede mette in luce: il fatto che nel documento sia incuso un riferimento ai cosiddetti diritti LGBTII. Come già fatto in altri documenti internazionali, inclusi gli accordi globali sulle migrazioni, la Santa Sede ha detto che è importante piuttosto mantenere “un approccio olistico e integrato, evitando ogni considerazione ideologica, come quelle che riguardano età, gender e differenza”, perché “è di centrale importanza per le politiche economiche e finanziarie che siano fermamente centrate sulla persona umana”.

Santa Sede alle Nazioni Unite di New York: la libertà religiosa internazionale

L’1 marzo, c’è stato alle Nazioni Unite di New York un intervento su “Libertà religiosa internazionale: una nuova era per l’advocacy in risposta ad una nuova ra di sfide e minacce”. L’evento è stato sponsorizzato dalla Missione Permanente della Santa Sede con il Comitato delle Organizzazioni non Governative sulla Libertà Religiosa e di Credo.

L’intervento dell’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore permanente della Santa Sede a New York, è stato letto dal suo vice, monsignor Tomasz Grysa.

La Santa Sede ha notato che ci sono molti quadri internazionali in cui si stabilisce il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, come la Dichiarazione dei Diritti Umani e l’Accordo Internazionale sui Diritti Civili e Politici, ma che, nonostante la protezione del diritto alla libertà religiosa nella legge internazionale, continuano ad esserci atti di intolleranza, discriminazione, persecuzione e persino genocidio contro i credenti a causa delle cose in cui credono.

Lo dimostrano – nota la Santa Sede – vari rapporti sulla libertà religiosa (su ACI Stampa abbiamo riportato di quelli di Aiuto alla Chiesa che Soffre e quello di Open Doors, ndr) che mostrano “una crescita nelle violazioni alla libertà religiosa sia da attori statali che non statali”. Non solo: “violazioni contro la libertà religiosa stanno avendo luogo anche in nazioni dove un ambiente generalmente secolare tratta il credo religioso come non valevole di dialogo pubblico”, mentre in pubblico si dà mandato di “indottrinare bambini che effettivamente costituiscono una religione secolare, contrariamente al loro credo religioso”.

La Santa Sede ha messo in luce come l’incontro del 4 febbraio tra Papa Francesco e il Grande Imam Ahmed al Tayyb ha portato alla Dichiarazione Congiunta della Fraternità Umana per la Pace nel mondo in cui si riafferma il valore della libertà religiosa.

Repubblica Ceca, il dibattito sulla restituzione delle proprietà della Chiesa

Non cessa, in Repubblica Ceca, il dibattito sulla restituzione delle proprietà delle Chiese. Il 27 febbraio, il Senato di Praga ha rifiutato la proposta di tassare la compensazione che lo Stato deve distribuire alla Chiesa come risarcimento per le proprietà sequestrate sotto il periodo sovietico. In questo modo, si è bloccata la proposta avanzata dal partito comunista, approvata invece alla Camera. Ancora, la Camera può ripresentare la proposta.

Le Chiese nazionali hanno visto la restituzione di alcune proprietà, nonché un risarcimento di 3 miliardi di euro, che il governo pagherà in 30 anni. Ma questa decisione è stata fortemente avversata dai comunisti, e il voto alla Camera di gennaio ha mostrato che la loro influenza è in crescita. Il partito comunista non è parte della coalizione di governo di centro sinistra guidata dal Primo Ministro Andej Babis, ma il suo voto è stato necessario al governo in una votazione di fiducia. Le Chiese si oppongono alla tassazione, e probabilmente ricorreranno in appello.

L’incontro del Cardinale Filoni con il presidente di Taiwan

Inviato speciale di Papa Francesco per il Congresso Eucaristico che si tiene a Taiwan, il Cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, ha incontrato il 28 febbraio il presidente Tsai ing-wen. Secondo un comunicato del ministero degli Affari Esteri di Taiwan, il presidente ha sottolineato nel corso dell’incontro che i cattolici sono stati una forza maggiore per il bene a Taiwan, e che “Vaticano e Taiwan hanno avuto diversi incontri religiosi”, auspicando che la visita del Cardinale Filoni “aiuterà a promuovere ulteriormente lo scambio pacifico e gli scambi”.

Il Cardinale Filoni si è anche incontrato con il vicepresidente Chen Chien-jen.

La visita del Cardinale Filoni ha rappresentato un ulteriore segno di attenzione della Santa Sede verso Taiwan, sempre preoccupato che l’accordo provvisorio per la nomina dei vescovi stilato con la Cina il 22 settembre scorso possa portare gradualmente ad una rottura delle relazioni diplomatiche della Santa Sede con Taipei. La Santa Sede ha più volte fatto avere rassicurazioni, anche indirette, che questo non avverrà.

Per quanto riguarda il dialogo con la Cina, si è speculato su un possibileincontro tra Papa Francesco e Xi Jinping in occasione della visita di quest’ultimo in Italia a marzo, la Santa Sede ha dato a Taiwan vari segnali che non vuole rompere le relazioni diplomatiche, anche dividendo nunziature tradizionalmente unite per separare Stati che riconoscono Taipei dagli Stati che hanno smesso di riconoscerlo.

Cardinale Parolin: come e perché vengono firmati gli accordi della Santa Sede

Per quanto riguarda il dialogo con la Cina, il Cardinale Pietro Parolin ha parlato dell’accordo durante un suo intervento al convegno “Gli accordi della Santa Sede con gli Stati”, organizzato dall’Università Gregoriana e dall’Ecole Français a Roma.

Il Cardinale ha detto che si tratta ora di “dare piena attuazione all’accordo con la Cina”, sottolineando che però questo è arrivato al termine di un lungo lavoro. Dopo l’accordo, non ci sono più vescovi illeciti in Cina. C’è da dire che ancora non sono stati nominati nuovi vescovi, e che dunque non si sa come l’accordo effettivamente funzionerà.

L’accordo è stato definito “sui generis” dal Cardinale, perché attuato tra due Stati che non hanno reciproco riconoscimento. Allo stesso tempo, il Cardinale ha parlato dell’accordo con il governo del Vietnam, un “gentlemen’s agreement” basato sulla parola che riguarda appunto la nomina dei vescovi.

In generale, il Cardinale Parolin ha sottolineato che i concordati servono per difendere la libertà religiosa e la libertà della Chiesa, e in particolare il tema della libertà religiosa viene messo in luce nei contesti in cui i cattolici sono una minoranza o nei Paesi a tradizione non cristiana. In particolare, ha messo in luce i casi degli accordi con Tunisia (1964), Marocco (1983 – 1984), Israele (1993), Kazakhstan (1998), OLP (2000), Azerbaijan (2011), Ciad (2013), Palestina (2015).

Il segretario di Stato vaticano ha anche notato che non ci sono accordi con i Paesi anglosassoni, per una questione culturale più che di sentimento anticattolico degli stessi Paesi, mentre che non si è mai riusciti a raggiungere accordi con Paesi a maggioranza ortodossi.

Spiegando il modo in cui funzionano gli accordi, il Cardinale ha detto che “una volta accertata disponibilità di massima di autorità governative ad entrare in trattativa, la Santa Sede autorizza delegazione ecclesiastica presieduta da rappresentante pontificio e poi vescovi e canonisti. Questa individua i temi, e quindi la Segreteria di Stato esamina le bozze dell’accordo fino alla parafratura, la firma e la ratifica. Punto di partenza sono le questioni giuridiche, perché lì si affermano i contenuti della libertas ecclesiae, la pratica del culto e l’esercizio della potestà.

Anche la Conferenze Episcopali possono stilare accordi, con l’autorizzazione della Santa Sede, ma questi si configurano come accordi di tipo privato, e non tra soggetti internazionali.

Parafrasando il Cardinale Agostino Casaroli, storico segretario di Stato vaticano, il Cardinale Parolin ha detto che gli accordi vaticani “più che un modus vivendi sono un modus non moriendi”.