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Diplomazia pontificia, la missione per la pace in Ucraina

Passa anche per l’incontro con il presidente Volodomyr Zelensky la missione della Santa Sede in Ucraina. Ecco come procedono gli accordi

Palazzo Apostolico Vaticano | La bandiera ucraina sul Palazzo Apostolico Vaticano | AG / ACI Group Palazzo Apostolico Vaticano | La bandiera ucraina sul Palazzo Apostolico Vaticano | AG / ACI Group

La visita che il presidente ucraino Volodomyr Zelensky fa a Papa Francesco nel pomeriggio del 13 maggio non può essere priva di significato. Zelensky ha preso una finestra libera dal suo viaggio a Berlino per essere a Roma per una serie di incontri istituzionali, e ha colto l’occasione per un incontro con il Santo Padre, il primo da quando c’è la guerra in Ucraina.

Zelensky era stato in Vaticano dal Papa nel 2020, poco dopo la sua elezione, e aveva invitato il Papa a visitare Kyiv. Nel 2021, in Ucraina era andato il Cardinale Pietro Parolin, per la festa dei 30 anni dello Stato, mentre mai in quegli anni la Santa Sede aveva cessato di guardare con attenzione alla situazione in Ucraina.

Certamente, però, questa visita ha un senso particolare. Papa Francesco e Zelensky, finora, hanno avuto solo colloqui telefonici, un paio subito dopo la visita, del tutto fuori protocollo, che Papa Francesco aveva fatto all’Ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede il 25 febbraio 2022, per chiedere che Putin fermasse l’attacco.

Ma la posizione di equidistanza del Papa e della diplomazia pontificia è stata spesso un ostacolo nelle relazioni, perché da parte ucraina non possono essere accettati punti di vista che annacquino la verità che la guerra nasce da una aggressione della Russia all’Ucraina.

La forzatura della preghiera comune di una donna russa e ucraina nella Via Crucis del 2022, la ripetizione del gesto, in modo differente e senza comunicazione, nella Via Crucis del 2023, l’intenzione del Papa di non andare a Kyiv se non si andrà prima a Mosca, hanno creato un divario. Lo stesso ministro degli Esteri Dymitro Kuleba, pur apprezzando il ruolo della Santa Sede nel processo di pace, aveva detto al gruppo ACI che non ci poteva essere dialogo se prima non si sarebbero riaffermate le verità sulla guerra.

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Dopo la visita del Primo Ministro Denys Shmyhal lo scorso 27 aprile, dunque, Zelensky arriva dal Papa, in una ora insolitamente pomeridiana che generalmente era quella che chiedeva il presidente russo Vladimir Putin, che ha incontrato più volte il Papa al termine della giornata e non durante la mattinata come fanno i capi di Stato. Tra l’altro, arriva il giorno dopo il congedo dell’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Avdeev, che il Papa stimava particolarmente, di fatto andando a creare un ponte diverso.

È, insomma, una finestra di opportunità, quella data dalla visita di oggi. Probabile che questo non porti ad una richiesta di mediazione della Santa Sede (mentre la Cina è già in viaggio diplomatico per lo stesso scopo), ma che comunque permetterà di rilanciare il dialogo e (forse) la missione di cui parla il Papa, che ancora resta riservata, ma che avrebbe ricevuto già delle risposte positive.    

FOCUS UCRAINA

Il Cardinale Parolin parla di novità riservate sulla missione di pace in Ucraina

Non è un negoziato o una mediazione, ma una “missione di pace”, più probabilmente una missione umanitaria, quello che la Santa Sede sta operando in Ucraina. Ne ha parlato Papa Francesco tornando dal viaggio in Ungheria, trovando le smentite di Ucraina e Russia e la pronta risposta del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, che ha sottolineato come in realtà le parti in causa fossero state informate.

Il 10 maggio, parlando a margine dell’inaugurazione di una mostra alla Pontificia Università Lateranense su don Lorenzo Milani, il Cardinale Parolin è tornato sull’argomento, sottolineando che ci sono novità, “ma naturalmente a livello riservato. La cosa credo comunque che sia stata spiegata e credo che si andrà avanti”.

More in Mondo

L’ambasciatore Yurash fa un bilancio della sua missione

In una intervista con Vida Nueva la scorsa settimana, l’ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede Andryi Yurash ha fatto un bilancio della sua missione, cominciata poco dopo l’aggressione della Russia alla sua nazione.

L’ambasciatore ha parlato dello spirito di resistenza dell’Ucraina, ha sottolineato quanto il gesto di porre le bandiere ucraine davanti molte ambasciate presso la Santa Sede è stata “una espressione reale di appoggio e solidarietà”.

L’ambasciatore ha anche parlato della questione dei bambini deportati in Russia, cui ha recentemente fatto riferimento anche Shmyhal in visita da Papa Francesco. Ha detto che quella è “una delle più grandi preoccupazioni del nostro governo”, perché ci sono “più di 700 mila bambini ucraini deportati nel territorio russo in modi differenti”, alcuni “con le loro famiglie, altri direttamente rapiti”, e ora “si trovano in campi di rieducazione speciale”.

L’Ucraina, ha detto l’ambasciatore, vorrebbe “recuperare tutti questi bambini, e lo stiamo chiedendo a tutte le istituzioni internazionali, a tutti i nostri soci e a tutti i Paesi con i quali siamo in contatto”, e in particolare alla Santa Sede che “partecipa il più attivamente possibile in ogni scabio di prigionieri”.

Anzi, l’ambasciatore ha aggiunto di sapere che “tutte le richieste ucraine sono passate alla parte russa attraverso la Santa Sede, e speriamo che la Russia sia capace di ascoltore la richiesta di una delle istituzioni internazionali con maggiore autorità perché diversi milioni di ucraini che furono presi con la forza possano tornare a casa”.

                                               FOCUS AMBASCIATORI

L’ambasciatore russo presso la Santa Sede si congeda

Dopo dieci anni, Alexander Avdeev, ambasciatore della Federazione Russa presso la Santa Sede, si è congedato dal suo incarico. Avdeev era molto stimato da Papa Francesco, che ne ha lamentato la partenza nella conferenza stampa di ritorno dall’Ungheria. All’inizio dell’aggressione russa in Ucraina, rompendo ogni protocollo, Papa Francesco gli fece visita all’ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede, cercando quella che chiamò “una finestrina” nel dialogo con il presidente Vladimir Putin, che finora ha sempre rifiutato un contatto.

Nato nel 1946, sposato e con un figlio, diplomatico di carriera dal 1968, prima di arrivare a rappresentare la Federazione Russa presso la Santa Sede Avdeev era stato: funzionario del Consolato Generale dell’URSS ad Annaba, Algeria (1968-1973); Ministro di Ambasciata dell’URSS in Francia (1977-1985); Ambasciatore dell’URSS in Lussemburgo (1987-1990); Ambasciatore della Federazione Russa in Bulgaria (1992-1996); Ambasciatore della Federazione Russa in Francia (2002-2008); Ministro della Cultura della Federazione Russa (2008-2013).

Un uomo di apparato, insomma. Il suo successore non dovrebbe invece essere Vladimorovic Paramonov, come circolato negli scorsi giorni, il quale sarebbe assegnato all’ambasciata di Mosca presso l’Italia.

Presentate le credenziali del nuovo ambasciatore di Colombia presso la Santa Sede

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L’8 maggio, Alberto Ospina Carreño ha presentato a Papa Francesco le sue credenziali come ambasciatore di Colombia presso la Santa Sede. Classe 1946, laureato in ingegneria industriale, non viene dal mondo diplomatico, ma ha una vasta carriera da imprenditore, ed è oggi membro del Consiglio d’Amministrazione de Grupo Alfa S.A, nonché dell’Università de La Sabana, della Inalda Business School e della Zona Franca la Cayena S.A.

Parlando con ACI Prensa, l’ambasciatore ha spiegato che l’incontro con il Papa è durato 15 minuti, e che poi ha avuto, come di consueto, un incontro con il Cardinale Pietro Parolin in Segreteria di Stato, incontri entrambi da lui definiti “fondamentali per la pace”.

In questi giorni, si tiene all’Avana il terzo ciclo di dialoghi di pace tra il Governo di Colombia e l’Esercito di Liberazione Nazionale, e l’ambasciatore sottolinea che il Papa “è molto impegnato affinché si firmino tutti gli accordi di pace in Colombia”, costruendo una base per “firmare un accordo totale”. I dialoghi di pace erano cominciati a Caracas nel novembre 2022, e poi in un secondo ciclo tra febbraio e marzo 2023 a Città del Messico, che aveva portato il governo a riconoscere lo Stato politico di ELN come “organizzazione armata ribelle”.

L’udienza è stata caratterizzata da un dialogo “cordiale e amichevole”.

Papa Francesco riceve le credenziali di un gruppo di ambasciatori

Il 13 maggio, Papa Francesco ha ricevuto le credenziali di un gruppo di ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ma non residenti a Roma. Sono gli ambasciatori di Islanda, Bangladesh, Siria, Gambia e Kazakhstan. Per l’occasione, Papa Francesco ha tenuto come di consueto un discorso in cui ha rimarcato il ruolo dell’ambasciatore come testimone di speranza e costruttore di ponti, di fronte ad una attuale geopolitica della sofferenza, un mondo che soffre di squilibri e quella che il Papa chiama terza guerra mondiale a pezzi.

Ma chi sono i nuovi ambasciatori?

Einar Gunnarson è il nuovo ambasciatore di Islanda preso la Santa Sede. Classe 1966, diplomatico di carriera con un background da avvocato, dopo vari incarichi nel ministero degli Esteri di Reykjavik ha ricoperto dal 2015 al 2018 l’incarico di Rappresentante Permanente presso le Nazioni Unite, e poi dal 2019 al 2021 di ambasciatore per gli affari artifici. Dal 2022, è ambasciatore e rappresentante permanente presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra e presso la Svizzera, posizione cui aggiunge quella di ambasciatore non residente presso la Santa Sede.

Il nuovo ambasciatore del Bangladesh presso la Santa Sede è Mohammad Sufiur Rahman. La sua formazione è soprattutto nel mondo del business, perfezionata anche a Washington, ma dal 1995 ricopre incarichi diplomatici con competenze economiche, tanto che dal 2010 al 2012 è stato il direttore generale per gli Affari Economici presso il Ministero degli Affari Esteri.

Dal 2012 al 2014 è stato Alto Commissario nello Sri Lanka, mentre il suo primo incarico di ambasciatore è stato in Myanmar dal 2014 al 2017.

Dal 2017 al 2022 ha ricoperto l’incarico di Alto Commissario in Australia, Nuova Zelanda e Fiji.

Louay Fallouh è invece il rappresentante della Siria presso la Santa Sede. Ha studi giuridici, perfezionati in Francia, ed ha insegnato diritto all’Università di Damasco dal 1996 al 2000 prima di entrare nel Ministero degli Esteri, dove ha fatto tutta la scalata nelle rappresentanze diplomatiche, da terzo a primo segretario. Dal 2013 al 2015 è stato vice-Direttore, Dipartimento delle Organizzazioni Internazionali e dei Congressi presso il Ministero degli Affari Esteri e degli Espatriati, dal 2015 al 2020 Ministro-Consigliere e in seguito Vice Rappresentante Permanente, Delegazione presso le Nazioni Unite, e dal 2020 al 2022 direttore del Dipartimento dell’Europa presso il Ministero. Da gennaio 2023 è rappresentante permanente di Siria presso l’UNESCO, e ora aggiunge a questo l’incarico di ambasciatore presso la Santa Sede.

Unica donna del gruppo di ambasciatori è Fatou Bom Bensouda, che rappresenta il Gambia. Anche lei con studi giuridici alle spalle, con esperienze nelle corti del Gambia fino a diventare vicedirettore delle Public Prosecutions dal 1993 al 1997, Procuratore Generale e Segretario Generale della Repubblica di Gambia dal 1997 – 1998 e Procuratore Generale e Segretario di Stato per la Giustizia, Gambia dal 1998 – 2000.

Dal 2000 al 2012 è stata in professione privata, e dal 2012 al 2021 è stata nominato Procuratore Capo della Corte Penale Internazionale. Dal 2022 al 2023 è stata Alto Commissario del Gambia nel Regno Unito.

Ultimo della lista, Kairat Sarzhanov, Ambasciatore di Kazakhstan presso la Santa Sede. Diplomatico di carriera, formatosi all’Accademia Diplomatica della Federazione Russa, con una carriera tutta spesa nel ministero degli Esteri di Astana, ha esperienze nelle missioni di Giappone, e Repubblica Ceca, e dal 2016 al 2021 è stato nominato ambasciatore del Kazakhstan in Brasile, con accreditamento in Argentina e Cile dal 2017 al 2021. Dopo un anno come direttore del Dipartimento della Sicurezza Internazionale del Ministero degli Affari Esteri, è dal 2022 ambasciatore di Astana in Svizzera.

L’ambasciatore del Regno Unito presso la Santa Sede sull’Incoronazione di Re Carlo III

C’era anche il Cardinale Pietro Parolin come rappresentante di Papa Francesco all’incoronazione di Re Carlo III lo scorso 6 maggio a Londra. Parolin partecipava insieme al rappresentante della Santa Sede, l’arcivescovo Maury Buendia, nunzio apostolico nel Paese. La nomina del nunzio è arrivata più velocemente dei tempi, proprio per permettere alla Santa Sede di avere un rappresentante alla celebrazione.

In una intervista concessa a Vatican News, Christopher Trott, ambasciatore del Regno Unito presso la Santa Sede, ha raccontato anche alcuni dettagli dell’incoronazione. Per esempio, che era la prima volta dal 1553 che un rappresentante papale fosse stato presente all’incoronazione dall’interno dell’Abbazia di Westminster, mentre per l’incoronazione di Elisabetta II, il 2 giugno 2023, il rappresentante di Pio XII dovette assistere alla cerimonia da uno stand costruito per l’occasione fuori dalla Cattedrale cattolica di Westminster, a 400 metri circa dall’Abbazia.

Il fatto che il rappresentante papale potesse essere presente all’interno dell’abbazia è “un risultato del Concilio Vaticano II”, perché prima la Chiesa era incline a non lasciar partecipare i suoi membri ad una cerimonia gestita da un’altra confessione. E per questo la delegazione inviata nel 1953, guidata dal nunzio in Belgio.

L’ambasciatore Trott ha anche detto che per Elisabetta II la fede era importante, e questo dovrebbe continuare per Carlo III, che “ha, come è noto, una forte fede personale”.

L’ambasciatore ha anche sottolineato di essere assolutamente confidente di poter sviluppare le relazioni tra Santa Sede e Regno Unito, anche perché Carlo ha già incontrato tre Papi nella sua vita: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI quando andò in vista nel Regno Unito nel 2010 e Papa Francesco.  Dunque, l’ambasciatore “si aspetta che ci sarà una relazione continuata e caratterizzata da mutuo rispetto tra il Regno di Inghilterra e il Santo Padre”, e questo è dimostrato anche dal “gesto che ha davvero colpito di Papa Francesco di inviare in dono un pezzo della vera croce”, pezzo che è stato incorporato in una bellissima croce gallese che è stata usata per guidare la processione di incoronazione verso l’abbazia.

L’ambasciatore ha anche fatto sapere di confidare che “il nuovo regno supportare il lavoro che sto facendo qui come ambasciatore, e che Re Carlo voglia che questa relazione si continui a sviluppare come è successo a 60 anni dal Concilio Vaticano II e a 40 dal primo ambasciatore nominato presso la Santa Sede.

                                               FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a Ginevra, riunione sulla situazione umanitaria in Sudan

Non accenna a diminuire l’emergenza in Sudan. Come succede sempre in questi casi, il Consiglio per i Diritti Umani di Ginevra dedica una sessione speciale alla situazione nel paese in conflitto, e questa è avvenuta lo scorso 11 maggio.

La Santa Sede è intervenuta sottolineando di seguire “con profonda preoccupazione gli sviluppi della grave situazione di conflitto e violenza che si è delineata in Sudan”. La Santa Sede ha detto di assicurare la sua vicinanza spirituale, preghiere e solidarietà con il popolo sudanese “mentre cresce la sofferenza della popolazione insieme alle esigenze umanitaria”,

Le “gravi implicazioni umanitarie e a livello di diritti umani” del conflitto preoccupano particolarmente la Santa Sede, che chiede a tutte le parti in causa di “sospendere gli attacchi armati e assicurare accesso ai servizi base ed essenziali per la popolazione civile dovunque siano necessari, includendo anche il permettere la sicura distribuzione di assistenza umanitaria”

La Speranza della Santa Sede è che “la tregua sia estesa e sia pienamente rispettata”, mentre le negoziazioni “tra i rappresentanti di tutte le parti in conflitto portino ad un accordo fruttuoso per un cessate il fuoco e per soluzioni pacifiche e durevoli, nell’interesse della popolazione sudanese”.

Infine, la Santa Sede si dice “fiduciosa che il dialogo, in uno spirito di fraternità, porti ad una pace giusta e durevole”.

                                              FOCUS SEGRETERIA DI STATO

L’arcivescovo Gallagher a Caritas Internationalis

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha tenuto una lunga relazione all’assemblea generale dei Caritas Internationalis. La confederazione, che fa ombrello a più di 160 charities cattoliche in tutto il mondo, vive un momento tribolato della sua storia, e si trova ad eleggere nuovo presidente, segretario e tesoriere al termine di un commissariamento deciso in maniera improvvisa da Papa Francesco il 22 novembre 2022.

Nel suo discorso, l’arcivescovo Gallagher sottolinea la necessità della “catena di fratellanza” incarnata dalla Caritas, specialmente in un contesto geopolitico “così disastroso” che vive anche un ritorno del colonialismo e degli “appetiti imperiali”.

L’arcivescovo Gallagher ha dato con il discorso via ai lavori di una tavola rotonda su “Le sfide globali e il ruolo di Caritas”, alla quale sono intervenuti anche l’ambasciatore Gabriel Ferrero y de Loma-Osorio, presidente del Comitato per la Sicurezza alimentare mondiale, un rappresentante del Consiglio Mondiale delle Chiese e membri Caritas provenienti da Ghana, Myanmar e Irlanda.

Il “ministro degli Esteri” vaticano ha ricordato che, dall’ultima assemblea generale del 2019, Caritas Internationalis ha dovuto affrontare sfide e crisi “senza precedenti”, a partire dalla pandemia COVID 19, ma anche i nuovi conflitti, incluso quello in Ucraina, che è un pericolo crescente, ma anche i “teatri di violenza” che hanno luogo in Haiti, Sudan e Medio Oriente.

Insomma, ha detto l’arcivescovo Gallagher, questa emergenza umanitaria costante può persino “aver messo in dubbio la capacità della comunità internazionale e delle sue istituzioni di mantenere la pace e la fiducia tra le nazioni”.

L’arcivescovo si è molto concentrato sull’identità di Caritas Internationalis, espressione della carità di Cristo secondo Pio XII che la fondò nel 1951, cosa che la distingue “da altre benemerite organizzazioni non profit o altruistiche; deve coltivare la spiritualità del servizio per rendere presente nei cinque continenti e in ogni situazione di crisi, violenza o instabilità politica, il messaggio evangelico di Cristo Buon Samaritano”.

E, ha aggiunto, l’attività caritativa della Chiesa non risponde in primo luogo alle “esigenze sociali e organizzative”, che sono comunque molto lecite e giuste, “ma è innanzitutto al servizio della pace per costruire la famiglia umana di tutti i popoli”. Anzi, l’impegno per le persone di Caritas si “intreccia strettamente con il mistero della Chiesa”, la quale – dice la Costituzione conciliare Gaudium et Spes, “contribuisce ad assicurare la pace ovunque sulla terra e a porre su solide basi lo scambio fraterno tra gli uomini”.

Il Cardinale Parolin a Malta

L’11 maggio, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, è stato a Malta, dove ha aperto la “Conferenza European Cathedrals Malta 2023. The Equilibrium between Conservation and Spirituality”. Ma la visita ha anche rappresentato l’opportunità di un incontro bilaterale con il primo ministro Robert Abela e il presidente della Repubblica Vella.

Nel suo discorso di apertura, il Cardinale ha lanciato un appello a tutti i “decisori politici” perché conservino nel patrimonio culturale “la profondissima relazione tra arte e spiritualità” e in questo modo contrastino il “paradigma tecnocratico”.

In un discorso in cui ha citato Michelangelo e Kandisnky, il Cardinale ha ricordato che da sempre gli artisti parlano di arte in relazione alla sacralità”, e che “tutti i maggiori movimenti spirituali compreso quelli non credenti hanno esercitato una grande influenza nell’arte nei secoli”.

“Gli artisti – ha detto il Cardinale - hanno aiutato la Chiesa a tradurre il suo messaggio divino nel linguaggio delle forme e delle figure, rendendo palpabile il mondo invisibile”, e “il culto ha sempre trovato nell’arte un naturale alleato”, ragion per cui “non è esagerato affermare che una scienza della conservazione basata sui valori è per sua stessa natura una forma di spiritualità poiché mira a estendere nel tempo i valori attribuiti sia alla dimensione tangibile che a quella immateriale del nostro patrimonio culturale”.

Parolin ha rimarcato l’impegno della Chiesa nella conservazione dell’arte sacra, e ha citato

l’adesione della Santa Sede nel 1962 alla Convenzione Culturale Europea, la firma della Dichiarazione Europea sugli Obiettivi Culturali a Berlino nel 1984, la nascita della Pontificia Commissione per la Conservazione del Patrimonio Artistico e Storico della Chiesa nel 1993.

Il segretario di Stato vaticano ha ricordato anche le allocuzioni di Paolo VI agli artisti e alcune frasi di Giovanni Paolo II, nonché di Papa Francesco, che invita a ragionare in termini di incontro, e che ha portato il cardinale a sottolineare “L’incontro tra chi si occupa di conservazione e il patrimonio culturale non dovrebbe essere condizionato dal paradigma tecnocratico che promuove atteggiamenti, approcci e preoccupazioni sbagliati limitati alla sola conservazione del tessuto fisico di oggetti artistici. Restauratori e custodi d’arte si prendono cura sia della dimensione fisica ed esteriore del nostro patrimonio culturale sia della sua realtà immateriale e soprasensibile”.

Infine, il Cardinale ha citato l’impegno dell’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Unesco a promuovere la convinzione che “gli approcci alla conservazione non dovrebbero solo cercare di preservare il mondo dell’arte come portatore di bellezza, ma anche, e soprattutto, come sintesi di valori religiosi e spirituali che non possono prescindere dall’incontro con la comunità di appartenenza e con i suoi contesti storici, geografici e architettonici”.

                                                FOCUS NUNZIATURE

L’inizio della missione dell’arcivescovo Grysa all’Isola di Mauritius

Il 24 aprile, l’arcivescovo Tomasz Grysa ha consegnato copia delle lettere credenziali al segretario per gli affari esteri Joyker Nayeck, e quindi ha consegnato, in una cerimonia di accreditamento, le lettere credenziali al presidente di Mauritius Prithvirajsing Roopun.

Il nunzio era arrivato all’isola di Maurizio il 23 aprile, accolto dal Cardinale Maurice Piat, vescovo di Port Louis, e dal Primo Segretario del Protocollo del Ministero degli Affari Esteri, dell’Integrazione Regionale e del Commercio Internazionale Ramchurn.

Nel colloquio con il presidente, l’arcivescovo Grysa ha detto che la Santa Sede è disponibile a lavorare a favore del progresso della società e della Chiesa Cattolica locale, mentre il presidente ha ringraziato per il contributo della Chiesa nel campo dell’educazione. Altri temi dell’incontro sono stati la pacifica coesistenza delle varie religioni sul territorio, del cambiamento climatico e di altre difficoltà sociali.

Sempre il 24 aprile, l’arcivescovo Grysa ha incontrato il ministro degli Affari Esteri, dell’Integrazione Regionale e del Commercio Internazionale Alan Ganoo. Ganoo ha lodato l’impegno per la pace di Papa Francesco, con particolare riferimento alle situazioni in Ucraina e Sud Sudan.

Il 25 aprile, il nunzio ha incontrato alcuni rappresentanti della Chiesa locale e consegnato al Cardinale Piat la Lettera Commendatizia del Segretario di Stato. Nello stesso giorno, in un colloquio personale con il Primo Ministro Pravind Kumar Jugnauth, si è sottolineata l’importanza di incentivare il dialogo tra Stato e Chiesa.

Gli altri incontri di inizio missione con il vicepresidente Marie Cyril Eddy Boissézon, con il vice primo ministro Louis Steven Obeegadoo, e con una delegazione di chagossiani hanno avuto luogo nei giorni successivi.

Il nunzio in Mauritania comincia la sua missione

La Mauritania, Paese a maggioranza islamica, è stato uno degli ultimi Paesi ad aggiungersi al novero delle nazioni che hanno relazioni diplomatiche con la Santa Sede.

L’arcivescovo Walder Stanislaw Sommertag è il secondo nunzio a servire nella nazione, la cui nunziatura ha sede in Senegal. Arrivato in Mauritania il 25 aprile, l’arcivescovo Sommertag – che precedentemente era “ambasciatore del Papa” in Nicaragua – è stato ricevuto del vescovo Martin Albert Happe di Nouakchott, dal vicario generale della diocesi Victor Dione, e Ahmed Ahtati, Rappresentante del Ministero degli Affari Esteri.

Il 26 aprile, l’arcivescovo Sommertag ha presentato copia delle Lettere Credenziali a Mohamed Salem Ould Merzoug, Ministro degli Affari Esteri, della Cooperazione e dei Mauritani all’Estero, alla presenza del vescovo Happe, del direttore generale della Cooperazione Bilaterale Mohamed Hanchi El Ketab, e dell’ambasciatore Ahmed Mahmouden, Direttore del Dipartimento per l’Europa del Ministero degli Affari Esteri.

Il ministro, nel corso del colloquio, ha sottolineato sia le eccellenti relazioni tra Mauritania e Santa Sede, ma anche la stima goduta dalla Comunità Cattolica nel Paese. Altri temi del dialogo sono stati l’importanza della solidarietà, della cooperazione interreligiosa, e del lavoro di Caritas Mauritania, prima organizzazione internazionale ad essere riconosciuta dal governo come una ONG. Da parte sua, il nunzio ha chiesto un riconoscimento giuridico per la Chiesa Cattolica in Mauritania.

Il 27 aprile, l’arcivescovo Sommertag ha consegnato le lettere credenziali al presidente Mohamed Ould Cheikh El Ghazouani.

Nell’incontro, l’arcivescovo Sommertag e il presidente si sono soffermati sull’importanza e il valore della fede islamica nella vita della popolazione mauritana. Il presidente ha espresso il desiderio di lavorare per migliorare le relazioni tra musulmani ebrei e cristiani, oltre ogni estremismo.

Da parte sua, il nunzio, dopo aver portato il saluto del Papa, ha sottolineato l’importanza della presenza e sull’impegno della comunità cattolica in Mauritania nella promozione dello sviluppo umano integrale della popolazione dell’Africa Sahariana.

La sera del 27 aprile, l’arcivescovo Sommertag ha presieduto la Messa nella cattedrale di San Giuseppe. Parlando con i fedeli e i religiosi e vescovi concelebranti, l’arcivescovo ha trasmesso i saluti e la benedizione del Papa e li ha esortati a perseverare nella fede, nel dialogo interreligioso e nella concreta realizzazione della propria vocazione umana e cristiana.

                                                           FOCUS EUROPA

Apre la nuova sede dell’Ambasciata del Regno Unito presso la Santa Sede

L’11 maggio, Leo Doherty, ministro del Regno Unito per l’Europa, ha aperto la nuova sede dell’Ambasciata del Regno Unito presso la Santa Sede. La sede dell’Ambasciata è ora a pochi passi dal Vaticano, scelta che mostra – secondo un comunicato – l’importanza che il Regno Unito dà ai rapporti con la Santa Sede.

Era presente alla cerimonia di apertura della nuova sede anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati. Santa Sede e Regno Unito lavorano su un numero di interessi comuni, come i temi del cambiamento climatico, la prevenzione della violenza sessuale in situazioni di conflitto, la promozione della libertà religiosa e la lotta alla moderna schiavitù.

Il ministro Doherty ha dichiarato che “questi nuovi uffici del Regno Unito, vicino al cuore del Vaticano, rappresentano un segno visibile della forza delle nostre relazioni con la Santa Sede e del nostro desiderio di lavorare insieme in maniera anche più stretta sulle sfide globali del nostro tempo”.

Anche la residenza dell’Ambasciatore del Regno Unito presso la Santa Sede è stata ora spostata vicino al Vaticano, a un passo dall’ambasciata e in un palazzo appartenente alla Santa Sede.

Regno Unito e Santa Sede hanno celebrato i 40 anni di relazioni diplomatiche nel 2022.

Lo speaker della Camera di Israele in visita in Vaticano

Il 9 maggio, Amir Ohana, speaker della Camera del Parlamento di Israele, è stato in visita in Vaticano dove, accompagnato dall’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Rafael Schutz, ha anche avuto un incontro con l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati.

Durante l’incontro sono stati discussi “temi di comune interesse”, segnala un tweet dell’ambasciata di Israele. Il 12 maggio, Ohana aveva anche fatto una visita a dei luoghi significativi del Vaticano.

                                                           FOCUS ASIA

Il vescovo Chow sottolinea il ruolo di “Chiesa ponte” di Hong Kong

 È stato a Pechino, in un viaggio particolarmente sotto i riflettori perché arrivato appena dopo l’ultimo sgarbo della Cina alla Santa Sede, ovvero la destinazione del vescovo Shen Bin a Shanghai fatto senza alcun accordo con il Vaticano. Una mossa che aveva tradito lo spirito dell’accordo sulla nomina dei vescovi, e che per ora non ha avuto reazione vaticana. Da parte cinese, si sostiene che si tratta di un trasferimento, essendo Shen Bin un vescovo che aveva poi ricevuto la doppia approvazione, ma di fatto le nomine episcopali non possono essere considerate “trasferimenti” e devono venire comunque dal Papa. Ma il vescovo Peter Chow Sau-yan di Pechino guarda oltre, e in una intervista con Civiltà Cattolica sottolinea il ruolo per Hong Kong di essere “Chiesa ponte”, ruolo che gli aveva riconosciuto anche il Cardinale Parolin commentando il viaggio.

Sono i dettagli che fanno la differenza, nelle parole del vescovo gesuita scelto a guidare la diocesi dell’ex protettorato britannico nel 2022. Ed è quando sottolinea che “circa un terzo delle diocesi della Cina continentale sono in attesa delle rispettive nomine episcopali”, un conto che mostra come consideri il numero di diocesi secondo la divisione della Santa Sede e non secondo quella di Pechino, su cui pure c’è un contenzioso.

Parlando della sua visita a Pechino, il vescovo Chow sostiene che il suo viaggio “non sia stato storico, ma una prosecuzione del viaggio a Pechino compiuto dal Cardinale John Baptist Wu nel 1994”. E aggiunge: “Sebbene dall’istituzione dell’Accordo provvisorio sia stato stabilito un canale ufficiale tra i rispettivi dipartimenti di Stato della Santa Sede e della Cina, consideriamo il nostro viaggio del 17 aprile come un ponte, a livello diocesano, tra Pechino e Hong Kong. Tra i frutti più notevoli di quella visita scorgo il contatto personale tra i presuli delle due diocesi e il riaccendersi della collaborazione in diverse aree”.
Le situazioni del vescovo Shen Bin, ma anche l’insediamento del vescovo Giovanni Peng Weizhao come ausiliare di Jianxi, una diocesi non riconosciuta dalla Santa Sede – che in quel caso protestò vibratamente – non portano, secondo il vescovo Chow, alla conclusione che l’accordo “sia morto”. Piuttosto, spiega, “le discrepanze di vedute tra le due parti sull’assegnazione dei vescovi ad altre diocesi potrebbero costituire un fattore da sottoporre a una migliore comprensione”.

Il vescovo chiede “colloqui più regolari e approfonditi”, da cui forse potrebbero venire dei chiarimenti”.

Parlando della sinicizzazione imposta come modello dalle autorità cinesi anche alle organizzazioni religiose, e in particolare alla Chiesa cattolica in Cina, Chow dice che la sua impressione “è che la Chiesa nel Continente stia ancora cercando di capire quale significato dovrebbe assumere per sé la sinicizzazione. A tutt’oggi non è pervenuta a una conclusione definitiva. Pertanto sarebbe significativo se noi dialogassimo con loro nel contesto di incontri seminariali, in modo da condividere insieme anche il significato e le implicazioni dell’«inculturazione», che certamente risponde ad alcune delle loro preoccupazioni sulla sinicizzazione”.

Allo stesso tempo, aggiunge, “a nostra volta stiamo imparando da loro che cosa la sinicizzazione può significare dal loro punto di vista”.

E qui, chow ha guardato di nuovo al viaggio a Pechino e all’incontro con un funzionario governativo che sosteneva che “la sinicizzazione assomiglia al nostro concetto di inculturazione. Quindi, penso che per ora sia meglio non saltare a conclusioni sulla sinicizzazione. Sarebbe più utile continuare a dialogare sull’argomento”.
Il Vescovo Chow ricorda che anche il Presidente cinese Xi Jinping, in uno dei suoi discorsi alla comunità internazionale, ha reso omaggio al grande missionario gesuita Matteo Ricci, aggiungendo che “senz’altro la proclamazione di Matteo Ricci a venerabile è stata accolta molto favorevolmente. E preghiamo per la sua beatificazione e canonizzazione, che sarà sicuramente applaudita con gioia in Cina”.

Il vescovo ha anche parlato di un amore generale dei cinesi per Papa Francesco, anche se quanti sono contrari all’accordo sulla nomina dei vescovi tendono piuttosto a non apprezzarlo, e aggiunge che “anche il governo cinese ha molto rispetto per Papa Francesco. I suoi componenti apprezzano particolarmente la sua apertura mentale e l’inclusività. Si ritiene che il suo amore per l’umanità nel suo insieme coincida con i valori fatti propri dal presidente Xi quando ha augurato all’umanità di essere una ‘comunità dal futuro condiviso’.”