È ormai tradizione dei Papi svolgere in Turchia (Türkiye, secondo la dizione ufficiale) uno dei primi viaggi apostolici. Per Leone XIV si tratta del primo viaggio apostolico: una tappa già pensata da Papa Francesco, ma allungata nel tempo, che lo ha visto toccare Ankara come prima tappa. Nel discorso al corpo diplomatico e alla società civile, Leone XIV ha sottolineato il ruolo importante della Turchia nello scenario mediterraneo, ma ha anche chiesto un dialogo che renda tutti uguali. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha introdotto le parole del Papa con un lungo discorso, in cui ha ribadito la posizione turca sulla questione israelo – palestinese e fortemente criticato il governo israeliano. Vale la pena ricordare che la moglie del presidente turco, Emine, aveva incontrato Leone XIV lo scorso 2 luglio, parlando di sforzi umanitari comuni, dopo essere intervenuta alla Pontificia Accademia delle Scienze su “Economia basata sulla fraternità: multilateralismo etico”.
Il Giubileo dei collaboratori di ruolo diplomatico della Santa Sede si è tenuto lo scorso 17 novembre. Si tratta dei diplomatici della Santa Sede, i funzionari delle nunziature che hanno iniziato la loro carriera. Alcuni di loro diventeranno nunzi. Leone XIV li ha incontrati, tenendo un discorso in cui ha chiesto loro di portare la speranza là dove manca la pace. Prima del discorso del Papa, c’è stato un saluto del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che ha poi celebrato la Messa per loro nella Basilica di San Pietro.
È stata inaugurata la scorsa settimana a Roma la mostra “Betlehem Reborn”, Betlemme rinata, che mette in luce il lavoro di restauro della Basilica della Natività di Betlemme. Il restauro, di per sé storico, mette in luce anche l’impegno della Palestina nella protezione dei luoghi cristiani, mentre la situazione in Terra Santa diventa sempre più complessa e si registra anche un moltiplicarsi degli attacchi dei coloni israeliani.
Era prevista anche la presenza del Cardinale Parolin, a Doha, per il Secondo Summit Mondiale per lo Sviluppo Sociale delle Nazioni Unite. Tuttavia, era difficile far combaciare gli impegni del Segretario di Stato, che non sarebbe riuscito a partire in tempo per Belem, in Brasile, dove avrebbe guidato la delegazione della Santa Sede alla COP 30, la trentesima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite.
Il 21 ottobre, una delegazione del Consiglio Pan-Ucraino delle Chiese, nell’ambito di una visita in Norvegia, ha avuto anche un incontro con il re Harald V nel Palazzo Reale di Oslo, nonché un dialogo con il ministro degli Esteri del Paese. Negli stessi giorni, il vescovo latino di Kyiv, Vitalii Kryvytski, è stato in Vaticano, dove ha visitato il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, l’Ambasciata Ucraina della Santa Sede e altri gerarchi vaticani.
La persecuzione religiosa in Nigeria è anche frutto di questioni sociali, e non riguarda solo i cristiani, ma anche i musulmani. Parlando con i giornalisti a margine della presentazione del Rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre sulla libertà religiosa nel mondo, lo scorso 21 ottobre, il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha adottato una modalità “classica” della diplomazia pontificia, che non vuole esagerare i possibili conflitti religiosi. Ma, nel farlo, ha creato controversia, se non altro perché un panel della presentazione del rapporto ha anche illustrato la critica situazione dei cristiani in Nigeria, dettagliando fatti, persecuzioni e omicidi che hanno interessato il mondo cristiano.
Non era stata una visita di Stato con tutti i crismi della visita di Stato, quella del presidente Mattarella da Leone XIV lo scorso 6 giugno. Della visita di Stato mancavano, infatti, lo scambio di discorsi, l’arrivo in una piazza San Pietro sgombra perché preparata per dare solennità al momento, e anche l’incontro del presidente con il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Ma è stata, invece, visita di Stato con tutti i crismi della visita di Stato quella che Leone XIV ha reso al presidente della Repubblica Mattarella al Quirinale lo scorso 14 ottobre. Da notare, anche l’uso della stola di Giovanni Paolo II, che ora porta gli stemmi del pontefice regnante, e che include il triregno, l’antico simbolo del potere temporale dei Papi. Come pure da notare che il Papa si è definito primate di Italia, andando a riconnettere quel legame tra il Papa e la città di Roma che, nello spirito della Chiesa missionaria di Papa Francesco, si era perso. Papa Francesco si definiva vescovo di Roma, ma di fatto in gesti, parole, opere e simboli operava più come parroco del mondo.
Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha concesso ai media vaticani una ampia intervista in occasione del secondo anniversario del 7 ottobre, quando Hamas penetrò in Israele compiendo una strage, e prendendo diversi ostaggi. L’intervista non solo ricorda un anniversario, e ha creato una certa tensione con Israele perché al tempo si stavano ancora discutendo le condizioni del piano di pace per Gaza.
Con un lungo discorso, diviso in capitoli e con una sezione dedicata tutta alle aree di crisi, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha delineato quali sono le priorità geopolitiche per la Santa Sede. Lo ha fatto nell’ambito dell’80esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, un momento storico che testimonia anche una debolezza dell’organizzazione multilaterale, che non riesce a impedire, prevenire o portare a una pace i molti conflitti in un mondo mai così in guerra.
Sono diversi gli interventi della Santa Sede alle Nazioni Unite, per l’Assemblea Generale. Quest’anno c’è l’arcivescovo Paul Richard Gallagher. In generale, partecipano all’apertura dei lavori ad anni alterni il Segretario di Stato della Santa Sede e il “ministro degli Esteri”.
La visita a Leone XIV del Catholicos Karekin II, capo della Chiesa Apostolica Armena, ha avuto il pregio di porre di nuovo al centro dell’attenzione la questione dei cristiani in Armenia, che ha visto anche ufficiali governativi entrare nella Santa Sede di Etchmiadzin, sede della Chiesa Apostolica Armena, per arrestare dei sacerdoti considerati attivisti.
Dopo l’assassinio di Charlie Kirk negli Stati Uniti, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha espresso parole di condanna. Ma sono parole che riflettono anche la preoccupazione per un clima di odio che si sta creando e che non può non essere preso in considerazione dalla Santa Sede, sempre impegnata sul fronte del dialogo e della pace. Il cardinale Parolin ha anche parlato del rischio di un’escalation senza fine.
È significativo che il ministro degli Esteri palestinese Varsen Aghabekian sia stata in visita in Vaticano, per un bilaterale in Segreteria di Stato, l’1 settembre, appena due giorni prima la visita del presidente israeliano Herzog al Papa. È ancora più significativo che la Sala Stampa della Santa Sede abbia voluto chiarire che non era stato il Papa a invitare il presidente di Israele, come tra l’altro è prassi: c’è, da protocollo, una serie di personalità cui non viene mai rifiutata l’udienza, e tra queste ci sono i capi di Stato, ma la Santa Sede non invita mai nessun presidente a fare una visita. Semplicemente, la Santa Sede accoglie.
Sarà “La pace sia con voi. Una pace disarmata e disarmante” il tema del messaggio della Giornata Mondiale della Pace del 2026. Sarà il primo messaggio firmato da Leone XIV e prende ispirazione proprio dalle parole del Papa dalla Loggia delle Benedizioni nel primo contatto con il suo popolo. Questa pace “disarmata e disarmante”, però, appare sempre più una utopia. Ci sono due situazioni che, da mesi, impegnano non solo la diplomazia pontificia, ma anche la parte migliore dei suoi sforzi umanitari: la situazione a Gaza, la cui evacuazione da parte di Israele segna un punto di non ritorno denunciato anche dal Patriarca Latino e quello Ortodosso di Gerusalemme; e la situazione in Ucraina, con un aiuto umanitario che si protrae da più di dieci anni e una vicinanza mai sopita della Santa Sede all’Ucraina vittima di una aggressione su larga scala, che Leone XIV ha reso visibile con una lettera personale al presidente Zelenskyi in occasione dell’anniversario della fondazione della Nazione.
Il 22 agosto è stata una giornata di preghiera per la pace, in Ucraina, in Terrasanta e in molti altri luoghi. Leone XIV la ha convocata al termine dell’udienza generale di mercoledì 20 agosto. La preghiera e il digiuno per la pace sono un’iniziativa che va nel solco delle tradizioni papali. Papa Francesco aveva convocato la sua prima giornata di preghiera e digiuno per la pace nel settembre 2013, poco tempo dopo la sua elezione, mentre l’ultima giornata di questo tipo avrà avuto luogo il 7 ottobre 2024, poco prima della morte di Francesco. Nel mezzo, ci sono state varie iniziative di preghiera per la pace, tra cui una per la pace in Libano nel settembre 2020, che ha visto anche una missione del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nel Paese dei Cedri.
Non ci sono ancora reazioni, dalla diplomazia pontifica, riguardo l’incontro tra Putin e Trump in Alaska. Di certo, come la Santa Sede ha fatto notare che nessun negoziato precedente sulla questione ucraina avesse valore senza la presenza russa, ora non si può mancare di notare l’assenza dell’Ucraina al negoziato. Leone XIV aveva offerto anche il Vaticano come possibile luogo per un negoziato. Tuttavia, l’offerta, apprezzata da parte ucraina, è stata rigettata da parte russa, sia perché si è considerato un territorio “cattolico” come non neutro, sia perché, in una nazione ortodossa, la scelta di un Paese cattolico avrebbe potuto creare problemi. Il Papa ha chiesto anche di continuare gli sforzi diplomatici.
È la settimana dell’80esimo anniversario dello sganciamento della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, e Leone XIV lo ha ricordato con un testo denso al termine dell’udienza generale del 6 agosto scorso, giorno in cui fu sganciata la bomba di Hiroshima, e poi con un messaggio al vescovo di Hiroshima Shirahama. Papa Francesco aveva dichiarato immorale il solo possesso delle armi nucleari, Leone XIV continua su questa strada, sottolineando il dramma del paradigma della minaccia della reciproca distruzione che, tra l’altro, fu alla base di buona parte della Guerra Fredda e che è tornato anche oggi.
“Da mo’”. Con un termine incredibilmente colloquiale, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha sottolineato come la Santa Sede abbia riconosciuto già da diverso tempo la Palestina, commentando così la decisione della Francia di riconoscere lo Stato palestinese, cui dovrebbe far seguito una decisione analoga di Germania e Inghilterra.
Ripartendo da Castel Gandolfo, Leone XIV ha detto che sarebbe pronto ad andare a Gaza, ma anche in altri posti, e ha spiegato che non è l'unica strada necessaria. Con queste parole, il Papa ha mostrato vicinanza e conoscenza della situazione in Terra Santa, ma ha anche voluto slegare ogni iniziativa diplomatica dalla sua persona. Non è solo un viaggio del Papa che può fare la differenza – è questo il messaggio – quanto piuttosto un’iniziativa diplomatica forte.
A una settimana dalla risoluzione del rischio di scisma nella Chiesa Siro-malabarese, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, va nel subcontinente per rafforzare i vincoli di amicizia e collaborazione. Ed è una visita significativa per diverse ragioni.